Bassem Youssef e il destino dei media indipendenti in Egitto

11/04/2013
BY320

Bassem Youssef, il famoso attore di satira politica egiziano conosciuto anche come il “Jon Stewart d’Egitto”, è stato rilasciato su cauzione per quindicimila lire egiziane, un po’ più di 2200 dollari statunitensi (circa 1700 euro, ndt). È accusato di aver insultato il presidente, oltraggiato l’Islam, diffuso notizie false e a quanto si dice anche di un quarto reato che ancora non è stato reso pubblico.

Una folla di suoi ammiratori lo ha accolto con calore all’arrivo presso l’ufficio del procuratore generale. Uno ha portato addirittura una versione gigantesca dell’ormai famoso cappello indossato da Morsi in occasione del dottorato ricevuto da un’università pakistana, con cui lo stesso Bassem si era di recente mostrato nella sua trasmissione. Youssef, ridendo, lo ha calzato per un attimo in strada prima di entrare nell’edificio per sottoporsi all’interrogatorio. Mentre era lì pare abbia mantenuto il sangue freddo, si dice abbia perfino postato qualche tweet spensierato nel corso del procedimento ed è apparso ancor più insolente nella successiva intervista con Christiane Amanpour della CNN. Più tardi, però, ha twittato di nuovo con un tono insolitamente tetro: “Sembra che vogliano prosciugarci, fisicamente, sentimentalmente e finanziariamente”.

Malgrado il suo caso abbia attirato una massiccia attenzione e condanna in ambito sia internazionale che locale – lo stesso Jon Stewart ha dedicato undici minuti della sua trasmissione a dimostrare il proprio sostegno a Youssef e a criticare duramente Morsi – qualche voce fuori dal coro, perlopiù di parte islamista, ha invece commentato come il comico abbia finalmente avuto quel che si meritava. A loro avviso, Youssef sta deliberatamente provocando un disordine sul piano nazionale del quale non c’era alcun bisogno, sta oltrepassando qualsiasi soglia di “opposizione appropriata e costruttiva”, spesso ha “violato norme di carattere morale e culturale” e forse è addirittura “contro l’Islam” in sé. Alcuni sono arrivati addirittura ad avanzare l’ipotesi paranoica che il sostegno mostratogli da Stewart sia la “prova di quanto è ormai ben organizzato il complotto internazionale contro Morsi e il progetto islamico”.

Il giorno dopo, sono state depositate contro Youssef e diverse altre figure mediatiche ulteriori gravi accuse nell’ambito di un caso nuovo e distinto. Il giorno dopo ancora, il quotidiano Al-Watan ha pubblicato una lettera dell’Autorità egiziana per gli Investimenti in cui pare si minacci di cancellare il canale di Bassem Youssef dall’etere a meno che la sua trasmissione non venga chiusa oppure smorzi significativamente i toni, il che ha provocato un’esplosione di sdegno sui social media. Molti ora temono un assalto a oltranza contro Youssef e i media privati.

Dalla satira politica all’attualità: circa due settimane prima, e per la seconda volta nell’arco di pochi mesi, un gruppetto di islamisti ha circondato l’egiziana Media Production City, un vasto agglomerato di studi di ripresa e magazzini. La prima volta che ciò è accaduto, a dicembre del 2012, si era trattato di un evento di grandissima portata. Questa volta invece, le principali organizzazioni islamiste – e addirittura l’uomo che stava dietro all’idea originaria, Abu Ismail – non hanno partecipato, ma coloro che lo hanno fatto hanno sopperito con la violenza al fatto di essere in pochi. Si sono resi protagonisti di scontri con la sicurezza, si dice abbiano aggredito alcuni personaggi mediatici, bloccato degli ospiti e addirittura tentato di fare irruzione nel complesso. Hanno lasciato in pace solo i canali religiosi. Quando se ne sono andati, dopo due giorni, la portata del loro furore aveva ormai lasciato dietro di sé una traccia indelebile.

Esiste un’inimicizia profonda e progressivamente crescente tra gli islamisti del Paese e gran parte dei media privati, forse ancora maggiore della rivalità che li contrappone all’opposizione. Questi media stanno “cercando di distruggere il Paese e di seminare deliberatamente disordine”, affermano i sostenitori dell’islamismo sui social media e anche altrove. Su Twitter e Facebook sono frequenti i post in cui i personaggi mediatici vengono descritti come “mercenari al soldo della controrivoluzione”, così come le accuse secondo cui “questa gente vuole far cadere Morsi ed è contro tutto ciò che è islamico”. Anche i rappresentanti dei Fratelli Musulmani e lo stesso Primo Ministro hanno espresso la propria frustrazione nei confronti dei media privati, accusandoli di non essere obiettivi e di nascondere tutti i risultati conseguiti dal governo, o quantomeno di non garantire loro adeguata copertura. In un manifesto, esposto in occasione del primo sit-in a Media City, alcuni noti presentatori televisivi erano stati trasformati con Photoshop in vampiri con i denti che grondavano sangue.

