Elezioni in Iraq, dai pulpiti mediatici le ricette di stabilità di laici e islamici

28/04/2014
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Il 30 aprile si vota per le elezioni parlamentari in Iraq e il fittissimo panorama mediatico iracheno si è già trasformato nel pulpito di un numero spropositato di coalizioni e partiti. Il numero di candidati ufficiali annunciati dalla commissione elettorale parlamentare è di 9,045.

A livello mediatico, la proliferazione di nuove liste viene in parte attribuita all’emendamento della legge elettorale approvato il 4 novembre 2013, visto da alcune fazioni politiche minori come una svolta in direzione di un sistema proporzionale. D’altro canto, c’è chi sottolinea come si tratti di “una proposta di legge” (muqtarah qanun) approvata dal parlamento e la corte suprema irachena rimanga teoricamente in grado di dichiarare incostituzionali (art. 60) le proposte di legge che non sono state ideate dall’esecutivo. Ne parla anche lo storico esperto di Iraq Reidar Visser, il quale sostiene inoltre che l’emendamento in questione caratterizzerebbe al contrario il sistema elettorale in senso più maggioritario, e di ciò è pienamente consapevole anche la deputata Hanan al-Fatlawi della Coalizione dello Stato di Diritto (I’tilaf Dawla al-Qanun) guidata dal premier Nouri al-Maliki

Uno degli argomenti all’ordine del giorno nei palinsesti televisivi è la contesa tra partiti laici e islamici e, in particolare, la possibilità che la successione di governi corrotti, dominati da partiti islamici negli ultimi dieci anni, possa fornire chance maggiori alle liste laiche. Ed è proprio parlando di “fallimento (fashl)” degli islamici e delle potenzialità dei partiti laici che il conduttore apre questa puntata del 23 aprile 2014 del programma Sabahi jadid (La mia mattina è nuova), in onda sul canale indipendente Al-Sumaria. Si concede spazio all’ospite Jasim al-Hilfi, esponente dell’Alleanza Civile Democratica (al-Tahaluf al-Madaniyy al-Dimuqratiyy), il quale insiste sulla necessità di porre fine al sistema vigente fondato sulla ripartizione delle cariche sulla base di “quote confessionali” (al-muhassasa at-ta’ifiyya).

Nel replicare a Hilfi, l’altro ospite in studio, Kamal al-Saadi, esponente della coalizione di Maliki, sostiene che nessuna dottrina islamica sia mai stata imposta alla gente e insiste su come le “competenze (kafa’at)” dei governanti non vengano intaccate dalle loro peculiarità ideologiche. Al di là della necessità di sottrarre qualche voto ai partiti laici e sunniti, in cui si inserisce una simile retorica, al-Saadi è ben consapevole del ruolo cruciale giocato dalle autorità religiose nel catalizzare il supporto degli elettori: basti osservare questo video pubblicato da un gruppo di sostenitori di Maliki, preoccupatisi di reperire un comunicato ufficiale di uno dei porta voci dell’Ayatollah Sistani, in cui si conferma che l’eminente autorità sciita di Najaf non supporta il Blocco al-Muwatin (Il Cittadino) di Ammar al-Hakim. Le autorità religiose si sono tra l’altro espresse diverse volte contro i partiti laici, basti pensare a quando l’Ayatollah iraniano al-Ha’iri, fonte di riferimento (marja’iyyah) di Moqtada al-Sadr, aveva espresso la sua contrarietà a un probabile voto di Sadr – che è ora uscito dalla scena politica – a sostegno di partiti non islamici, confermando l’interesse del clero sciita ad assicurarsi che l’Iraq continui a essere dominato da forze politiche di matrice ideologica religiosa.

Secondo l’autore iracheno Mustafa al-Khadimi, è proprio la tinta confessionale a dominare la competizione elettorale, in assenza di programmi elettorali dettagliati, dal momento che la maggioranza delle liste sembrano sottovalutare la esigenze dell’elettore iracheno e preferiscono sommergerlo di slogan. Ed è difficile dargli torto osservando le pagine Facebook e Twitter create a sostegno di alcuni dei principali candidati alla presidenza del consiglio: Maliki viene presentato come il capo delle forze armate, l’unico “duce” (qa’id) in grado di guidare l’Iraq a patto che riesca a formare un “governo di maggioranza” (hukuma al-aghlabiyya), ma anche come un premier orgoglioso della sua “identità sciita” (shi’iyy al-huwiyya). Dal canto suo, il presidente sunnita della camera, Usama al-Nujaifi, candidato della lista al-Muttahidun (Gli Uniti) ha messo in guardia il Consiglio degli Ulema di Baghdad dal “cambiamento demografico” (al-taghiir al-dimughrafiyy) in atto nella capitale, vale a dire l’aumento degli sciiti a scapito dei sunniti, insistendo su quanto il voto sunnita sia fondamentale nel contrastare l’emarginazione politica di tale comunità.

