Ufficialmente la campagna elettorale iraniana si è aperta il 21 maggio, ma sui social media il dibattito sulle presidenziali del 14 giugno è cominciato con almeno tre mesi di anticipo. Può sembrare un paradosso, visto che i principali social network sono quasi sempre off line, bloccati dalla censura della repubblica islamica che mette attualmente al bando ben il 27percento di tutti i siti del world wide web.
Nel 2012 Conovi, una start up partner di Pars Online – il più grande internet service provider in Iran- ha condotto una ricerca on line intitolata Chimigi, in persiano che cosa c’è?, su un campione di 2.300 persone residenti in Iran. Questa ha rivelato come i social media siano molto diffusi a Teheran e dintorni. Il 58percento degli intervistati ha dichiarato infatti di usare regolarmente Facebook. Abbastanza frequentato anche Google+ (37 percento), mentre Twitter e Linkedin sono regolarmente cliccati dal 12 percento degli intervistati. Circa un terzo del campione ha affermato di frequentare i social media per almeno un’ora al giorno. Tutto questo anche se, , soprattutto dal 2009, la rete è volutamente rallentata. Attualmente la velocità di navigazione è di 0,53 Mega bits al secondo. L’Italia, penultima in Europa, naviga a una velocità media di 3,4Mbs.
Proprio in vista delle elezioni presidenziali, le autorità iraniane hanno bloccato anche moltissime reti private virtuali che consentivano di aggirare i divieti. Nonostante questo, il web iraniano continua a essere un’arena mediatica vivace e sicuramente più interessante rispetto ai media “tradizionali”, sempre marcati stretti dalla censura. Ed è ancora più sorprendente e contraddittorio che tutti i candidati tranne Gholam-Ali Hadad-Adel abbiano un sito web ufficiale, pagine Facebook e account Twitter.
Sul web, le grandi manovre sono cominciate verso la primavera. Su Facebook sono comparse fan page dedicate a diversi esponenti politici: Mohammad Khatami, Akbar Hashemi Rafsanjani, Mohammad Bagher Ghalibaf, Esafandiar Mashaei. Quest’ultimo, che usa molto la parola bahar, primavera, si proponeva come candidato di rinnovamento e di rinascita e la pagina Facebook ha colori molto vivaci. Mashaei però, come Rafsanjani, non ha superato la selezione del Consiglio dei Guardiani e la sua campagna si è spenta con qualche tweet polemico, ma senza grossi rimbalzi nella rete. Ben più potente è stata invece la polemica provocata dall’esclusione di Rafsanjani. Small Media, una società di analisi web con sede in Gran Bretagna, ha preso in esame le discussioni su Twitter in persiano nel periodo compreso tra il 4 e il 15 maggio -registrazione dei candidati- e il 21 maggio, giorno in cui il Consiglio dei Guardiani ha annunciato gli ammessi alla corsa.
Dominatore assoluto di questa prima fase è stato proprio l’intramontabile Rafsanjani, due volte presidente e uomo sempre potentissimo a livello politico ed economico. Il suo staff ha intuito le potenzialità di Twitter e ha cominciato ad usarlo in modo sistematico nei giorni che hanno precedono la sua registrazione. La parola Hashemi -nome con il quale in Iran viene chiamato Rafsanjani – è stata la più frequente nel flusso di tweet esaminato tra il 4 e il 15 maggio. Su un totale di circa 20mila tweet, ben 12.104 riguardano proprio lui. A seguire i termini: registrazione, Iran, Rafsanjani e Mashaei. Quando poi è stato messo fuori gioco, la discussione sul web ha un raggiunto un picco ancora più alto. La parola più frequente è rimasta Hashemi, seguita stavolta da squalificato, Iran, Jalili e Mashaei. Per almeno tre giorni il dibattito sui social media si è concentrata quasi esclusivamente sulle esclusioni eccellenti. Un’iraniana residente in Italia, che si era precedentemente espressa a favore di Velayati, ha commentato: “Ma così allora non si può più andare a votare!”. E i tweet di scherno e sarcasmo sono aumentati in fretta: “Non sono elezioni presidenziali, è una selezione dei mullah”, è uno dei messaggi piú ritwittato nelle settimane seguenti.
