In Siria nel corso dell’ultimo anno c’è stata una rivoluzione nella rivoluzione: un’evoluzione significativa delle pratiche di utilizzo di Internet e dei social media come mezzo di espressione e di distribuzione di contenuti.
Se si escludono i mezzi di comunicazione governativi, che rappresentano un discorso a parte, oggi chi si avvicina alla sfera Internet siriana si trova di fronte a uno dei panorami informativi più interessanti del mondo arabo. Una moltitudine di siti d’informazione, aggregatori web, agenzie di stampa online, pagine dedicate a campagne o reti di attivisti offrono oggi un’enorme quantità di informazioni sulla rivolta in Siria. Alle iniziative che nascono e poggiano unicamente sulla Rete devono essere aggiunti tutti quei media (radio, televisioni, giornali, riviste) che pur distribuendo i propri contenuti su altre piattaforme considerano ancora essenziale la propria presenza in Internet. Negli ultimi tre anni, i siriani hanno aperto più di cento testate (radio, giornali, riviste e televisioni) sempre più professionali e dotate di una redazione.
Sono queste nuove istituzioni mediatiche che oggi dominano la sfera Internet siriana. Le pratiche di utilizzo del web non si riducono più a un uso individuale della Rete, ma assumono una dimensione sempre più collettiva. L’accesso ai contenuti è in altre parole sempre più mediato, anche sui social network, da organizzazioni che producono direttamente contenuti per gli utenti della Rete oppure si preoccupano di gestire, curare e organizzare i contenuti prodotti nei social media per renderli maggiormente fruibili al pubblico. Questa recente evoluzione nasce come risposta ai problemi che l’uso dei social network aveva creato in Siria a partire dall’inizio delle rivolte. I giovani attivisti oggi tendono a vedere non solo i vantaggi, ma anche gli svantaggi collegati all’uso di social network commerciali come Facebook, Twitter e Youtube. I social network, in un primo tempo salutati come veicolo fondamentale delle Rivoluzioni arabe, sono oggi accusati di favorire individualismo e dispersione, oltre che di diffondere esagerazioni e distorsioni dei fatti.
Dopo una fase di sperimentazione necessaria a questa presa di coscienza, il web siriano attraversa attualmente una profonda fase di riorganizzazione e di ricerca di nuove forme di comunicazione online. L’obiettivo è quello di conservare gli elementi positivi delle forme di comunicazione digitali in termini di partecipazione e libertà di espressione, limitando allo stesso tempo alcuni dei difetti legati a tali forme di comunicazione.
Un po’ di storia: Internet in Siria prima della rivoluzione
Per comprendere l’evoluzione della sfera Internet siriana e i nuovi attori che la popolano è necessario fare un passo indietro e descrivere, seppur brevemente, la storia del rapporto tra i siriani e le piattaforme sociali del web. La Siria ha avuto con Internet una relazione molto differente da altri paesi della regione, a cominciare dall’Egitto. Prima dell’inizio della rivoluzione nel marzo 2011, l’uso dei social network come strumenti di lotta politica in Siria è molto limitato. Piattaforme come Facebook, Twitter e Youtube sono oscurate dal regime fino all’inizio del 2011. Le autorità si preoccupano di evitare la formazione di comunità di blogger-attivisti come quelle che erano emerse in Egitto, perseguendo ferocemente chi tenta di pubblicare contenuti ritenuti troppo critici.
A partire dal 2004, alcuni siti di informazione che sfidano le narrative del regime cominciano a nascere. All For Syria, fondato da Ayman Abdel Nour, un uomo politico vicino a Bashar al-Asad e poi passato all’opposizione, diviene uno dei punti di riferimento per la critica alle politiche del regime. Nello stesso periodo nasce Amuda, un sito di informazione creato per contrastare le narrative del regime in relazione alla questione curda dopo le rivolte nel governatorato di al-Hassaka del marzo 2004.
