Gli ambasciatori della parola riuniti all’Arab Media Forum di Dubai

16/05/2013
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Più di tremila giornalisti arabi e poche decine di colleghi internazionali. Questo il gruppo che il 14 e 15 maggio si è riunito a Dubai per il 12esimo forum sui media arabi. Ad organizzare questo ormai tradizionale evento è il Dubai Press Club, una delle organizzazioni di giornalisti più attiva in Medio Oriente, creata con il patrocinio di sheik Mohammed Bin Rashid al Maktoum, emiro di Dubai, anche vice presidente e primo ministro degli Emirati.

Svolgendo un ruolo di coordinamento importante per i giornalisti locali e per quanti, in Occidente, vogliono seguire il loro lavoro, dal 2007 il Dubai Press Club pubblica annualmente il suo Media Outlook, una delle analisi più accurate e complete sull’evoluzione dei mezzi di comunicazione nell’intera regione.

A guidare le discussioni di questa edizione è stata la riflessione sul termine transizione. Anche se il dibattito è partito dall’analisi del passaggio dai media tradizionali ai cosiddetti nuovi media, durante il forum è stata centrale anche la discussione sui sistemi di comunicazione di quei paesi che, dopo aver vissuto le primavere arabe, sono ora in complesse fasi di transizione.

In questo quadro, accesa è stata la discussione sul ruolo e l’utilizzo dei social media. Se per Rima Maktabi, reporter della televisione saudita Al-Arabiya, è solo grazie ai social network che le primavere arabe ci sono state raccontate, per alcuni giornalisti della carta stampata come Dhaen Shaheen, direttore del quotidiano degli Emirati Al-Bayan, bisogna continuare a fidarsi soprattutto dei media più disciplinati. “Non sono stati pochi i casi in cui, su Twitter, sono circolate notizie fabbricate da quanti hanno interesse a diffondere una falsa verità che noi professionisti non possiamo accreditare come tale” ha detto Shaheen. “I social media non sono un’alternativa a quelli tradizionali. Possono al massimo completarli, ma servono maggiori qualifiche per quanti li usano professionalmente” ha aggiunto Nadia Abou El-Magd, giornalista pronta a lanciare il canale egiziano di Al-Arabiya.

Ad avvertire la necessità di acquisire maggior professionalità su questi portali sono stati in primis in giovani talenti mediatici degli Emirati, a cui è stato dedicato un apposito panel. “Abbiamo bisogno di un insegnamento pratico e non solo teorico in questo campo. Devono cambiare i curricula universitari delle facoltà che si occupano di media”, ha suggerito Mohammed Al-suwaidi di Sharjah tv.

Quando dalla teoria si è passati alla pratica, l’interesse dei partecipanti si è concentrato soprattutto su due paesi: Siria ed Egitto.

I giornalisti che si trovano a raccontare quanto accade nei dintorni di Damasco non sanno infatti come utilizzare le notizie che gli arrivano dai pochi reporter, spesso non professionisti, dentro il paese. Altra questione è quella che rimanda alle fonti, visto che è difficile capire quali siano quelle attendibili. In mancanza di un controllo diretto degli avvenimenti sul campo, il rischio è infatti quello di diventare una eco di risonanza al servizio di quanti vogliono diffondere un messaggio piuttosto che un altro.

Pur non scordando i numerosi problemi della transizione egiziana e le sfide alle quali questa sta sottoponendo il sistema della comunicazione locale, il paese delle piramidi è stato presentato come uno Stato che è riuscito a superare quelle linee rosse che confinavano gli argomenti oltre i quali un giornalista non poteva spingersi. In alcuni contesti, come nei paesi del Golfo, dove le primavere arabe non hanno ancora fatto sentire il loro odore, questi continuano a delimitare quelli che sono considerati dei tabù, soprattutto sociali.