Small Media ha realizzato un secondo rapporto in cui sono state esaminate le pagine facebook dei candidati e i 14.464 tweet che tra il 22 e il 27 maggio contenevano almeno uno dei nomi dei candidati. Va precisato che nessuno di questi account ha una certificazione di autenticità (il famoso bollino verde che spicca sugli account twitter di molti politici italiani) perché richiederla sarebbe in contraddizione col fatto che nella repubblica islamica i social sono de facto al bando). Per questo, per alcuni candidati sono stati prese in esame più fan page. Ad esempio, Jalili ne ha 3: https://www.facebook.com/teribon; /Dr.Saeed.Jalili ; /saeidjalili92. Qalibaf è arrivato a contarne addirittura 45, alcune delle quali risalgono addirittura al 2008, in previsione di una candidatura – poi tramontata – alle presidenziali del 2009. Alcune sono molto seguite: una supera i 18mila “Mi piace”. In tutte queste pagine Qalibaf si presenta in modo spigliato, qualche volta sorridente, altre volte pensieroso, evidentemente concentrato sui destini del Paese. Molto spesso compare con divisa e berretto dell’aeronautica. Una delle pagine lo presenta come “dottore, sindaco, pilota dagli occhi azzurri”.
Per Twitter è invece più chiaro individuare gli account veri: @gharazi, @qalibaf92, @MohamadRezaAref, @Drmohsenrezaei, @DrSaeedJalili, @HassanRowhani, @drvelayati. È curioso notare come tre dei sette non rinuncino al titolo di dottore nemmeno nell’account. Lo studio stabilisce anche il sentiment dei tweet su ogni singolo candidato: positivo/negativo/neutrale/satirico. In generale, in questa fase prevalgono toni sarcastici e comunque prevalentemente critici. Tra il 22 e il 27 maggio il nome più twittato è quello di Jalili (5.897), quello meno Aref (331). Jalili ha però un sentiment per il 41percento negativo e per il 15 percento satirico. Va peggio ad Haddad-Adel (56 percento negativo) che paga anche l’assenza di un suo account. Rezai è invece quello su cui si abbattono più tweet ironici (61 percento). Rowhani ottiene un 63 percento positivo, grazie anche a una presenza costante e molto accurata.
Rowhani utilizza con successo anche Youtube, pubblicando video di circa mezzora, di stile documentaristico, su temi di attualità. Molti di questi , soprattutto quelli in cui parla di politica internazionale, sono sottotitolati in inglese . Qalibaf tweetta molto e anche lui si sforza di dare una doppia versione in inglese e in persiano. I suoi tweet sono i più ricchi di hashtag e per essere riconosciuto anche dai non persiani, spesso si firma anche con l’altra versione della traslitterazione, Ghalibaf. È presente anche su Google+ e Instagram, un’applicazione che si concentra sulla condivisione di immagini, che però non usa moltissimo. La sua campagna inciampa in una falsa partenza di campagna elettorale quando su Youtube viene diffusa la registrazione di un suo discorso presso un gruppo di pasdaran, guardiani della rivoluzione, in cui rivendica con orgoglio la repressione del movimento studentesco nel 1999.
Velayati ha invece appena un centinaio di seguaci e nessun tweet all’attivo. Una presenza perciò assolutamente inutile. Aref cerca di catturare le simpatie dell’elettorato giovanile e posta una foto che lo ritrae mentre vede in tv la partita della nazionale contro il Qatar insieme ai ragazzi del suo staff. Jalili è presente anche su Google+e su Instagram. Vuole presentarsi come uomo del popolo, tanto che il suo slogan è “Il popolo più uno”. Nei suoi post cita spesso il Corano e attacca gli altri candidati su questioni specifiche. La sua strategia di comunicazione rimane comunque piuttosto fredda: non interagisce, non pubblica quasi mai immagini.
Da notare come nessuno di questi candidati segua la Guida Khamenei (@Khamenei_ir) che pure conta più di 11mila follower. Questa, dal canto suo, non fa torto a nessuno, visto che la casella dei suoi following segna zero. Khamenei è presente anche su Instagram (@khamenei_ir), con immagini di cerimonie e momenti ufficiali. Instagram è il social curiosamente meno censurato in Iran, quello a cui ci si riesce a collegare senza troppo difficoltà. C’è anche spazio per qualche stravaganza: sia Rezaei sia Jalili hanno adottato una canzone per la loro campagna elettorale. Rezaei sceglie un brano che inizia in stile rap e poi diventa una ballata pop e lo pubblica su SoundCloud, così come altri file audio di suoi interventi pubblici.
