Wafaa al-Kilani: contro ogni taboo o solo chiacchere da salotto?

04/03/2015
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Dai tempi della sua ascesa sugli schermi di Rotana Music (2005), colosso saudita dell’intrattenimento musicale, fino all’ “adozione” libanese sotto Lbc (2009) e infine l’approdo all’Mbc saudita (2012), lo stile diretto e a volte sfrontato della presentatrice egiziana Wafaa al-Kilani l’ha resa una delle figure più discusse della televisione araba.

Da “Controcorrente” (Dod el-Tayyar, 2008), a “Senza Censura” (Bidun Raqaba, 2009), passando per “Che cosa c’è” (Fiha Ehh, 2010) e “Il Verdetto” (al-Hukm, 2014), l’impostazione si ripropone con alcune varianti, ed è quella di un interrogatorio serrato, il cui scopo è mettere in difficoltà l’ospite con ogni mezzo possibile. Si tratta senza dubbio di un pregio, in un panorama di giornalisti dediti ad allestire “salotti da tè” e incensare le celebrità invitate.

E’ così che in questa puntata di “Senza Censura, l’altezzosa stella del cinema egiziano Nadia al-Gundi si trova a difendersi da chi la accusa di aver impersonato se stessa nel corso di tutta la sua carriera cinematografica, dimostrando una scarsa capacità di adattarsi ai personaggi interpretati. Il fatto che celebrità simili abbiano accettato di essere messe in imbarazzo al tavolo di “Senza Censura”, ha portato i più scettici a supporre che siano state pagate per farlo, ma Wafaa al-Kilani ha prevedibilmente smentito tali illazioni.

Al di là dell’imbarazzo causato al jet-set dello spettacolo, l’aspetto più interessante di “Senza Censura” è stato senz’altro il coraggio nell’affrontare una serie di taboo sociali e sessuali, tra cui il diritto all’aborto per le donne vittime di stupri, l’eutanasia, i matrimoni tra omosessuali e la convivenza tra coppie non sposate. Tuttavia, la scelta ricorrente di discutere tali tematiche nei confini limitanti del botta e risposta “Contrario e Favorevole” (Didd wa Ma’a), a cui si sono dovuti sottoporre tutti gli ospiti del programma, ha finito per erodere le zone grigie più interessanti delle risposte complesse fornite da intellettuali come la femminista egiziana Nawal al-Saadawi e l’attivista laica kuwaitiana Ibtihal al-Khatib.

La puntata di cui è stata ospite al-Saadawi il 9 dicembre 2009, come fa notare il ricercatore Ahmad Mahmud al-Qasim sul sito Green Column (al-Rukn al-Akhdar), ha avuto il merito di dibattere taboo sociali di fondamentale importanza quali il sesso, la religione e la politica. Per di più in un contesto pre-rivoluzionario, dove non era da tutti esplicitare il proprio rigetto della farsa delle presidenziali egiziane in diretta televisiva.

Alcune risposte di al-Saadawi sono momenti di alta televisione, come quando sottolinea l’assenza del libero arbitrio nella scelta di ogni religione ereditata dalla propria famiglia e la soggezione dell’aspetto della donna alle pressioni sociali, nel caso decida di nascondersi con l’hijab dagli sguardi che la vorrebbero macchina sessuale, ma anche qualora preferisca attirare tali sguardi truccandosi. L’aspetto patinato della presentatrice al-Kilani e la sua difesa dell’educazione islamica ricevuta non potrebbero essere più appropriati nel dialogo con al-Saadawi. “A che conclusioni sei giunta dopo tutti questi libri che hai studiato?” chiede al-Kilani sfacciatamente. “La ricerca è continua, non esiste una fine,” risponde al-Saadawi. “Tutto ha una fine, a differenza della fede,” insiste la presentatrice. “La creatività è una serie di domande aperte,” replica l’intellettuale. Se da un lato questo dialogo conferma una certa trivialità di Kilani, che apostrofa la nota femminista chiedendole a cosa servano tutti i suoi studi in assenza di fede, dall’altro le sue domande rispecchiano quelle che una porzione significativa dei telespettatori avrebbero voluto porre. Al-Saadawi viene così esposta alle critiche della strada, di chi ha imparato a osservare il mondo attraverso la lente delle tradizioni culturali e religiose.

Detto ciò, “Senza Censura” rimane un prodotto di quella che al-Saadawi definisce la “colonizzazione (isti’mar) dei media arabi”, asserviti pertanto alle leggi del mercato tanto quanto lo sono le emittenti commerciali occidentali: la maggioranza degli ospiti non sono pertanto dei luminari, ma VIP dello spettacolo. Dietro il pretesto dichiarato di “mostrare il volto umano degli artisti”, al-Kilani si accanisce spesso sulle vicende personali degli ospiti, vantandosi di essere riuscita a “mettere il dito nelle piaghe della loro infanzia”. Un approccio simile tradisce un cedimento a favore del gossip da tabloid ed è stato a buon diritto ridicolizzato anche dalla comica libanese Bassem al-Feghali, che ha realizzato un breve videoclip imitando Wafaa al-Kilani, il suo stile inquisitorio e il gusto per le tragedie personali: “Hai mai provato a suicidarti? Ti è piaciuto? Perché non ci provi un’altra volta?” sono alcune delle domande scandite in rima con la voce sensuale di al-Feghali.

La stessa resistenza alla censura sbandierata nel titolo del programma sembra essere soggetta a dei limiti. In occasione della puntata dedicata allo “scandalo” che aveva investito nel 2009 l’icona del cinema egiziano Nour al-Sharif e gli attori Hamdi al-Wazir e Khalid Abul-Naga, accusati da un giornale cairota (al-Balagh) di partecipare a festini omosessuali, si suppone che ogni riferimento alla condotta sessuale di Sharif sia stato eliminato prima di mandare in onda la registrazione del talk show: come osserva Mohammad Abdul-Rahman sulle pagine del quotidiano libanese al-Akhbar, in un articolo intitolato “Wafaa al-Kilani: Nour al-Sharif è una linea rossa!”, desta più di un sospetto il fatto che si sia lasciato spazio alle osservazioni dell’avvocato Nabih al-Wahsh sulla condotta sessuale di al-Wazir e Abul-Naga senza nessun riferimento a Sharif. La scelta stessa di dar spazio a una vicenda simile in chiave scandalistica, invitando degli avvocati in studio perché prendessero le parti dei litiganti, è alquanto discutibile, quando lo “scandalo” di Sharif poteva essere un pretesto per discutere la percezione dell’omosessualità nella società egiziana (i due giornalisti coinvolti erano stati accusati di diffamazione e condannati a pagare 40.000 lire egiziane [circa 4600 euro]). Forse avrebbe significato osare troppo anche per “Senza Censura”.

All’impostazione dei programmi di al-Kilani bisogna comunque riconoscere il coraggio di affrontare alcune tematiche controverse attraverso uno stile diretto e accattivante, anche se il passaggio alla saudita Mbc nel 2012 è stato accompagnato da un affievolirsi dei toni. Il tutto a conferma dell’avanguardia storica dei media libanesi nel panorama regionale in quanto a libertà d’espressione, a dispetto delle tensioni che continuano ad attraversare il Paese da 40 anni a questa parte.