In generale, una qualche forma di faziosità, se dichiarata, viene sempre più accettata nei media moderni. Molti dei più autorevoli media privati egiziani mostrano una qualche parzialità, un propendere per l’opposizione o per i liberali o per la sinistra dello spettro politico. OnTV, per esempio, si proclama ufficialmente un canale di informazione “liberale” ed è stata fondata dall’imprenditore Naguib Sawiris che è anche uno dei principali esponenti dell’opposizione. In qualche misura anche giornali ad altissima circolazione come Al-Masry Al-Youm, Al-Watan e Al-Shorouk condividono lo stesso orientamento. Parecchi presentatori televisivi spesso sostengono punti di vista allineati con l’opposizione, si intromettono a volte tra gli ospiti dei loro programmi per spingere il discorso in quella direzione e accolgono con favore il manifestarsi di eventuali proteste. Alcuni tumulti di portata limitata in certi casi sembrano addirittura riportati in modo esagerato per scelta editoriale. Di questi tempi è anche incredibilmente difficile trovare sui media privati menzioni positive a proposito di Morsi, della Fratellanza e del governo, malgrado ciò avvenga per motivi sempre più validi, e alcune critiche appaiono un po’ “tirate per le lunghe”. Dal punto di vista tecnico, soprattutto per quanto riguarda la carta stampata, c’è spazio per le critiche obiettive. Forse più spesso del dovuto vengono pubblicate storie basate su fonti anonime e sul sentito dire, i virgolettati sembrano estrapolati dal loro contesto e i titoli possono risultare sostanzialmente fuorvianti.

All’inizio però c’era un certo grado di coesistenza pacifica, e in alcuni momenti – almeno secondo le mie osservazioni – addirittura di incontro positivo tra i media privati e Morsi. Il punto di rottura sembra essere stata la dichiarazione costituzionale del novembre dello scorso anno, con il successivo referendum sulla Costituzione. Da allora, l’atteggiamento dei media privati si è fatto decisamente più aggressivo e critico nei confronti dell’amministrazione e dei Fratelli, in linea con un clima nazionale sempre più polarizzato. L’atmosfera combattiva è diventata sempre più tesa a ogni causa intentata contro esponenti dell’opposizione, giornalisti indipendenti e personaggi mediatici, spesso sulla base di leggi arcaiche le cui origini risalgono a più di un secolo fa e che proibiscono di insultare il presidente o qualsiasi istituzione statale o pubblico ufficiale. Poi, ovviamente, c’è l’allarmante moltiplicarsi delle accuse per “oltraggio all’Islam”.

Anche i media dell’altra fazione però non hanno tenuto una condotta esattamente perfetta. Anche il canale TV della Fratellanza, Egypt 25, e il quotidiano del partito Libertà e Giustizia  sono noti per non essere particolarmente neutrali e obiettivi, per quanto abbiano una visibilità e circolazione di gran lunga inferiore. Se l’opposizione e i media indipendenti vengono accusati di mancare di oggettività nelle loro critiche, di certo sono in buona compagnia. Molte emittenti religiose locali, che si stanno progressivamente aprendo a una quota maggiore di contenuti e dibattiti politici, si mostrano decisamente a favore di Morsi, la loro programmazione è spesso piena di incitamenti contro l’opposizione informazioni false e a volte cercano di esacerbare preoccupazioni e divisioni settarie. Anche l’operato dei media di Stato, soggetti all’influenza di un ministro dell’Informazione che fa parte dei Fratelli e vincolati al sostegno finanziario statale oltre che al Consiglio della Shura che ha svolto un ruolo fondamentale nel selezionarne i vertici, sono oggetto di accese critiche.

In ultima analisi, però, sono tre le questioni che rappresentano il cuore nevralgico del dibattito. La prima e più immediata riguarda la libertà dei media dalle pressioni politiche, specialmente ora che è in corso un conflitto a livello nazionale. La seconda riguarda il dibattito sugli standard professionali che caratterizzano il settore. La terza – e più complessa – si configura come una vera e propria contrapposizione filosofica tra conservatori e liberali riguardo ai paradigmi, le norme e i valori che concernono le modalità con cui i media dovrebbero svolgere il proprio operato.

Anche ammettendo che l’Egitto riuscisse miracolosamente a spezzare questo suo impasse politico, si dovrà poi parlare seriamente dell’etica e dei regolamenti mediatici nel Paese. Bisogna fare moltissimo per supportare gli standard di un autentico giornalismo, per sviluppare un quadro legale e professionale chiaro e coerente in grado di tutelare i soggetti mediatici, difendere la libertà di espressione e proteggere i media di proprietà dello Stato da un’influenza politica ingiustificata. E tutto ciò dovrebbe essere compiuto in modo da generare un adeguato consenso e dovrebbe partire soprattutto dalla stessa comunità mediatica piuttosto che dal governo o dalle camere legislative. Il nuovo sindacato dei giornalisti dovrebbe assumere una posizione di traino in questo senso.

Anche gli islamisti dal canto loro dovranno prendere atto di alcuni elementi necessari: i media possono essere di parte e loro dovranno accettare di convivere con dei soggetti mediatici forti che non li amano molto. Sono ormai finiti i tempi dei regimi politici patriarcali, e i leader islamisti dovranno farlo capire a una base sempre più insoddisfatta. In tutto il mondo stanno aumentando i media di opinione.

Oltretutto, la satira politica come quella fatta da Bassem Youssef è diventata un elemento chiave delle moderne democrazie e della libertà d’espressione che le contraddistingue. Tutti dovranno imparare a conviverci. Chi non ne è contento dovrebbe forse produrne una propria, con la sua impronta, e accettare il fatto che Youssef ha un seguito enorme che vuole che lui faccia quel che fa. Invece di cercare solo di imbavagliare i media, la Fratellanza e i suoi alleati dovrebbero piuttosto tentare di elaborare un modello di come secondo loro dovrebbero essere dei media validi. Una cosa però è certa: tutta questa pressione sta solo aumentando l’insolenza dei media e raccogliendo loro intorno sempre più gente. 

 

Questo articolo è originariamente apparso su www.al-monitor.com – un nuovo sito web dedicato a portare approfondimenti e nuove prospettive dal Medio Oriente. La versione originale si trova su Al-Monitor. 

Traduzione di Chiara Rizzo.