Sbarco hollywoodiano per Al-Jazeera

21/08/2013
AJAM

È ancora minorenne, ma da quando è nata è abituata ad avere i riflettori di mezzo mondo puntati addosso. Si alzi il sipario dunque. Dopo otto mesi di prove, è arrivata l’ora del debutto hollywoodiano.

Al-Jazeera sbarca negli States. L’emittente made in Qatar è pronta a raccontare che cosa accade oltre l’Atlantico, in quel Paese che da anni l’accusa di essere il megafono di terroristi che minano la sicurezza di quanti vivono nei dintorni della grande Mela.

Per addolcire l’impatto del suo arrivo mette al vertice della sua base di New York Kate O’brien, una veterana di Abc News. Per raggiungere più statunitensi possibili ha in mente una rete di uffici dislocati in molti Stati del Paese a stelle e strisce.

 

Ammiccando al pubblico americano

L’avventura americana, alla quale seguirà quella turca, è iniziata il 2 gennaio scorso, quando il Time Warner Cable ha staccato la spina alla Current TV del premio Nobel Al Gore per vendere – a circa 500 milioni di dollari – l’accesso nelle case degli americani all’emittente dell’emiro. La sfida vero però inizia ora, quando Al-Jazeera tenterà di rubare telespettatori a CnnFoxNews.

Riuscirà il canale che ha trasmesso i discorsi di Osama Bin Laden a conquistare il pubblico americano? Per vincere la nuova fetta di mercato, negli ultimi mesi la televisione del Qatar ha più volte ammiccato all’audience americana. Basta pensare a quanto accaduto nel primo giorno di Ramadan, mese di digiuno e preghiera per i musulmani, quando una presentatrice dell’emittente si è presentata davanti alle telecamere con una minigonna rosso fuoco e un paio di tacchi vertiginosi. Oltre ad adottare lo stesso look statunitense, il canale in lingua inglese ha anche deciso di intonare la sua voce sulle corde del pubblico americano. Via quindi i commenti che disturbano Israele.

Basta pensare a quanto accaduto a Joseph Massad che a maggio ha visto sparire dalla home page di Al-Jazeera un suo articolo nel quale commemorava la Nakba,  il giorno in cui i palestinesi ricordano la loro catastrofe. Nel suo The Last Semites, Massad scardina alcuni miti e contesta alcuni fatti storici considerati acquisiti sul sionismo, ponendo in questione anche il fenomeno dell’antisemitismo.

 

Dalla rivoluzione all’involuzione

Al-Jazeera, la televisione che dal 1996 ha rivoluzionato il mondo del giornalismo arabo aprendo le sue trasmissioni agli interventi dei telespettatori, proponendosi come un canale indipendente e non subordinato ad agende altrui, ha cambiato standard.

È diversa rispetto a quando, dopo l’11 settembre, ha raggiunto l’apice del suo successo, soprattutto in occasione dell’ultima operazione americana in Iraq quando ha affermato il suo prestigio nel campo del giornalismo di guerra. Già durante la copertura della campagna Desert Storm del ‘98, della seconda intifada e della guerra in Afghanistan, Al-Jazeera ha catturato l’attenzione dei media e dei telespettatori che hanno iniziato a reputarla la più affidabile fonte d’informazione in contrapposizione ai media occidentali.

La politica combattiva lascia ora spazio all’agenda della famiglia che governa il Qatar. Basta pensare a come è stato coperto l’insediamento, lo scorso giugno, del nuovo emiro Tamin. Due terzi della programmazione dedicata a lui e al suo predecessore. Per l’ennesima volta nessuna voce che osasse spiegare come il potere, nel ’95, l’emiro Hamed. Nell’emittente nota per la sua libertà di opinioni è ancora vietato affermare che l’uomo che la mise alla luce salì al trono con un colpo di stato.

 

Il vento delle primavere arabe

Il vero punto di svolta nella politica di Al-Jazeera lo porta il vento delle primavere arabe, quando l’influenza del governo del Qatar nella linea editoriale dell’emittente diventa evidente. Il crollo arriva poco dopo, con l’ascesa nel mondo arabo di quei nuovi governi islamici che tanto deludono le popolazioni.

L’Amnesty International Media Award e il premio per la miglior televisione internazionale al Robert Kennedy Journalism Award non bastano a convincere i paesi attraversati dalle rivoluzioni e i sondaggi iniziano a descrivere Al-Jazera come la Cenerentola delle televisioni arabe. A mostrarlo è anche uno studio della Northwestern University in Qatar. In Bahrein solo il 4% dei telespettatori si sintonizza sulla tv del Qatar; in Tunisia poco più del doppio; in Egitto la tv qatarense e i suoi canali in arabi dedicati alla copertura locale sono ritenuti una fonte di informazione solo dopo numerosi media locali.

Eppure nella terra delle piramidi, solo due anni fa, Al-Jazeera era ritenuta la televisione che aveva sostenuto il popolo nella lotta contro il regime di Hosni Mubarak che aveva deciso di metterle la museruola staccandole la spina. Lo scorso giugno, la stessa televisione – sul cui logo è stato disegnato un cuore insanguinato- è stata accusata dai manifestanti scesi in strada di essere il megafono degli islamisti democraticamente eletti, ma illiberali, rappresentati da Mohammed Mursi. Dopo aver destituito il presidente, il 3 luglio scorso i militari hanno fatto irruzione nella sede cairota dell’emittente, arrestandone il personale e oscurandone la diretta.

 

Fischi in casa, applausi in trasferta

Se nella sua regione di origine i fischi sostituiscono gli applausi, all’estero va meglio. Dalla sua nascita, nel 2006, il canale in lingua inglese continua a mantenere il suo stile di giornalismo indipendente e combattivo e la nuova partita americana potrebbe fare guadagnare ascoltatori. Resta da vedere se il mercato a stelle e strisce compenserà la perdita di audience araba.

La scommessa oltre oceano non è l’unica a preoccupare l’emiro Tamin. La guerra in Siria sembra la vera scacchiera di Doha. Qualora il regime di Bashar al-Asad vincesse, Al-Jazeera ne uscirebbe sconfitta e il Qatar vedrebbe cambiare a suo sfavore gli equilibri nella regione con il rafforzamento dell’asse Iran-Siria-Hezbollah. Al-Jazeera sembra l’alfiere necessario per fare scacco matto.