La stampa araba oltre le rivoluzioni

11/11/2013
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Quando organizzazioni come Reporter senza frontiere o Human Rights Watch osservano i media del mondo arabo evidenziano i problemi di censura che, da decenni, condizionano il giornalismo della regione. Tuttavia, i cambiamenti di contenuti e di forma, e i nuovi trend che hanno stravolto il paesaggio della stampa araba prima, durante e dopo le rivoluzioni, non sono strettamente legati alla questione della censura.

Dopo anni di censura politica e/o religiosa sotto i regimi autoritari, la stampa egiziana, come quella tunisina e libica, si imbatte oggi in problematiche del tutto nuove. Parte di queste problematiche sono globali e riguardano le questioni legate al futuro della carta stampata, in grave difficoltà economica a livello mondiale. Ma guardando più a fondo nella specificità della regione, si notano evoluzioni non più regionali, ma nazionali, che seguono percorsi assai diversi.

Durante gli ultimi vent’anni, la stampa araba dei singoli paesi condivideva alcune delle problematiche comuni a molti regimi autoritari, quali la censura politica e l’apologia del proprio leader politico. Il livello di professionalità dei giornalisti locali era fortemente ostruito da queste motivazioni politiche. Leggere un articolo di Al-Jumhurryia dava ben poche informazioni sulla società libica e tante invece sull’ultimo discorso all’Unione Africana di Gheddafi.

Tuttavia, una certa libertà di tono e di opinione circolava nei giornali ‘pan-arabi’ come Al -Hayat, Al-Quds al-Arabi, tradizionalmente con sede a Londra e uffici nel Medio Oriente, in particolare a Beirut. I grandi quotidiani libanesi, come An-Nahar, Al-Safir o più recentemente Al-Mustaqbal ed Al-Akhbar, hanno sempre rappresentato l’eccezione alla regola nel panorama regionale. Questa stampa ‘pan-araba’ attirava molti giornalisti arabi in esilio.

Anche i settimanali e supplementi letterari, come Akhbar al-Adab in Egitto, Al-Mulhaq o Nawafez in Libano consentivano una certa libertà di espressione; in questo caso i temi di politica erano trattati con un sguardo culturale.

In seguito alle rivoluzioni, Tunisia, Libia ed Egitto hanno visto l’apertura di nuove testate e la nascita di un’incredibile libertà di espressione dopo anni di silenzio. Nell’ambito della stampa, tuttavia, la libertà editoriale non ha tratto troppo beneficio dalle rivoluzioni. E se le rivoluzioni sono oggi ad un punto morto, la stampa rispecchia abbastanza questa situazione di stallo.

Ciò nonostante, alcuni cambiamenti importanti erano apparsi molto prima delle rivoluzioni.

Nel 2004 con la fondazione al Cairo di Al-Masry al-Youm, uno dei giornali più affidabili nel paese, e, nel 2009/2010, di Al-Shorouk, l’Egitto pre-rivoluzionario aveva già visto il suo panorama aprirsi alla libertà di stampa e al giornalismo investigativo di qualità. Le versioni in lingua straniera dei giornali ufficiali ed in particolare modo Al-Ahram Weekly, o il Cairo Times hanno dato respiro al giornalismo di qualità e di denuncia.

L’arrivo di nuove generazioni di giornalisti che usano i social network per arricchire le loro inchieste e per diffondere i loro articoli, nonché l’orientamento di questi mezzi in versione elettronica, ha fatto delle testate egiziane dell’ultimo decennio prima della rivoluzione un settore in crescita, laddove le vecchie testate fedeli al regime perdevano in credibilità, firme importanti e lettori (40 % per Al Masry al Youm di lettori in più nei suoi primi 4 anni).

Durante la rivoluzione, questi nuovi giornali indipendenti hanno giocato un ruolo preponderante. I loro giovani giornalisti hanno dato prova di grande professionalità e preparazione, facendo anche un uso strategico dei social media. Durante le giornate di piazza Tahrir, siti come Al-Badil, Al-Dustur, Al-Masry al-youm erano oscurati, a testimoniare la paura del governo nei loro confronti.

Dopo la rivoluzione, nuove testate sono apparse sulla scia delle onde rivoluzionare: testate come Tahrir (Liberazione) e al-Watan news creata nella primavera 2012. Entrambe hanno rappresentato un’altra onda di nuovo giornalismo, serio e d’inchiesta. L’onda di speranza per un nuovo giornalismo egiziano non ha neanche risparmiato lo storico Al-Ahram (fondato nel 1875) che ha cominciato a pubblicare un supplemento Al-Ahram Shabab al-Tharir scritto e rivolto ai giovani rivoluzionari di Tahrir.

Con il regime militare, gli assalti a blogger e stampa erano all’ordine del giorno. Con l’arrivo dei Fratelli Musulmani, numerose testate hanno pagato il ritorno della censura, tra cui quelle in lingua inglese, come Egypt Independent. Tuttavia, gli ultimi mesi dell’estate hanno visto gli editorialisti stessi cominciare a perdere il loro sangue freddo davanti agli eventi. Testimoni del periodo storico vissuto dall’Egitto, le testate più credibili stanno perdendo la qualità del reporting per articoli di opinion assai bilanciate.