Sia la retorica militarista che le tensioni interconfessionali non possono essere scisse dalla situazione della provincia occidentale dell’Anbar, ancora contesa tra truppe governative, miliziani di ISIS (lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) e clan sunniti insorti contro Baghdad. Chi si propone come un’alternativa alla classe dirigente è chiamato pertanto a rassicurare gli elettori circa la sua intransigenza sulla minaccia dei “terroristi” (irhabiyyun): al-Hilfi (Alleanza Civile Democratica) si preoccupa pertanto di sottolineare il suo supporto per “l’impavido” (basil) esercito iracheno nella lotta “contro le forze terroristiche che intendono riportare l’Iraq sotto una dittatura”. Nello stesso ambito, è interessante notare come la libertà di espressione sia tollerata, dal punto di vista dell’establishment, a patto che non miri alla “distruzione dello Stato” (tahdim al-dawla): è questa infatti la descrizione dell’agenda delle emittenti “prezzolate” (ma’jura) e prive di “oggettività” (mawdu’iyya) fornita da al-Saadi, in un chiaro riferimento a Baghdad, il canale espressione del dissenso sunnita, finanziato dal Partito Islamico di Tareq al-Hashimi. Al-Saadi, in qualità di rappresentate di una coalizione di forze islamiche sciite e secondo un canovaccio ben noto alle classi dirigenti irachene, utilizza sempre la situazione precaria della sicurezza per giustificare i fallimenti degli ultimi dieci anni: “Stiamo ricostruendo lo Stato dalle fondamenta, in condizioni innaturali, confrontando il terrorismo, e possiamo pertanto parlare di successi relativi e non di fallimento da parte dei partiti islamici.”

La gestione del dossier della sicurezza viene invece utilizzata come prova della corruzione e del carattere fallimentare dei due mandati Maliki (2006-2010, 2010-2014) nei programmi schierati apertamente contro il governo.  È questo il caso di Sanawat al-Fashl (“Gli Anni del Fallimento”), programma del canale indipendente al-Baghdadia presentato da Abdul-Hamid al-Sa’ih, lanciato a fine marzo con l’intento di passare in rassegna i fallimenti dei governi Maliki, dedicando una serie di episodi a ogni ministero. In questa puntata del 13 aprile 2014, si menziona l’aumento delle vittime del terrorismo a partire dal 2013 (9571 vittime), dopo un netto miglioramento tra il 2009 e il 2012 (4587 caduti nel 2012). In meno di quattro mesi dall’inizio del 2014 sono state uccise 3354 persone, un numero quasi equivalente al totale dei caduti del 2012.

Si ricorda inoltre l’importazione dal Regno Unito di 6000 attrezzature per la rivelazione di ordigni esplosivi (ajhiza kashf al-mutafajjirat), per un costo complessivo di 100 milioni di dollari, attrezzature di cui i politici iracheni avevano garantito l’efficienza al 100 percento e che si sono rivelate una truffa colossale ideata da tale James McCornick, il quale le aveva assemblate in modo artigianale in Inghilterra.

Infine, vengono citate le ricorrenti evasioni di prigionieri al-qa’idisti dalle carceri irachene, emblema della corruzione esistente all’interno degli istituti penitenziari: la fuga più clamorosa si è registrata a luglio del 2012 a Tikrit, città natale di Saddam Hussein, mettendo in libertà 102 membri di al-Qa’ida, di cui 47 condannati a morte. 

Alla vigilia delle elezioni parlamentari irachene, la sicurezza risulta quindi uno dei cavalli di battaglia di entrambi i fronti. Da una parte, la sicurezza giustifica i limiti dei successi governativi, invitando i cittadini ad assicurarsi che la guerra contro i “terroristi” venga condotta da chi l’ha guidata sin dal rovesciamento di Saddam. Dall’altra, la sicurezza è emblema dei fallimenti di Maliki e dovrebbe spronare gli elettori a votare per il cambiamento, per una maggiore trasparenza nella gestione di un ministero dell’interno sprofondato nella corruzione come le altre “branchie” del potere esecutivo. 

 

Photo credits: @Nyistan (via Twitter)