Negli anni successivi decine di siti di informazione, più vicini al regime o in ogni caso attentamente controllati, vedono la luce: Syria News, Cham Press , DPress, solo per citarne alcuni tra i più rilevanti. Prima della rivolta, sono questi siti a rappresentare la dieta internet dei siriani. Mentre in Egitto i blogger diventano importanti attori sulla scena politica, i siriani utilizzano Facebook e Youtube unicamente come una nuova forma di divertimento e interazione sociale.
La necessità di utilizzare programmi proxies per aggirare la censura del regime rallenta inoltre la velocità di connessione, rendendo ancora più complesso il passaggio verso forme di attivismo politico online.
2011: l’esplosione del fenomeno social network
Questo scenario si trasforma improvvisamente nei primi mesi del 2011. Le rivolte egiziana e tunisina spingono diversi gruppi di giovani a fare ricorso a Facebook come spazio di organizzazione delle prime proteste. Con una mossa a sorpresa, il regime nel gennaio 2011 decide di eliminare il blocco a Youtube e Facebook, probabilmente nel tentativo di lanciare ai giovani attivisti un messaggio di apertura. Il risultato è una colonizzazione improvvisa dei social network. Nei primi mesi della rivolta, Internet è l’unico mezzo disponibile agli attivisti per coordinarsi e per ottenere visibilità. Scontenti per la mancata copertura della rivolta da parte dei media internazionali, aggravata anche dal divieto di ingresso imposto dal regime ai giornalisti, molti giovani si improvvisano citizen journalist. Nascono pagine come Sham News Network che si incaricano di raccogliere e distribuire video e notizie attraverso una rete di attivisti sparsi su tutto il territorio.
La produzione di contenuti in modo amatoriale da parte di normali cittadini raggiunge proporzioni fino ad allora sconosciute nell’ambito di un evento internazionale. Come ha affermato un giornalista, il 75% delle notizie sulla Siria proviene dagli attivisti. Era l’aprile 2012, ma oggi questa percentuale potrebbe perfino essere maggiore. La Siria è la prima crisi internazionale raccontata attraverso il giornalismo amatoriale e i suoi nuovi media, piuttosto che attraverso il giornalismo professionale e i suoi media tradizionali. Tuttavia il ricorso intenso e, soprattutto, improvviso ai nuovi media ha comportato anche dei costi. I siriani non hanno esperienza nell’uso della Rete. Non hanno avuto il tempo di organizzare comunità di net-attivisti in grado di filtrare efficacemente i contenuti come era accaduto in Egitto nel corso degli anni 2000. Il giornalismo amatoriale, come quello professionale, ha bisogno di tempo per far emergere le voci più credibili e professionali cui potersi affidare quando ci si affaccia sull’oceano di informazioni del web.
Per i siriani questo processo è stato particolarmente difficile, sia per la rapidità con cui è avvenuto, sia per la mancanza di un rapporto di fiducia reciproca tra i diversi attivisti della Rete. Come afferma Damascus Rebel, una net-attivista siriana: “Penso che all’inizio nessuno potesse avere fiducia in nessun altro. Perché nessuno aveva veramente un background né una storia sui social media o altrove. E molti non volevano utilizzare i propri veri nomi, come me. Così nessuno sapeva io chi fossi. Quindi si trattava dello sviluppo di nuove relazioni. Cominci aggiungendo qualcuno su Skype e a parlargli. Anche se nessuno usa la telecamera. In queste condizioni, costruire una credibilità è stato un processo molto lungo”.
Il web siriano durante la rivolta si è sviluppato in modo disordinato e improvvisato. Da una parte è uno degli eventi internazionali più documentati grazie a una nuova generazione di giornalisti-attivisti sul campo. Dall’altra tuttavia questa abbondanza di informazioni circola in centinaia di pagine, siti, profili personali, account twitter al cui interno è difficile orientarsi, sia per i siriani che soprattutto per gli osservatori internazionali. La confusione di ruolo tra attivista e giornalista ha favorito molte esagerazioni e distorsioni, contribuendo a confondere ulteriormente il pubblico e a discreditare la produzione di informazione che circola nella Rete.
