La stampa curda da Atatürk a Erdoğan: una lunga storia di repressione

17/06/2016
rivista curda

Giornalisti in carcere, media mainstream imbavagliati, agenzie di stampa chiuse, giornali indipendenti che falliscono o che vengono commissariati. La libertà di stampa in Turchia sta conoscendo uno dei periodi più bui della storia. Le limitazioni imposte all’informazione in seguito ai recenti fatti di cronaca costituiscono solo l’ennesimo, durissimo colpo per le tante associazioni di giornalisti che vivono e lavorano in un Paese, la Turchia, definito già nel 2012 come “la più grande prigione a cielo aperto per cronisti”. Si tratta, per la maggior parte, di giornalisti della stampa curda, regolarmente accusati di presunti legami con il PKK. In questo complesso scenario è evidente come nel più ampio tema della libertà di stampa si innesti la ormai storica questione curda, con ovvie ripercussioni sull’intero panorama culturale turco e sulla società civile.

Nella storia della Turchia la stampa curda non ha mai avuto vita facile. La nascita della Repubblica di Turchia (1923) e i provvedimenti che ne conseguirono costituirono il primo ostacolo per l’informazione curda, costretta a una significativa interruzione durata ben quattro decenni. Dopo una pesante battuta d’arresto, l’attività editoriale curda nel Paese si risvegliò dietro la spinta dell’entusiasmo per la rivolta dello Şêx Saȋd nel 1925, restando tuttavia necessariamente in forma clandestina e relegata a un ambito locale e agli ambienti universitari. Una considerevole attività giornalistica continuò al di fuori dei confini turchi, grazie al contributo degli intellettuali rifugiatisi in Siria e in Iraq. In questa fase Celadet Bedirxan formulò, per la prima volta, la codificazione della lingua curda adattata ai caratteri latini, che adottò e diffuse tra la popolazione per mezzo del suo giornale, Kurdistan, la prima testata curda della storia, fondata al Cairo nel 1898.

Per i curdi l’attività editoriale è stata da sempre strettamente legata alla necessità di sviluppare una coscienza identitaria, di promuovere l’emancipazione culturale e sociale e di favorire la standardizzazione e la conservazione della lingua curda.

Solo nel 1961, anno in cui entrò in vigore la nuova Costituzione turca “garante dei diritti umani” in seguito al colpo di stato del 1960, la stampa curda conobbe un periodo di ripresa, seppur molto breve e segnato da carcere, tortura, esilio e sangue. Con la formazione, tra gli anni Sessanta e Settanta, dei primi movimenti di sinistra in Turchia e l’introduzione negli strati popolari delle discussioni sul socialismo, le testate curde assunsero toni più spiccatamente politici, incentrati sul tema della rivoluzione, intesa anche in termini di salvaguardia dell’identità curda e di richiamo all’attenzione sui problemi del popolo curdo. Molti giornali erano strettamente connessi ai movimenti e alle associazioni politiche curde e le pubblicazioni erano irregolari e poco durature. La quasi totalità delle testate curde dell’epoca fu accusata di propaganda separatista e vilipendio allo Stato, con conseguenti chiusure forzate, arresti o condanne a morte in massa degli editori. Fondamentale in questa fase fu l’autorevole contributo dello scrittore, poeta e giornalista Musa Anter, arrestato più volte in Turchia per reati di opinione e assassinato nel 1992 a Diyarbakır da forze interne allo Stato.

Fu solo grazie agli intellettuali della diaspora curda in Europa che la produzione di carta stampata conobbe un notevole impulso. In Germania, in Svezia e, in minor misura, in altri Paesi europei nacque un gran numero di giornali e riviste di argomento manifestatamente politico, scritti in curdo e nella lingua locale. Con il colpo di stato del 1980 in Turchia e la conseguente nuova ondata di misure repressive, molti intellettuali scomparvero dopo essere stati dichiarati in stato di fermo, torturati e assassinati dalle stesse forze militari. L’entusiasmo per l’inizio della lotta armata del PKK, dall’altro lato, accese ulteriormente le rivendicazioni delle masse curde. L’editoria uscì dai confini turchi e si concentrò in Europa, raggiungendo il culmine negli anni Novanta e rendendo visibile all’opinione pubblica mondiale il caso ormai universalmente riconosciuto con la locuzione “questione curda”.

In Turchia, tuttavia, un gran numero di intellettuali incarcerati si adoperò per evitare la totale scomparsa di pubblicazioni in curdo: dalle celle di Istanbul, Diyarbakır, Ankara, Aydın e Urfa si continuò a scrivere, a mano o con il supporto di macchine dattilografiche. La storica rivista Hawar (lett. “Soccorso”), fondata nel 1932 e pubblicata ancora oggi malgrado un’esistenza piuttosto travagliata, è tra le più note pubblicazioni che sono riuscite a sopravvivere grazie alla tenace resistenza dei giornalisti curdi detenuti nelle carceri turche.

Il 19 maggio 1990 fu approvata una legge che prevedeva controlli più severi sulle tipografie, le riviste, i giornali e i libri ritenuti sovversivi o sospetti, attraverso la nomina di commissari straordinari che operavano a livello locale e che avevano il potere di ordinare la sospensione immediata dei suddetti organi senza possibilità di ricorso. La quasi concomitante riacquisizione della libertà da parte di alcuni intellettuali curdi detenuti nelle carceri turche, tuttavia, favorì una notevole attività editoriale. La produzione culturale curda in Turchia in quegli anni crebbe notevolmente soprattutto grazie alla nascita del giornalismo indipendente, di cui si rese portavoce Hüseyin Aykol, scrittore, giornalista e caporedattore della principale testata indipendente, Özgür Gündem. Durante il primo anno di vita del giornale, un gran numero di suoi collaboratori fu assassinato. Negli anni seguenti la dura repressione causò la morte di tanti altri giornalisti, editori, studenti e anche bambini che si occupavano della distribuzione dei giornali, aprendo una delle pagine più drammatiche della storia turca che non è ancora stata chiusa. I vari governi in Turchia non hanno mai garantito il totale e reale rispetto dei diritti di libera espressione, in particolare per quanto riguarda i curdi. Il gran numero di giornalisti curdi incarcerati, il tristemente noto sciopero della fame del 2012, la recentissima chiusura dell’agenzia di stampa curda JinHa, la prima al mondo gestita interamente da donne, e l’ultimo divieto di accesso (il trentesimo dal 24 luglio 2015 a oggi) al sito web dell’agenzia di stampa curda Dicle sono alcune delle prove schiaccianti dell’immutabilità nel tempo della situazione turca in fatto di libertà d’informazione.

Il 22 aprile di ogni anno si celebra la “Giornata del giornalismo curdo”, data che ricorda la pubblicazione del primo giornale curdo della storia. Una storia che ha visto gli intellettuali curdi resistere e lottare strenuamente per esprimere apertamente le proprie idee e la cui libertà è, ancora oggi, minacciata da una politica repressiva e autoritaria che mira alla totale distruzione della democrazia e dei diritti civili.