Hassan Rouhani lo aveva annunciato, ancora prima di essere eletto, come uno degli obiettivi del suo mandato e ora, incredibilmente per i tempi della Repubblica islamica, da qualche settimana è diventato realtà: in Iran gli utenti della rete possono navigare con i propri device, smartphone e tablet col sistema 3G e anche col 4G.
Una vera e propria novità per gli iraniani che combattono da sempre con un sistema lento, farraginoso e inefficiente. Ma fosse solo la velocità il problema. Nella Repubblica islamica chiunque voglia utilizzare i più comuni strumenti di aggregazione sociale sul web – Facebook, Twitter, Youtube, Linkedin – ma anche browser come Google o tenere un account di posta su Gmail, deve combattere ogni giorno con i blocchi governativi, potenti firewall e con i sistemi antifilter che aprono una finestra nella censura soft. In sostanza, chiunque voglia usufruire di gran parte delle potenzialità della rete deve avere dimestichezza con blandi sistemi di hackeraggio antigovernativi, reinderizzanre l’ip e forzare le limitazioni, salvo poi trovarne di nuove e ricominciare a ingegnarsi, in un botta e risposta continuo.
Nulla di nuovo, in realtà. Ce ne siamo accorti già nel 2009, durante le manifestazioni di protesta post elettorali, quando le autorità misero KO la rete per impedire che le informazioni corredate alle immagini uscissero facilmente dai confini nazionali. Ma oggi, in una situazione di relativa calma sociale e con parte della popolazione giovanile in ottimistica attesa delle riforme annunciate nel giugno 2013 dal presidente Rouhani, per sabotare il sistema di comunicazione non sono necessari blocchi o scelte plateali del governo come quella di interrompere periodicamente l’uso di Google o Gmail, basta anche solo fornire un servizio lento e inadeguato che in molti casi viaggi a meno di 256 kbs. Per capire, un adsl a 7mb, come ormai offrono quasi tutti i gestori telefonici in Italia, viaggia circa 28 volte più velocemente.
La prova ce l’abbiamo anche ora, mentre scriviamo e intanto chattiamo con Soheil per chiedergli qualche conferma sulla velocità di internet e lui si scusa: “mi dispiace, sto provando a rispondere più velocemente, ma internet è un disastro. E pensare che il mio operatore è anche uno dei migliori, ma quando controllo la posta a volte impiego cinque o dieci minuti solo per aprirla”. Soheil ha 30 anni ed è uno dei tanti giovani iraniani che combatte quotidianamente con la rete. “Da qualche settimana però – dice – abbiamo il 3 e il 4G, non è veloce come da voi, ma per noi è già molto”.
La novità di cui parla Soheil è stata recepita dalle due compagnie iraniane, Rightel e Irancell, dopo che il ministro delle Comunicazioni, Mahmoud Vaezi, ha autorizzato un piano per passare agli operatori privati la licenza per il 3G e il 4G. Velocizzare le connessioni internet attraverso i dispositivi mobili offrirà a tutti la possibilità di collegarsi più facilmente, dentro e fuori il paese, facilitando quella rivoluzione 2.0 che non piace ai conservatori e ai religiosi al punto che ai primi di settembre il Grande Ayatollah Nasser Makarem Shirazi ha lanciato una fatwa contro il sistema 3G considerato contrario alla sharia. E la magistratura iraniana ha bloccato per un mese i sistemi di accesso a Whatsapp, Viber e Tango.
L’alternativa che piace ai più intransigenti, e che contrasta con la politica dei riformisti, è invece quel progetto di Halal Internet o Internet-e melli, come lo chiamano in persiano, di cui si parla già dal 2012 e che in realtà non è mai partito pienamente. L’ipotesi di un internet nazionale è cominciata a girare già nel 2002, come una alternativa autoctona che avesse server trasferiti in Iran e che avrebbe dovuto proteggere la rete da virus e cyber attacchi e, infine, avrebbe reso la navigazione più veloce. Ma che tipo di navigazione? Navigazione in un sistema chiuso, una sorta di lago che per quanto grande non ha sbocchi verso l’esterno.
Internet-e melli, si era promesso, sarebbe stato esteso a tutto il paese, ma dal 2012 a essersi spostati sul sistema internet sono state solo alcune istituzioni come il server del Majlis. A questo stesso periodo corrisponde anche la creazione del Consiglio Supremo del Cyberspazio, una creatura nata perché la guida Suprema Ali Khamenei ha ritenuto necessario un organismo che presiedesse le politiche di utilizzo della rete e che transitasse verso quell’internet nazionale. In sostanza, un modo di centralizzare la gestione del web da parte delle autorità governative.
È anche questo uno dei tanti paradossi di questo paese che fa a lotta fra la sua anima conservatrice e le forti spinte verso l’esterno, e in cui mentre si proibisce l’uso di parabole satellitari e dei social network, la stessa guida spirituale e politica, Ali Khamenei tiene attivo un account su Twitter e Instagram (anche in inglese), utilizzando quella velocità della rete e quegli stessi strumenti di comunicazione col mondo che si tenta di negare agli altri.