Transformations in Egyptian Journalism

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La rivoluzione del 2011 ha rimesso in discussione il mondo dell’informazione in Egitto. Così Naomi Sakr, docente di comunicazione all’università di Westminster, nel suo libro “Transformations in Egyptian Journalism” delinea il cambiamento nei media egiziani che dalla deposizione di Hosni Mubarak ha visto la nascita di nuovi mezzi di informazione ampiamente influenzati dal citizen journalism.

La ricerca di obiettività e pluralismo che ha caratterizzato il racconto dei giorni di piazza Tahrir portò diversi giornalisti a sfidare la censura anche all’interno dei mezzi di comunicazione di stato. Tuttavia nella prima fase di governo militare, dal febbraio 2011, le minacce contro la libertà di stampa non hanno accennato a diminuire e si sono scontrati con una nuova attitudine dei giornalisti e la richiesta da parte dell’audience di un’informazione più obiettiva.

Come racconta Sakr, durante la rivolta diversi episodi sottolineano il disagio da parte degli addetti all’informazione sottoposti a censura. Per esempio, durante la battaglia dei cammelli di inizio febbraio 2011 numerosi giornalisti e tecnici abbandonarono le loro testate in segno di protesta contro il tipo di copertura dedicato all’evento.

Allora, Shahira Amin, storico volto della televisione di stato, dopo aver lasciato il suo posto da vicedirettore dichiarò ad Al-Jazeera English che “non era mai stata complice di una copertura così poco veritiera”. La dicotomia che si formò in quei mesi tra censura e l’esigenza di un giornalismo più libero e obiettivo è evidenziata anche dalla nascita di nuovi emittenti e giornali.

L’8 febbraio, 3 giorni prima della deposizione di Mubarak, nacque Tahrir tv, un progetto di Ibrahim Eissa, giornalista e storico dissidente del regime ora sostenitore dei militari. A lui si unirono Bilal Al-Fadl, noto per i suoi articoli di opposizione su Al-Masry al-youm, Amr Laithy, presentatore di Dream 2 e l’opinionista Hamdi Kandil.

Due mesi dopo, arrivò 25tv con diversi giovani attivisti della rivoluzione.

I nuovi stimoli che arrivarono dai nuovi media privati ampliarono la discussione all’interno dei mezzi di informazioni statali e sulla loro funzione di servizio pubblico sul modello delle emittenti pubbliche anglosassoni.

Nel suo libro, Sakr segue dunque il cambiamento dei media in Egitto sino all’anno di governo dei Fratelli Musulmani con la presidenza di Mohammed Morsi iniziata nel giugno del 2012. Quello che segue dalla deposizione del capo di stato islamista da parte di militari nel 2013 sino a oggi ha però ristabilito un clima di autoritarismo nel paese riportando le lancette indietro nel tempo. Questo vale anche per la stampa dove la propaganda mediatica ha costituito uno dei mezzi che ha spianato la strada alla vittoria alle presidenziali dell’ex capo delle forze armate Al-Sisi. Lo dimostrano anche i dati diffusi da diverse organizzazioni per la libertà di stampa.

Il Committee to Protect Journalists (CPJ) ha posizionato l’Egitto al nono posto nella classifica dei paesi con il più alto numero di giornalisti arrestati nel 2013. Al momento, 11 reporter sono ancora detenuti nelle carceri egiziane. Tra di loro c’è anche Peter Greste, corrispondente australiano di Al-Jazeera English condannato lo scorso giugno per concorso in associazione terroristica assieme ad altri due colleghi dell’emittente del Qatar. La sentenza è stata annullata dalla Corte di Cassazione lo scorso primo gennaio ma i reporter restano ancora dietro le sbarre. La censura del governo Sisi ha colpito duramente anche la stampa egiziana. Lo scorso novembre, diversi editori, dopo un meeting con alcuni esponenti dell’esecutivo, hanno invitato i loro giornalisti a non criticare le autorità per “non intralciare la lotta contro il terrorismo”.

In risposta, circa 600 giornalisti egiziani, per la prima volta dal 2013, hanno deciso di firmare una dichiarazione in supporto della libertà di stampa.

Secondo un altro report stilato dall’Association for Freedom of Thought and Expression (AFTE), 195 giornalisti hanno subito aggressioni nei mesi che vanno dal 30 giugno 2013 al 30 maggio 2014. Inoltre, nello stesso periodo, 6 operatori dell’informazione sono rimasti uccisi e 68 sono stati arrestati mentre svolgevano il loro lavoro.

Così con l’attuale situazione in cui versa la stampa in Egitto la trasformazione della professione e la ricerca di un giornalismo libero e obiettivo restano ancora un lontano miraggio come le richieste di pane, giustizia e libertà urlate a gran voce nei giorni di piazza Tahrir.