Zaman commissariato: la fine della stampa libera in Turchia?

01/04/2016
Un uomo con una copia dell'edizione di sabato di Zaman, con il titolo “Costituzione sospesa”, durante una manifestazione fuori dagli uffici del giornale a Istanbul. (AP Photo/Emrah Gurel)

Essere un giornalista in Turchia non è un mestiere semplice. Nell’indice della libertà di espressione nel mondo, la Turchia si classifica al 149esimo posto su 180; secondo la Freedom House, la condizione dei media è inesorabilmente peggiorata nel corso degli ultimi cinque anni. Nel febbraio 2014, è stata approvata una legge che aumenta il controllo dei media da parte di governo e servizi segreti, mentre arresti e attacchi sono all’ordine del giorno per chi osa scrivere e criticare il governo del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP). Non sono solo i giornalisti a essere presi di mira, ma anche intere testate. Da ultimo, è stato il turno di Zaman, che con una diffusione di circa 650mila copie rappresenta il più importante giornale di opposizione in Turchia.

Nella serata di venerdì 4 marzo, la polizia ha fatto irruzione nella sede del giornale a seguito della decisione di un tribunale di Istanbul di nominare un amministratore fiduciario per la gestione del Feza Media Group, un gruppo editoriale che possiede Zaman, la sua versione inglese Today’s Zaman, l’agenzia di stampa Cihan e la rivista Aksiyon. La redazione ha fatto appena in tempo a mandare in stampa l’edizione del sabato, dove in prima pagina si legge “Un giorno vergognoso per la stampa libera in Turchia”. La polizia è intervenuta con fumogeni e idranti per disperdere la folla radunata nel piazzale antistante la sede del quotidiano per protestarne la chiusura. La direzione del giornale è stata sostituita da Tahsin Kaplan, Metin Ilhan e Sezai Şengönül, tutti giornalisti vicini al governo dell’AKP.

Il giorno seguente, il giornale è uscito in una nuova veste, con in prima pagina una foto del Presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdoğan che si compiace del completamento del terzo ponte sul Bosforo. Il cambio di tendenza è evidente a tutti.

L’attacco contro Zaman arriva in un momento in cui è fortemente aumentata la stretta sui media: nel novembre 2015, Can Dündar e Erdem Gül, rispettivamente capo-redattore e capo della redazione di Akara del giornale di opposizione Cumhurriyet, erano stati arrestati con l’accusa di spionaggio e terrorismo per aver pubblicato un’inchiesta sul traffico di armi tra Ankara e lo Stato Islamico. I due sono stati rilasciati a  febbraio, dopo che la Corte Costituzionale ha sancito la violazione dei loro diritti da parte del governo, ma il processo è ancora in corso e i due rischiano l’ergastolo. Il giorno dopo il rilascio dei giornalisti di Cumhurriyet, è stato il turno dell’emittente İMC TV, oscurata con l’accusa di propaganda terroristica. Nello stesso periodo è stato arrestato anche il produttore di ViceNews Mohammed Rasool, numerosi giornalisti internazionali sono stati espulsi ed è stata aperta un’indagine contro circa 1000 accademici turchi, colpevoli di aver firmato una petizione per la pace nel sud-est.

I giornalisti di Zaman, sgraditi alla nuova gestione, si sono aggiunti alla già folta lista di giornalisti perseguitati anche solo per aver condiviso sui social network frasi che ironizzano o criticano il governo. Nonostante ciò, in tempi brevi sono state lanciate due nuove pubblicazioni: il giornale online Yarina Bakiş e la piattaforma Turkish Minute, dove vengono raccolti articoli in lingua inglese che la nuova gestione di Zaman rifiuta di pubblicare.

 

Le ragioni della chiusura

Il Feza Media Group è stato accusato di agire per conto dell’organizzazione terroristica conosciuta come Feto, un termine dispregiativo che molti utilizzano per riferirsi a Hizmet, movimento guidato dal predicatore e studioso dell’islam Fetullah Gülen, dal 1999 in auto esilio negli Stati  Uniti. I membri di Hizmet non sono noti, in quanto non esiste un registro e la struttura dell’organizzazione è stata descritta come network flessibile: tra le numerose attività di Hizmet figura l’amministrazione di scuole, organizzazioni umanitarie, associazioni professionali e la proprietà di alcuni media e gruppi editoriali, tra cui il Feza Media Group. Hizmet sostiene di essere un movimento civico e di non avere nessuna aspirazione politica: non è della stessa idea il Presidente Recep Tayyip Erdoğan, che accusa Gülen e i suoi sostenitori di cospirare contro lo stato. Tra Gülen e Erdoğan, considerati oggi acerrimi nemici, un tempo correva buon sangue: malgrado le differenze ideologiche e religiose, i due avevano mantenuto un matrimonio di comodo dal 2003, uniti dall’interesse nell’aumentare la loro rispettiva influenza nel paese e di indebolire l’oligarchia militare e lo stato kemalista. Con l’appoggio di Gülen, l’AKP ha trionfato sotto la leadership del Primo Ministro e oggi Persidente Recep Tayyip Erdoğan; in cambio, l’AKP ha chiuso un occhio sull’infiltrazione dei Gulenisti nella polizia, nella magistratura e in altri rilevanti settori dello Stato. Questa alleanza comincia a traballare nel 2011, per poi distruggersi completamente nel 2013. Le cause della fine del sodalizio sono molteplici: vale qui la pena ricordare che con il processo Ergenekon[1] il governo di Erdoğan è riuscito a liberarsi dell’oligarchia militare, accusata di tramare contro il governo stesso; questa manovra è stata possibile anche grazie all’infiltrazione di Hizmet nell’apparato statale turco. Sconfitto il nemico comune, si sono accese le rivalità interne e Erdoğan deve aver capito che, per sconfiggere un mostro, ne aveva creato un altro anche più pericoloso. Questi eventi raccontano molto degli ultimi 15 anni di storia politica turca, spiegandone molteplici sottotrame. E alla fine, questa è una storia che è arrivata ad incidere anche sulla libertà di stampa in Turchia. Al tempo dell’idillio tra Gülen e Erdoğan, Zaman sosteneva fortemente il governo; il cambio di rotta da sostenitore a oppositore dell’AKP è avvenuto in modo tanto repentino quanto quello a cui assistiamo oggi a seguito del commissariamento.