Tra i panel più seguiti, vi è stato proprio quello sul fenomeno dei talk show egiziani, esplosi dopo la rivoluzione e seguitissimi da un pubblico eterogeneo, assetato di discutere del cambiamento – politico e sociale – intrapreso dal Paese. “Anche se abbiamo rotto le barriere della paura e del silenzio, noi giornalisti e presentatori egiziani dobbiamo ancora soffrire parecchio, perché c’è chi ha interesse a guidare i nostri programmi” ha detto Dorria Sharaf el Din, una delle più accreditate giornaliste cairote e docente dell’Accademia internazionale di scienze mediatiche.

A mostrare il successo egiziano è anche il calore con il quale è stato accolto Bassem Youssef, il più celebre comico egiziano che da mesi critica il presidente islamista Mohammed Mursi, senza peli sulla lingua. “Non continuate a domandarci perché durante l’epoca di Mubarak eravamo tutti zitti. La rivoluzione ha cambiato tutto.” A quanti gli chiedono se pensa di contenere la sua satira per evitare di offendere la religione, Bassem risponde con una battuta secca: “Non ho mai offeso l’Islam e chi, come me, lo ama sinceramente. Critico però chi se ne serve a scopi politici.”

Quasi del tutto assente dal dibattito Al-Jazeera, la prima grande televisione satellitare araba che sta perdendo credito proprio nei paesi attraversati dalle primavere arabe. “Il Qatar non può intervenire nella nostra politica interna con tanta prepotenza”, ha commentato Sharaf el Din, criticando il sostegno che il portale arabo dell’emittente qatarense sta dando alla Fratellanza Musulmana. “Al-Jazeera sta perdendo quella professionalità che l’aveva contraddistinta in un primo momento. Era per questo che durante le primavere avevamo apprezzato la sua copertura” conclude Dorria, imbarazzando non poco Laila Al-Shaikhli, moderatrice del dibattito e presentatrice di Al-Jazeera.

Ad inaugurare il Forum è stato il discorso del grande imam di Al-Azhar, la massima autorità dell’Islam sunnita che risiede al Cairo. Nel suo intervento di apertura, oltre a chiedere ai giornalisti di adottare un linguaggio che non provochi scontri settari di alcun genere, sheikh Ahmed al-Tayeb ha invitato i protagonisti del mondo della comunicazione a usare l’arabo classico per evitare che la lingua del Corano venga scordata e sostituita dai dialetti locali.

Più critico l’intervento di Nabil el-Arabi, segretario generale della Lega Araba, che si è mostrato piuttosto schivo nel rispondere alle domande di quanti hanno descritto la Lega come un’organizzazione che ha perso importanza e che non è più in grado di portare avanti le istante del popolo arabo. Tutt’altro clima si è invece respirato alla conferenza alla quale ha partecipato Abdullatif al-Zayani, segretario generale del Consiglio della Cooperazione del Golfo, un organo che comprende Oman, Arabia Saudita, Kuwait, Emirati, Qatar e Bahrein e che potrebbe inglobare anche Marocco e Giordania. Sperando nella creazione di un’istituzione simile all’Unione Europea, il pubblico ha chiesto ad al-Zayani di accrescere la cooperazione tra questi Stati, fino a farli fondere in una vera e propria unione.

A chiudere i lavori è stata la consegna dei premi ai giornalisti dell’anno. Descrivendo i vincitori come “ambasciatori della parola”, la vice-direttrice del Dubai Press Club ha annunciato che più di quattromila giornalisti hanno presentato la loro candidatura a questo concorso che si articola in più di dieci sezioni.

Tra i premiati vi è stato ad esempio anche il miglior vignettista arabo dell’anno, Raed Khalil, quarantenne per anni alla guida della federazione dei vignettisti siriani. La coppa al miglior editorialista dell’anno è andata al libanese Hazem Saghieh. Ad aggiudicarsi il premio come personalità mediatica del 2013, è stato infine l’egiziano Hamdy Kandeel. Secondo sheik Bin Rashid Al Maktoum, Kandeel, uomo che difendendo la libertà di espressione ha lavorato anche all’Unesco, è un esempio per tutti quelli che hanno a cuore il futuro dei media arabi. Tra questi ci sono anche tutti quelli che, uscendo dal forum, hanno segnato sull’agenda la data del prossimo anno, promettendo di non mancare. 

 

Foto tratta dalla pagina Facebook di Dubai Press Club.