Sul cancello nero che divide la villa dalla strada dove scorre la ferrovia urbana di Tunisi, c’è una vecchia scritta che ricorda che questa villa in passato è stata la sede dell’Assemblea Costituente. Entrando però ci si immerge in una novità assoluta del panorama istituzionale tunisino. Gli uffici di questa antica residenza nella prima periferia di Tunisi ospitano infatti l’ Haute Autorité Indipendant de la Communication Audiovisualle, Haica, un organismo creato dal decreto 115 del novembre 2011, ma realmente al lavoro solo dal 3 maggio 2013. “Per un anno e mezzo ha governato la legge della giungla”, dice Riah Farjani, massmediologo di professione, arruolato nella squadra di questa autorità.
Prima della caduta del presidente Ben Ali, la gestione del sistema mediatico era saldamente nelle mani del regime che dominava frequenze televisive e radiofoniche attraverso il controllo a vista dei giornalisti e del mercato pubblicitario. Il sistema di sorveglianza e repressione dei media poggiava sul ministero della Comunicazione, che esercitava un controllo totale sull’informazione; sul Conseil Supérieur de la Communication che svolgeva studi e ricerche di settore, provvedendo anche alla misurazione dell’audience; sull’Agence Tunisienne des Communications Extérieures che funzionava come un organo di propaganda per il regime; e sull’Agence Tunisienne de l’Internet che filtrava le informazioni accessibili ai giornalisti stranieri e controllava – senza farsi scrupoli di censurarli – i siti internet.
Quando i tunisini sono riusciti a sfidare il regime, cercando di riprendere in mano il controllo dei media, la struttura di questo apparato repressivo è stata smantellata. Per traghettare la legislazione mediatica tunisina verso una nuova era è stata creata l’Istance National pour la Réforme de l’information et de la Communication, un’assemblea di saggi nata dopo la caduta del dittatore.
In un primo momento, la rivoluzione dei gelsomini sembrava aver portato i suoi frutti: era stata abolita la pena detentiva per i reati di diffamazione ed erano state tutelate le fonti giornalistiche e il diritto di accesso agli atti pubblici. Tre anni dopo la caduta di Ben Ali però, i tunisini continuano a manifestare lungo Avenue Bourghiba, chiedendo la fine delle aggressioni di cui sono vittime mentre lavorano.
Numerosi presentatori di radio pirata denunciano di non poter acquistare le frequenze e quindi di essere costretti alla clandestinità. Entrando nel sindacato dei giornalisti c’è chi descrive la “nuova” parentopoli mediatica come una famiglia molto simile a quella che governava il settore durante il vecchio regime. Non è poi difficile trovare chi pensa che la rivoluzione non sia mai passata dalle redazioni tunisine. Per Nibras, un giovane giornalista alle prese con la nuova giustizia, “è solo cambiato il nome del burattinaio che manovra l’intero spettacolo.”
“Durante il regime eravamo abituati alla censura e questa è stata una cosa contro la quale ci siamo battuti tutti”, dice Farjani. “Non dobbiamo però confondere il tentativo di regolare la giungla mediatica con la censura. Come gli altri paesi, anche noi abbiamo bisogno di un’autorità di sorveglianza e questo è quello che l’Haica, i cui nove membri non hanno alcuna affiliazione politica, si propone di fare. Stiamo assistendo all’indebolimento dell’autorità dello Stato. Nel campo audiovisivo osserviamo una proliferazione quasi anarchica delle emittenti la cui esistenza è complicata da meccanismi di autoritarismo e clientelismo che devono essere prevenuti.”
Per questo l’Haica si propone di riformare il sistema di broadcasting statale, regolare la giungla di frequenze radio televisive abusive e monitorare tutto quello che va in onda, per verificare che quanto viene trasmesso rispetti certi standard. “Funzioniamo come una piccola corte, possiamo sanzionare chi viola la legge sui media. Il nostro presidente non può però chiudere un canale con una telefonata. Attraverso un approccio pedagogico, cerchiamo di migliorare l’ecosistema mediatico. Da quando siamo al lavoro abbiamo multato 24 programmi.”
Uno dei casi che ha fatto più clamore è quello che ha coinvolto Ettounsia, il canale più visto dai tunisini. Quando questa televisione ha trasmesso le foto di otto militari morti durante un’operazione di anti-terrorismo sul monte Chaambi (al confine con l’Algeria) l’Haica l’ha multato, accusandolo di aver trasmesso immagini scioccanti per il pubblico, esortando gli editori a rispettare la dignità umana nella copertura di eventi sanguinosi. Bloccate per un mese, le immagini sanzionate sono però ricomparse sugli schermi tunisini.
A essere bacchettate sono state anche due trasmissioni della radio pro-islamisti Al-Zaituna e del canale televisivo El-Hiwar, accusate di utilizzare un linguaggio eccessivamente facinoroso e potenzialmente pericoloso, perché in grado di esacerbare la polarizzazione politica.
Resta da chiarire quale sia il vero potere dell’Haica. In questi giorni ha sanzionato un reality show che dovrebbe essere sospeso, ma facendo zapping si scopre che questo continua ad andare in onda come se nulla fosse.