Storia di Ahmet Şık

Una storia su tutte rappresenta al meglio i voltafaccia del Feza Media Group e in particolare del quotidiano Zaman: è la storia di Ahmet Şık. Il giornalista e scrittore fu arrestato nel marzo 2011 per affiliazione nell’organizzazione terrorista Ergenekon e incitamento all’odio. Şık aveva appena completato la stesura del libro “L’Esercito dell’Imam”, tutt’ora non pubblicato, che indagava Hizmet e le sue relazioni con lo Stato. Al tempo Zaman era uno dei quotidiani che con più veemenza si era scagliato contro Şık, arrivando a affermare che era in atto una cospirazione per creare la falsa impressione che il giornalista fosse perseguitato a causa del libro che aveva pubblicato. Malgrado il commento più spontaneo al commissariamento di Zaman sarebbe potuta essere ‘chi la fa la aspetti’, il giornalista Ahmet Şık ha evitato di vendicarsi e al contrario, ha commentato l’accaduto con un Tweet nel quale ha solidarizzato con la redazione del giornale, affermando che anche “i gulenisti, che erano i perpetuatori del fascismo qualche anno fa, oggi lo stanno subendo”. In risposta, Ali Aslan, rappresentante di Zaman a Washington, ha risposto scusandosi per non aver difeso al tempo la libertà del giornalista. La vicenda di Zaman è inclusa nel report “Il Giornalismo sotto Assedio” a firma dello stesso Şık e pubblicato il 23 marzo scorso.

La chiusura di Zaman è stata veramente il funerale della libertà di stampa in Turchia?

Non proprio. Zaman era diventato un quotidiano di opposizione non perché sostenesse la libertà di stampa, quanto per gli interessi del gruppo editoriale e per le beghe tra Erdoğan e il suo vecchio amico Gülen. Il commissariamento di Zaman si colloca in un continuum di oppressioni e interessi a svantaggio della libertà di stampa nel paese. In molti hanno osservato che questo verrà ricordato come il giorno in cui la Turchia ha oltrepassato il limite, rinunciando anche a una parvenza di democraticità. Non dobbiamo, però fingere che il commissariamento di Zaman rappresenti la fine della libertà di stampa in Turchia, perché la stampa non era libera neanche prima di questo evento. Fredericke Geerdink, giornalista olandese arrestata e deportata dalla Turchia per i suoi reportage sul conflitto con la minoranza curda nel sud-est del paese, ha commentato l’accaduto dicendo che ‘il Presidente Erdoğan sta solo portando la precaria situazione della libertà di stampa in Turchia a nuovi ed estremi livelli, utilizzando le preesistenti strutture dello Stato.’ Il commissariamento del giornale Zaman è un evento estremamente grave, che aumenta la preoccupazione nei confronti dello stato della libertà di stampa in Turchia, ma è altrettanto grave che i mezzi di comunicazione vengano utilizzati come strumenti di lotta tra poteri divergenti. La storia di Ahmet Şık è, al contrario, un esempio di giornalismo e di onestà, che non muta i propri valori a seconda di dove soffia il vento.

L’8 marzo, appena quattro giorni dopo il commissariamento di Zaman, il leader europei hanno incontrato la loro controparte turca, stilando un accordo per la risoluzione della crisi migratoria. L’importanza della Turchia, partner strategico indispensabile nel piano dell’EU, si ripercuoterà sulla capacità dell’Unione di premere sulla Turchia affinché il governo allenti la presa sulla liberà di stampa e di espressione. Quando si dice: “oltre al danno anche la beffa”.

[1] Ergenekon è il nome dato ad una organizzazione clandestina turca di stampo kemalista e ultranazionalista, che ha forti legami con le forze militari e di sicurezza nel paese. Dal 2008, il gruppo è sotto processo.