Cresce in Egitto il risentimento nei confronti della Turchia e del suo presidente, che non esita a condannare apertamente il regime di Abdel Fattah al-Sisi e a riaffermare il suo sostegno nei confronti dei Fratelli Musulmani. Le dichiarazioni del presidente della repubblica turco Recep Tayyip Erdoğan all’Assemblea Generale dell’ONU fanno tornare all’ordine del giorno al Cairo la proposta di un boicottaggio dei prodotti turchi, già minacciato più volte nel corso dell’ultimo anno. Si tratterebbe di un boicottaggio generale ma che vede nell’eliminazione delle soap opera turche dai palinsesti egiziani il suo effetto più evidente. La proposta di boicottaggio è stata presentata ufficialmente da un avvocato egiziano e un tribunale locale dovrà pronunciarsi sulla questione il prossimo 2 dicembre. Nel frattempo, le serie tv turche sono già state bandite dalle principali emittenti televisive.
Una grande arma turca nel mondo arabo è proprio quella dei prodotti mediatici, fonte di promozione culturale e quindi anche turistica e commerciale, mezzo per promuovere l’immagine del paese tra i suoi vicini mediorientali (e non solo). Negli ultimi anni, in Egitto la diffusione di queste serie televisive – dalle soap opera alle fiction in costume – ha rafforzato a livello popolare l’immagine della Turchia in corrispondenza di un periodo di grande collaborazione con Ankara a livello governativo. Anche in Egitto la Turchia si presenta sui mass media attraverso le sue serie tv, suo cavallo di battaglia in buona parte dei mercati televisivi del mondo.
Da quando l’esercito egiziano, il 3 luglio del 2013, ha rimosso con la forza il presidente Mohamed Morsi, le relazioni fra i due paesi sono scivolate rapidamente verso la crisi attuale. Il legame molto stretto del governo turco con quello dei Fratelli Musulmani, basato su un netto endorsement politico e su finanziamenti diretti da Ankara al Cairo, ha reso inevitabile l’avversione al governo golpista. La successiva rottura dei rapporti turco-egiziani è stata poi suggellata dalla reciproca espulsione degli ambasciatori nel novembre dell’anno scorso.
Da allora diverse idee di boicottaggio animano il fronte egiziano, forte dell’appoggio degli Emirati Arabi, del Kuwait e dell’Arabia Saudita, suoi nuovi partner – 12 miliardi di dollari in arrivo dal Golfo dopo la caduta di Morsi – e nemici giurati dei Fratelli Musulmani. Il cambio di regime ha portato a un posizionamento molto diverso in politica estera, con nuove alleanze che oggi permettono al Cairo di affrontare con maggiore sicurezza gli attriti con Ankara.
Negli ultimi mesi, il risveglio del sentimento nazionale promosso attraverso i media locali dal governo Al-Sisi e dai militari, fa sì che anche al di fuori degli ambienti vicini al governo si diffonda a tutti i livelli una sorta di repulsione nei confronti del governo di Ankara (testimoniata anche dai sondaggi della Fondazione Turca per gli Studi Sociali ed Economici sulla percezione della Turchia in Medio Oriente nel 2013).
È importante notare come questa crisi si manifesti soprattutto sul piano mediatico. Entrambe le parti sfruttano ampiamente l’arma dei mass media. Una dei più espliciti appelli al boicottaggio è venuto dal giornalista televisivo Gamal Anayet durante un talk show serale sulla tv privata Al-Tahrir. Il Congress Party di Amr Moussa, candidato presidenziale nel 2012 e ora sostenitore di Al-Sisi, ha fatto appello all’intero mondo arabo: “La risposta più appropriata arriverà attraverso un boicottaggio dei prodotti turchi e delle serie tv”, ha dichiarato il vice-presidente del partito.
La Turchia, da parte sua, ha sostenuto strutturalmente gli islamisti egiziani nell’ultimo anno, anche attraverso la creazione sul suo territorio dell’emittente televisiva Rabaa Tv, espressione del dissenso egiziano in esilio, da cui i Fratelli Musulmani lanciano le loro condanne contro il governo golpista.
Parallelamente, le dichiarazioni di Erdoğan hanno fatto il resto, innescando anche quest’ultima fiammata anti-turca dell’Egitto post-Fratellanza. Dall’estate 2013 a oggi ci sono state molte espressioni di condanna da parte turca. Grande irritazione avevano suscitato le critiche di Erdoğan allo sheykh dell’Università religiosa di Al-Azhar, figura religiosa di grande autorevolezza per l’Egitto e per tutto il mondo sunnita, colpevole di aver appoggiato i militari.
