Marg bar Amrika, controffensiva mediatica sui negoziati nucleari?

18/11/2013
iran

Quattromila dollari. Questo il bottino incassato dal primo classificato al concorso del Marg bar Amrika, Morte all’America [1]. È così che il 4 novembre l’Iran ha celebrato il 34esimo anniversario dell’occupazione dell’ambasciata statunitense del 1979.

Quest’anno l’anniversario è caduto all’indomani dell’incontro tra il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif e il segretario di Stato Usa John Kerry e la storica telefonata tra i presidenti Barack Obama e Hassan Rouhani. È ancora presto per capire se questi primi tentativi porteranno a un effettivo riavvicinamento tra Teheran e Washington, ma è certo che l’apertura al dialogo con gli Stati Uniti non piace a tutti gli iraniani e la retorica rivoluzionaria anti-americana è quanto meno in imbarazzo di fronte a questa nuova situazione.

L’ex presidente Hashemi Rafsanjani è stato uno dei primi ad avanzare dubbi sull’opportunità di scandire slogan contro un paese con il quale si è appena cominciato un dialogo dopo 34 anni di ostilità e chiusure. Rafsanjani ha dichiarato che lo stesso ayatollah Khomeini sarebbe stato propenso all’eliminazione del marg bar Amrika dalla preghiera del venerdì. Pochi giorni dopo, dalle strade delle principali città iraniane sono stati rimossi i manifesti antiamericani più violenti, ma le polemiche non si sono fatte attendere. I principali notiziari televisivi sono tornati sul tema con dichiarazioni e commenti da parte di politici, religiosi e militari.

L’ex capo negoziatore sul nucleare, anche candidato sconfitto alle ultime presidenziali, Saeed Jalili ha precisato che “morte all’America” significa morte alla violenza. Il popolo iraniano ha trasformato questo slogan in un simbolo di ricerca di libertà e indipendenza. Secondo Jalili, non è un attacco al popolo americano, ma “a quell’1% che opprime il mondo e la stessa America”. L’ayatollah conservatore Ahmad Khatami – da non confondere con l’ex presidente riformista- è arrivato a dichiarare che lo slogan avrebbe addirittura reso più forti i negoziatori iraniani impegnati nella trattativa sul nucleare.

Da qui è partita una controffensiva mediatica proprio sui negoziati. Sono infatti comparsi nuovi manifesti “anti-americani”. Uno, intitolato “L’onestà americana”, ritrae negoziatori iraniani e statunitensi al tavolo delle trattative. Gli americani indossano giacca e cravatta, ma sotto il tavolo calzano stivali e pantaloni militari. Tuttavia, secondo Ehsan Mohammad Hassani, responsabile della Oj, l’agenzia pubblicitaria che ha realizzato la campagna, “quella rappresentazione non è un’obiezione contro i negoziati fra Iran e Stati Uniti”. Una sorta di ammonimento a Rouhani e al ministro degli Esteri Zarif, più che altro.

Basta addentrarsi nella sfera virtuale per vedere che i commenti degli iraniani in patria e all’estero non si fanno attendere. Keivan (@keivanhaghighat) scrive un tweet dubbioso sulla trattativa in corso: “Alla fine, non capiamo dove saremo trascinati dagli Usa.” Mohammad Esmaeelzade (@MEsmaeelzadeh) articola un ragionamento quasi filosofico: “Dire morte all’America sarebbe anche giusto, ma non è giusto farne uno slogan.” Su Google+ Muhsin scrive in inglese un post chiaramente antiamericano: “Gli iraniani sono fichissimi!! Sono uno schiaffo in faccia ai sionisti e ai mercanti di guerra del governo americano!” Su Facebook un abitante di Teheran riflette sui diversi slogan: “Mentre un paese sceglie come slogan ‘Morte all’America’, un altro sceglie ‘Tutte le opzioni sono sul tavolo e il terzo continua a dire che all’Iran mancano pochi mesi per costruire la bomba. Alla fine, tutti questi slogan hanno lo stesso significato e la differenza è puramente retorica. Mostrano soltanto che l’Iran ha il coraggio di essere sincero.” Molto più pragmatico, su Twitter, K irani (@amouly), che intravede nel dialogo con gli Usa la possibilità di “contratti con le compagnie petrolifere Usa.”

Il 4 novembre (proprio in occasione del 34esimo anniversario dell’occupazione dell’ambasciata statunitense), la Guida Khamenei posta su Twitter una foto commemorativa dell’assalto del 1979 con questo commento: “Noi avevamo capito, resistito e spiegato già 30 anni fa.”

Lo stesso Khamenei, durante il vertice di Ginevra dell’8 e 9 novembre, darà poi un pieno endorsement al negoziato, postando su Twitter una foto della delegazione iraniana e commentando: “Questi negoziatori sono figli della Rivoluzione.”

 
Se dai social network ci si addentra nella blogosfera, ci si imbatte in un vivo dibattito tra i conservatori. Mahmoud Mehdi Khosravi sul suo blog Cheran, Perché, non crede alla buona fede degli americani, troppo intenti a dimostrare la loro amicizia con Israele. Un altro blogger molto noto, Omid Hosseini, scrive sul suo Ahestan che la telefonata tra Rouhani e Obama è un successo soltanto per il presidente Usa – in termini politici, strategici e mediatici – perché la telefonata non era rivolta a Rouhani, ma ai “paesi musulmani in lotta con gli Stati Uniti, impegnati in una lotta condivisa con la Repubblica islamica dell’Iran. Questi paesi ora si accorgeranno di quanto gli insegnamenti dell’Imam Khomeini siano stati dimenticati, ora che la Repubblica islamica dell’Iran sta cominciando a parlare di negoziati con il Grande Satana!” Nel suo post, intitolato “L’età dell’inganno è un’epoca di lezioni ripetute!”, Ruhollah Aminabadi paragona l’ottimismo intorno ai negoziati Iran-Usa a quello che accompagnò il disarmo della Libia nel 2003: “Sappiamo poi che fine abbia fatto Gheddafi”. Più sarcastica Fatima che nel post “I mullah non vengono da Marte!” scrive: “Siamo grati all’Iran per aver spalancato le porte agli Usa, permettendo loro di portare la libertà in Iran così come hanno fatto in Iraq e Afghanistan. Il costo della vita scenderà e diventeremo felici e ricchi!”

I conservatori però non sono una fazione monolitica e incapace di ripensamenti. A mostrarlo è quanto scrive il blogger ultraconservatore Vahid Yaminpour: “L’esito delle politiche di questo governo riformista sarà vantaggioso per il paese, perché anche se le trattative si rivelano dannose, l’Iran acquisirà esperienza per superare difficoltà in futuro.”

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[1] Marg bar Amrika, lo slogan scritto su molti murales e scandito nelle manifestazioni anti Usa, visto che in persiano non c’è un’espressione che significhi “abbasso”. Tanto che un celebre murale di Teheran presenta la traduzione inglese “Down with Usa”, non “Death to Usa”.