I social media acquistano particolare importanza in occasione dei tre confronti televisivi tra i candidati (31 maggio, 5 e 7 giugno). Si tratta di dibattiti lunghissimi (tutti oltre le quattro ore), con momenti di tensione e altri di assoluta inadeguatezza da parte di alcuni candidati, evidentemente non abituati al mezzo televisivo. Gli staff di Ghalibaf, Jalili e Rowhani realizzano live tweetting molto puntuali, quasi sempre nella doppia versione persiano/inglese. Tanto che più di un iraniano residente all’estero ironizza: “Ehi, ma questi candidati si stanno collegando a Twitter, nella repubblica islamica è un reato!” Per almeno cinque ore su Twitter impazzano cronache, commenti e ironie sui candidati. Molte anche le voci di dissidenti che invitano a boicottare non soltanto il voto, ma anche i reporter che stanno seguendo il dibattito. Spuntano qua e là delle liste di proscrizione, con account da segnalare e bloccare in quanto collaboratori, più o meno consapevoli, del regime. Questo atteggiamento finisce col creare, su Twitter, una vera e propria narrazione parallela a quella ufficiale. Con risultati surreali: opinionisti e analisti statunitensi di lungo corso vengono accusati di essere al soldo degli ayatollah. Seguendo il flusso dell’hashtag #iranelection, notiamo due picchi: uno il 21 maggio – giorno dell’annuncio dei candidati ammessi alla corsa – e uno, appunto, il 7 giugno, in occasione dell’ultimo confronto televisivo.
Facebook diventa un’arena anche di strategie politiche: il 2 giugno nasce una pagina che invoca una coalizione tra i candidati riformisti Mohammad-Reza Aref e Hassan Rowhani. A una settimana dal voto, Rowhani comincia a twittare foto di sostenitori di Aref con cartelli che invocano una colazione tra i due candidati. Il 10 giugno la notizia del ritiro di Aref viene anticipata e smentita mille volte su Twitter. I commenti si sprecano anche su Facebook e non si placano nemmeno quando Aref comunica ufficialmente il proprio ritiro con un comunicato nell’home page del suo sito. Più di qualcuno sostiene infatti che non ci sia, nella sua scelta, un esplicito invito a sostenere Rowhani. Interpretazione piuttosto cervellotica a dire il vero. Subito dopo arriva anche la notizia dell’endorsment dell’ex presidente riformista Khatami che invita a votare Rowhani. Ecco che lo slogan di Aref, “Io voto”, ampiamente diffuso in rete nelle settimane precedenti diventa un vero e proprio logo della neonata alleanza moderato-riformista, condiviso soprattutto su Facebook, dove molti iraniani lo adottano come immagine del proprio profilo. Sembra quasi un revival, in chiave ottimistica e preventiva, del celebre “Dov’è il mio voto?” delle elezioni 2009.
Il 10 giugno Small Media pubblica il suo terzo rapporto, che prende in esame la Twittersphere proprio in concomitanza con i dibattiti televisivi. Gharazi sorpassa Jalili come candidato più twittato, probabilmente perché è quello attira molti commenti ironici. I suoi interventi durante i dibattiti tv sono infatti spesso molto bizzarri e inconcludenti. Un tweet lo descrive così: “Tutti i candidati criticano il presidente precedente, Gharazi critica tutti i governanti da Reza Phalevi (Pahlavi) in poi!”. In termini di sentiment, Rowhani trionfa col 74% di tweet positivi, mentre Jalili spetta la maglia nera del meno gradito, con un 51% di tweet negativi.
Alla vigilia del voto i sondaggi danno un testa a testa tra Ghalibaf e Rowhani, i due candidati più vivaci sui social media. Su Twitter la guida Khamenei raccomanda “una partecipazione entusiastica al voto”, sperando che anche chi “non sostiene il sistema islamica” vorrà comunque sostenere, con il voto, il proprio Paese.