Questa volta, a far traboccare il vaso, è stato il discorso del presidente turco all’Assemblea Generale dell’ONU lo scorso 24 settembre. In quell’occasione Erdoğan ha mosso feroci critiche nei confronti del governo egiziano, fino a mettere in dubbio in maniera provocatoria l’utilità delle Nazioni Unite, accusate di legittimare un regime golpista nemico della democrazia. Il discorso ha suscitato, non a caso, anche le proteste degli Emirati Arabi Uniti, che attraverso il proprio Ministero degli Esteri, chiede ad Ankara di smettere di “provocare i sentimenti degli arabi” e di “insultare il governo e il popolo egiziano”. A questo si aggiunge il discorso in parlamento del 1° ottobre. Per Erdoğan, recita il discorso pubblicato per estero sul sito della Presidenza, in Egitto “le richieste democratiche dei cittadini vengono oppresse attraverso metodi golpisti”. Gli appelli al boicottaggio di queste ultime settimane nascono sulla scia di queste ultime dichiarazioni. “Gli ultimi insulti” di Erdoğan, ha commentato il Ministero degli Esteri egiziano, non sono che un segno della “disperazione” di Ankara riguardo agli ultimi successi del Cairo in fatto di stabilità e apertura. L’omologo ministero turco ha risposto riferendosi nuovamente al colpo di stato, dicendo che “il principio di non ingerenza negli affari interni di un paese non può essere usato come mezzo per legittimare violazioni dei diritti umani”.
Lo scontro ha continuato a riflettersi sul piano dei media, al tempo stesso armi e campi di battaglia del conflitto fra i due paesi. E alle parole si sono accompagnati i fatti. L’Egitto ha continuato a denigrare l’ex alleato, fomentando ripetutamente sulle sue tv quel boicottaggio che adesso assume una forma sempre più ufficiale. Subito dopo il discorso di Erdoğan all’ONU, il Ministero dell’Informazione del Cairo ha dato istruzioni alle emittenti televisive di cancellare le famose serie turche, già meno diffuse da quando la crisi con Ankara aveva raggiunto l’apice nell’autunno scorso.
Ma quali sono le potenziali conseguenze di un boicottaggio anti-turco in Egitto? Secondo i dati della Banca Mondiale, la Turchia è uno dei mercati esteri più importanti (il quinto paese per l’export egiziano nel 2012), nonché sesta fonte di importazioni per l’Egitto a livello mondiale. Non si può dire che l’Egitto rivesta la stessa importanza commerciale per Ankara, che vedrebbe danni rilevanti alle proprie esportazioni soltanto in alcuni settori, tra cui quello siderurgico, minacciato da nuovi dazi. Inoltre l’export verso l’Egitto, che fino al 2012 aveva vissuto effettivamente una fase di crescita, nel 2013 era già iniziato a diminuire (dati TÜİK, Istituto Statistico di Turchia). L’ultimo boicottaggio annunciato, dunque, potrebbe soltanto causare l’accelerazione di una riduzione degli scambi commerciali già in atto dal 2013.
Che conseguenze avrebbe il boicottaggio nel settore dei media? Secondo l’esperto di Turchia Joshua Carney, studioso di Media e Cultura presso l’Università Kadir Has di Istanbul, i produttori del settore non sono affatto preoccupati. Ammesso che il boicottaggio diventi effettivo anche sul broadcasting via satellite, la perdita totale del mercato egiziano non sarebbe comunque una catastrofe per l’esportazione di fiction turche. L’industria delle serie televisive in Turchia, ricorda Carney, è seconda per esportazioni soltanto a quella statunitense: la perdita di un cliente, per quanto importante, non comporterebbe gravi danni. Secondo Carney, durante l’ultima convention DISCOP – fiera internazionale dell’industria televisiva – tenutasi a Istanbul, sarebbero emerse proprio queste previsioni da parte dei maggiori esponenti del settore.
Il lancio del nuovo boicottaggio in Egitto, a prescindere da quella che sarà la sua durata effettiva, ha un significato solamente simbolico. È un segnale di protesta nei confronti del governo di Ankara e di Erdoğan, nonostante l’avversione di quest’ultimo nei confronti delle produzioni televisive più esportate dal proprio paese, accusate di dare un’immagine troppo dissoluta e non abbastanza eroica di personaggi storici ottomani come il sultano Solimano il Magnifico.