Al-Baghdadia: l’ultima emittente nel mirino del governo iracheno

Al_Baghdadia

Una televisione e una radio chiuse dalle autorità per presunte “violazioni amministrative”. È solo l’ultimo esempio di un clima teso e di una realtà tanto difficile quanto poco conosciuta: quella dell’informazione in Iraq.

L’episodio risale a dicembre. A Baghdad, le forze di sicurezza governative hanno circondato le sedi di  Al-Baghdadia, televisione satellitare irachena che trasmette dal Cairo, e di radio Al-Mahaba, una stazione indipendente che si occupa dei problemi delle donne. Le due emittenti sono state costrette a  interrompere le trasmissioni e i militari hanno obbligato il personale ad uscire.

A dare la notizia sono stati giornali locali e l’Osservatorio sulle libertà giornalistiche, FJO, organizzazione non governativa irachena per la difesa della libertà di stampa.

Le motivazioni sono poco chiare. Secondo la versione fornita dal ministero degli Interni, Al-Baghdadia avrebbe violato normative non meglio specificate e rifiutato di sottoscrivere un codice di regolamentazione anch’esso imprecisato. Inoltre, la televisione satellitare sarebbe in arretrato col pagamento delle tasse dovute alla Communications and Media Commission, CMC, l’organismo di controllo sull’emittenza radio-televisiva. A detta del ministero, anche Al-Mahaba sarebbe stata chiusa per lo stesso motivo.

Non la pensano così i giornalisti delle due emittenti, secondo i quali all’origine dei provvedimenti ci sarebbero i contenuti critici nei confronti del governo. Al-Baghdadia è infatti conosciuta per aver accusato di corruzione alcuni funzionari governativi.  

A chiedere alle autorità di Baghdad di “permettere alle emittenti di riprendere immediatamente le operazioni” è stato Sherif Mansour, coordinatore per il Medio Oriente e il Nord Africa del Committee to Protect Journalists, CPJ, un’organizzazione internazionale per la difesa della libertà di stampa con sede a New York.  Mansour ha anche sottolineato che non bisognerebbe chiudere arbitrariamente testate giornalistiche solo perché mandano in onda servizi sgraditi al governo.

Non è la prima volta che in Iraq accadono fatti di questo tipo e non sarà l’ultima. Se è vero infatti che la caduta del regime di Saddam Hussein, seguita all’invasione guidata dagli Stati Uniti del marzo 2003, ha spalancato le porte a un pluralismo dell’informazione, è altrettanto vero che in questo campo la strada da fare è ancora tanta. Ed è tutta in salita.

Dopo la caduta del regime, sono nate centinaia pubblicazioni, agenzie stampa e decine di emittenti televisive e radiofoniche, ma l’Iraq resta uno dei Paesi più pericolosi al mondo per i giornalisti. Gli operatori dell’informazione pagano spesso con la vita il solo fatto di voler fare il proprio mestiere: 94 quelli assassinati finora secondo il CPJ. Il 39 per cento si occupava di politica. Omicidi che restano impuniti.

Da qualche anno una deriva autoritaria sempre più marcata, che investe l’intero campo delle libertà civili, prende di mira l’informazione – in particolare quella indipendente. Strumento del giro di vite proprio la CMC, che in giugno aveva ordinato la chiusura di ben 44 testate, locali e internazionali. Fra queste, la BBC e ancora Al-Baghdadia .

A essere nel mirino delle autorità, questa emittente ci ha ormai fatto il callo. Già chiusa una prima volta nel 2010 in seguito a un attentato che aveva colpito una chiesa di Baghdad, ai suoi giornalisti viene spesso impedito di lavorare. L’ultima volta è successo il 24 novembre, quando questi non hanno potuto seguire le celebrazioni dell’Ashura, un’importante ricorrenza religiosa sciita.  Il motivo? Sarebbero sostenitori di Saddam Hussein.