L’attentato di Copenaghen nella stampa araba

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Alle 16.00 di sabato 14 febbraio a Copenaghen, durante un convegno sulla libertà di parola in memoria della strage presso la redazione di Charlie Hebdo, un giovane danese di origini arabe ha fatto irruzione nel caffè del centro cittadino che ospitava l’evento sparando diversi colpi d’arma da fuoco. Il regista Finn Noergaard è rimasto ucciso e tre poliziotti sono stati feriti. Omar Abdel Hamid El-Hussein, ritenuto dalle forze dell’ordine l’unico artefice dell’attentato, inizialmente è riuscito a scappare. Poco dopo la mezzanotte ha raggiunto la sinagoga della città dove ha assassinato il custode ebreo Dan Uzan e ferito altri due poliziotti. Il giovane, un pregiudicato di 22 anni già noto all’intelligence danese, è stato poi identificato grazie ad un video di sorveglianza e ucciso dalla polizia durante l’arresto, avvenuto nel pomeriggio della domenica. Lunedì 16 la polizia danese ha arrestato altri due uomini con l’accusa di favoreggiamento.

Al convegno erano presenti anche l’ambasciatore francese in Danimarca, François Zimerayb e il vignettista svedese Lars Vilks, già oggetto di minacce di morte per aver pubblicato delle caricature di Maometto e identificato dalla polizia come possibile obiettivo dell’attentato. Difatti Vilks nel 2007 realizzò una serie di vignette dove rappresentava Maometto con le fattezze di un cane. Da allora è sopravvissuto a due attentati e vive sotto scorta in una località segreta. Il disegnatore ha più volte spiegato il suo obiettivo:

Non ho mai avuto interesse a offendere il Profeta. L’ho fatto per ribadire che l’arte deve essere libera.

Diverse testate arabe tra cui al-Ahram riportano le dichiarazioni del premier israeliano Benyamin Netanyahu che ha gridato di nuovo all’antisemitismo:

In Europa c’è ancora chi viene ucciso soltanto perché ebreo.

Il premier si è rivolto di nuovo agli ebrei d’Europa invitandoli a tornare a casa, come aveva già fatto all’indomani della strage di Parigi:

Israele è la vostra casa e noi ci stiamo preparando per accogliere una massiccia ondata di immigrazione dall’Europa.

Al-Watan conferisce un certo rilievo ad una comunicazione telefonica avvenuta domenica 15 febbraio in serata tra il presidente Netanyahu e il primo ministro danese Helle Thorning-Schmidt. Il leader israeliano ha voluto elogiare il lavoro svolto dalle autorità danesi inviando anche le proprie condoglianze da parte dell’intero popolo israeliano in nome dei loro comuni valori.

Una dichiarazione del ministro Schmidt in relazione all’attentato è invece citata da Al-Bayan:

Difenderemo la nostra democrazia. Esporre la comunità ebraica ad un attacco equivale ad esporvi la Danimarca tutta. Non siamo ancora a conoscenza della vera ragione che sta dietro questi attacchi ma sappiamo che esistono forze che vogliono nuocere alla Danimarca, che vogliono distruggere la nostra libertà di espressione e la nostra fede nella libertà. Non si tratta di uno scontro tra l’Islam e l’occidente o tra musulmani e non musulmani.

Il presidente francese Francois Hollande – in visita all’ambasciata danese – ha messo in relazione Copenaghen e Parigi:

Si vuole colpire quello che siamo, quello che rappresentiamo, i valori della libertà, del diritto, della protezione di chiunque, a prescindere dalla sua religione.

Le dichiarazioni dell’agenzia di stampa saudita (Spa) su al-Arabiya rivelano la dura condanna saudita all’attacco subito dalla capitale danese e non lasciano alcun dubbio in merito alla posizione della monarchia che ha anche offerto delle ufficiali condoglianze alle famiglie delle vittime:

 L’Arabia Saudita ribadisce la sua posizione e sottolinea la necessità di rispettare tutte le religioni e le confessioni senza danneggiare o compromettere alcun simbolo religioso. Riafferma inoltre la propria condanna verso tutti gli atroci e criminali atti terroristici in tutte le loro forme e manifestazioni e naturalmente verso qualsiasi convinzione vi sia dietro e li animi.

La Bahrain News Agency riporta una dichiarazione del principe ereditario saudita Salman bin Ahmad al-Khalifa che, nel condannare l’atrocità dell’attacco subito da Copenaghen, sottolinea la necessità di ridefinire il nemico per poterlo combattere, egli parla di “teocrati” che utilizzano la religione per i propri fini:

Costoro diffondono il loro messaggio ideologico attraverso una moltitudine di canali, vecchi e nuovi, dal passaparola, alle prediche emanate da pulpiti auto-consacrati o ancora attraverso “l’abbraccio all’ingrosso” dell’era digitale. In Medio Oriente ci sono canali satellitari non visti dal pubblico occidentale e liberi da qualsiasi tipo di restrizione che trasmettono un messaggio quasi continuo di intolleranza e veleno ben accolto da un audience poco informato e facilmente influenzabile.

Se si tratti, come suggerisce Kuwait News attraverso le dichiarazioni dell’intelligence danese, di un attacco similare a quello di Parigi dello scorso gennaio, non è ancora dato saperlo con sicurezza. Il detective Jens Madsen ha affermato che le vicende di sabato potrebbero essere state ispirate dalla propaganda islamica dell’Isil ma che non si hanno ancora informazioni specifiche su un eventuale viaggio in Siria o in Iraq del giovane attentatore precedente ai fatti. Certo è che ora Copenaghen si trova per la prima volta a doversi confrontare, assieme a Parigi e New York, con una nuova temibile minaccia. L’articolo di H.A. Hellyer su al-Arabiya solleva proprio questo punto: le risposte a questi tragici eventi determineranno le fattezze della Danimarca e dell’Europa che verranno. Negli ultimi mesi un gran numero di cittadini danesi è partito verso la Siria e l’Iraq per unirsi a gruppi radicali islamisti. A differenza di altri stati come l’Inghilterra che ha persino paventato la possibilità di privare della cittadinanza coloro che partono per zone di guerra, il governo danese ha subito cercato di integrare nel miglior modo possibile chi fosse partito e poi tornato. Che tipo di reazione ci si può aspettare ora? Di certo l’intelligence dovrà far luce sul perché non sia riuscita a prevenire una simile tragedia e questo senza però scivolare sulla solita narrativa della “guerra al terrore” o aumentare i poteri dello Stato a spese delle libertà civili.