Arriva il Dpi: il grande fratello dei social egiziani

220px-2011_Egyptian_protests_Facebook_&_jan25_card

Nulla più potrà sfuggire al controllo del governo egiziano. Questa almeno la previsione che si può fare osservando la ronda delle istituzioni cairote sull’arena digitale del paese.

Secondo un articolo pubblicato il 17 settembre dalla testata on-line americana BuzzFeed, l’Egitto starebbe per impiegare un nuovo sistema di sicurezza: il Dpi (Deep Packet Inspection), evoluzione del già invasivo Packet Inspection, che non si limita a controllare l’intestazione dei pacchetti inviati e ricevuti – e quindi capire chi comunica a chi – ma anche i dati contenuti all’interno della comunicazione. L’obiettivo è quello di monitorare mezzi di comunicazione e social network come WhatsApp, Viber, Skype, Facebook, Twitter, Google e YouTube, alla ricerca di contenuti non conformi ai criteri stabiliti dal governo.

La compagnia egiziana Systems Engineering of Egypt (See Egypt), satellite dell’americana Blue Coat, dovrebbe svilupparne il sistema.

A rendere obbligatorio il condizionale su quanto pubblicato da BuzzFeed è stata la dichiarazione del governo egiziano che, attraverso la pagina Facebook del Ministero dell’Interno, si è affrettato a tacciare l’articolo come completamente falso. Il Ministero si è anche prodigato nel mettere in guardia i media dall’annunciare notizie non vere, dice Al-Arabiya News, specialmente durante questo periodo in cui l’Egitto si trova ad affrontare sfide che inducono la popolazione a non avere fiducia nel governo, come riporta l’Egypt Independent. Per ribadire il concetto, il portavoce del Ministro dell’Interno, il generale Hany Abd el Lateef, ha dichiarato che gli egiziani stanno vivendo in “un’era di libertà, dove ognuno può esprimere se stesso” – “chi vi ha detto che stiamo monitorando la vostra vita privata? Noi stiamo monitorando questioni politiche […]”. Queste parole contraddicono però quelle di Ali Miniesy, Ceo della compagnia See Egypt. È stato lui, infatti, a rilasciare l’intervista per BuzzFeed, confermando che la sua azienda è riuscita ad aggiudicarsi il contratto con il governo egiziano, istruendo i funzionari su come combinare i dati provenienti dagli account e-mail con quelli dai social network. Come sostiene Mashable, la See Egypt ha smentito la notizia attraverso la pagina Facebook del presidente della compagnia che nega persino di aver partecipato alla gara d’appalto. Mentre la Blue Coat, da parte sua, ha preso le distanze dall’azienda affiliata, sostenendo di aver ormai ceduto tutte le quote della See Egypt agli egiziani che la controllano totalmente.

A dare la prima notizia della possibilità che il governo avesse l’intenzione di implementare il sistema di sorveglianza era stato il quotidiano Al-Watan a giugno. Ciò aveva dato il via a numerosissime critiche sui social network espresse – su Twitter – attraverso l’hashtag إحنامتراقبين  “siamo controllati”, diventato presto il veicolo del dissenso di quanti si sono voluti ribellare allo status di “sorvegliati” dal governo egiziano.

Il funzionario che ha rilasciato la dichiarazione a BuzzFeed – in maniera non autorizzata, secondo la versione governativa – ha detto “siamo alla ricerca di qualsiasi conversazione, qualsiasi scambio potenzialmente preoccupante o da tenere sotto controllo”. In precedenti comunicazioni del Ministro dell’Interno, fra coloro su cui si mette a fuoco la lente d’ingrandimento del governo egiziano ci sono “islamisti, omosessuali, e chiunque altro non rifletta i valori condivisi dalla società egiziana”, riporta l’Egypt Independent che, a fine articolo, ci mette a disposizione la seconda parte della nutrita lista di atteggiamenti (dalla blasfemia al sarcasmo, dal pettegolezzo alle decontestualizzazioni) che saranno monitorati.

 

Tra dichiarazioni non autorizzate, smentite e rettifiche ufficiali, restano però gli studi di quanti hanno avanzato le proprie perplessità sull’operato della Blue Coat. Come Reporter senza frontiere, che nel 2013 aveva stigmatizzato l’azienda americana come “nemica di internet”. O il Citizen Lab, centro di ricerca interdisciplinare canadese affiliato all’università di Toronto che nel gennaio dello stesso anno aveva stilato una lista di paesi che avevano colpito l’attenzione della Blue Coat. Tra questi anche l’Egitto – insieme a Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e altri paesi del mondo arabo – dove il controllo delle comunicazioni online e cellulari va avanti dagli anni della presidenza di Mubarak e anche proprio grazie a strumenti come il Dpi.

Una notizia recente è quella del giornale Al-Ahram, per cui il presidente Abdel Fattah al-Sisi, durante il discorso tenuto in una cerimonia alla Cairo University, ha messo in guardia gli studenti universitari dall’astenersi da attività “maliziose”. Rivolgendosi a quei giovani che ha definito come propri figli e che fanno uso di quegli stessi mezzi di comunicazione “sorvegliati” che per la prima volta hanno permesso al Medio Oriente di riscrivere un pezzo della propria storia.

Sarà forse un tentativo del generale di preparare il terreno al nuovo sistema di monitoraggio delle comunicazioni online?