La terza fase del web siriano
Lentamente la sfera Internet siriana si è evoluta con l’obiettivo di risolvere alcuni di questi problemi. Sono nate delle iniziative che cercano di mediare tra la produzione di contenuti del web e il pubblico, filtrando i contenuti, archiviandoli, contestualizzandoli e controllandone l’attendibilità in modo simile a delle vere e proprie redazioni giornalistiche.
Sul lato giornalistico, un esempio è il Damascus Bureau, che si occupa di offrire una piattaforma comune dove giornalisti indipendenti possono pubblicare.
Le reti di attivisti/giornalisti si professionalizzano. L’agenzia di stampa ANA nasce da un’iniziativa di Rami Jarrah e Deiaa Dughmoch allo scopo di raccogliere le notizie prodotte dagli attivisti sul campo ma anche di mediare tra queste reti e i più importanti media internazionali. Nel settembre 2012, un gruppo di citizen journalist crea l’Aleppo Media Center che si occupa di coprire l’area della città di Aleppo e dintorni e di vendere contenuti ai media internazionali. Nell’aprile 2013 vede invece la luce Shabha Press Agency che cerca di coordinare le attività di gruppi dispersi di attivisti nel Nord della Siria.
Tutte queste organizzazioni rappresentano un’evoluzione del citizen journalism siriano che individua ancora in Internet le sue piattaforme fondamentali. Passando a una dimensione più istituzionale, queste organizzazioni garantiscono un maggiore controllo sull’attendibilità delle notizie, ma permettono anche di concentrare l’offerta informativa su un numero più limitato di piattaforme, laddove in precedenza gli attivisti pubblicavano individualmente i contenuti su Youtube e Facebook. Infine, il processo di istituzionalizzazione permette di attirare fondi e di intensificare i training per le reti di reporter sul territorio siriano.
Il tentativo di trovare delle sinergie è esemplificato dal progetto di Monis Bokhari “Syrian Media” che si occupa sia di costruire un database delle testate nate dopo la rivoluzione sia di organizzare incontri tra i responsabili delle varie organizzazioni. Come afferma Monis: “l’obiettivo è fondare una lingua comune per il nuovo giornalismo siriano. C’è ancora mancanza di professionalità tra i citizen journalist siriani così come mancanza di collaborazione. È necessario scambiare le nostre esperienze e darci delle regole”.
Alle nuove organizzazioni giornalistiche si aggiungono progetti di archiviazione e gestione dei contenuti che circolano sul web. Dawlati, è un portale che a partire dal marzo 2012 raccoglie contenuti appartenenti a diverse forme di espressione (graffiti, caricature, estratti video, articoli) che ruotano intorno alla ricostruzione di una società civile aperta e democratica. Un altro portale con obiettivi simili è quello di SyriaUntold: un aggregatore che si preoccupa di catalogare contenuti web e trasformarli in storie giornalistiche, fornendo loro un contesto definito e verificandone l’autenticità. In questi casi, l’obiettivo è sperimentare nuove forme di produzione e trattamento dei contenuti che circolano nella Rete per renderli più facilmente fruibili da un pubblico sia locale che internazionale.
In questo senso, il tentativo di riorganizzare le forme del web risponde a un altro problema: la rappresentazione del conflitto siriano nei media internazionali. I contenuti crudi prodotti sul web dagli attivisti infatti non solo sono stati accusati di essere spesso poco credibili, ma circolando direttamente sul web sono poi facilmente sfruttabili dai media internazionali per dare risalto agli aspetti più violenti della rivolta in Siria. La creazione di istituzioni mediatiche in grado di gestire i materiali prodotti attraverso le nuove tecnologie risponde anche alla precisa scelta di non lasciare più ai soli media internazionali la possibilità di selezionare i contenuti e le voci cui dare risalto.
L’apertura di agenzie di stampa locali, aggregatori web e altri siti di informazione è l’unica strada attraverso cui gli stessi siriani possono riprendere in mano il controllo di quei contenuti che essi stessi producono.