La censura sotto Ben Ali era feroce ed i quotidiani in circolazione nel paese come La Presse e Al-Sabah erano chiaramente molto vicini al potere. La loro missione d’informazione era strettamente legata alla glorificazione dei gesti e delle azioni del presidente Ben Ali.

Altre testate come Le Temps o Realités non erano direttamente organi di stampa del potere ma soggetti ad una forte censura che impediva qualsiasi critica verso lo stato o la politica. La censura non era solo di tipo autocensura. Alcuni spiragli erano aperti sul mondo della cultura, della società o dell’economia (con, ovviamente, il grande tabu delle imprese Trabelsi, famiglia della moglie del presidente).

Prima della rivoluzione, il mondo dei giornali non ha mai potuto trovare aperture com’è successo in una certa misura in Egitto; le espressioni libere si diffondevano attraverso blog, facebook e twitter. Certe pagine facebook funzionavano come reali aggregatori di notizie. Su questo fronte però, lo stato tunisino era anche molto preparato ed i processi ai blogger di Zarzis hanno dato prova della qualità della polizia online tunisina, molto preparata nella sua lotta contro gli attivisti online, e soprattutto nel reperire i proxi degli oppositori.

Siti come quello di Radio Kalima, vietato in Tunisia, hanno sempre avuto un grande riscontro sulla rete. In generale però, la figura del giornalista non era vista bene dal grande pubblico. Ancora oggi, questa figura professionale è ancora vista come molto legata al vecchio regime e, di fatto, non c’è stata una vera e propria ‘caccia alle streghe’ all’interno del settore.

L’evento scatenante della rivoluzione, il suicidio del giovane venditore di frutta Bouazzizi non è stato riportato dalla stampa tunisina ma dai cellulari e dai social network. Durante la rivoluzione, AMAR 104, nome di codice della cyber polizia tunisina ha ancora colpito blogger, come il famoso Slim Amamou, e più di 100 pagine facebook sono state oscurate, la prima volta nella storia del social network globale.

Eccezione alla regola, il sito Nawaat, creato nel 2004. Un blog partecipativo in arabo, inglese e francese che è riuscito, con una maestria tecnica avanzata, a contornare la censura. Nawaat, fu, per esempio, il primo sito in Tunisia ad avere diffuso wikileaks riguardanti Ben Ali: tale informazione ha avuto un riscontro formidabile nel nutrire lo scontento verso l’arricchimento stratosferico della famiglia Trabulsi ed è spesso citato come uno delle principali ragioni scatenanti la rivoluzione. Durante la rivoluzione, Nawaat è anche stato cruciale nel diffondere documenti e filmati originali, inviati direttamente dai manifestanti. Oggi, il sito continua il suo lavoro con giovani giornalisti che realizzano reportage di qualità.

Sulla scia della rivoluzione, sono nate alcune testate che non nascondono, fin dal titolo, la loro  filiazione rivoluzionaria, come mag14, dove 14 sta per 14 gennaio, inizio della rivoluzione, o gli anglofoni Tunisia live, o Tunis Tribune.  Questi giornali hanno definitivamente portato un vento di libertà e di libera espressione nel paese. Tutti e tre però sono single player, e vivono su internet senza avere corrispettivi sulla carta stampata.

Molti osservatori rammentano la mancanza di un reale cambiamento nel mondo del giornalismo stesso, e con la manifestazione del 17 settembre -il secondo sciopero del sindacato dei giornalisti tunisini nella sua storia- il paese stava chiaramente mostrando la sua paura per il ritorno della censura. Di fatto, nel solo mese di settembre, 3 giornalisti sono stati chiamati in tribunale per accuse legate alla diffamazione.

Dalle prime insurrezioni di Benghazi, tanti giornali sono nati come il 17 febbraio. Reporter senza frontiere cita 130 nuovi giornali e media iscritti nell’anno al National transition council.

Durante l’attacco Nato in Libia, Gheddafi ha prima invitato i giornalisti ad andare a testimoniare la situazione per poi dichiarare che ogni giornalista che si trovava nelle zone dei ribelli sarebbe stato giudicato ‘complice di Al Qaeda’, incarcerandone più di 32. D’altra parte, la guerra è stata testimone di un grande numero di abusi su giornalisti e durante la prima settimana dell’attacco, i media libici e internazionali hanno potuto contare solo sulle immagini e sui resoconti dei social media.

Al-Jamahiria, del governo libico, Al-Shams, creato direttamente da un giovane Gheddafi, non sono più pubblicati. Il quotidiano in lingua araba Quryana (nome greco per la Cirenaica) ha cambiato la sua linea editoriale con la rivoluzione. Con sede a Benghazi, si è posizionato dalla parte della ribellione.

Nuova pubblicazione di ottima fattura, il Lybia Herald è nato il 17 febbraio 2012 per ‘il primo anniversario della rivoluzione libica’. Propone per la prima volta in Libia articoli di società. Il quotidiano ha anche recentemente lanciato un supplemento, ‘Libya’s Investment Needs 2013’ (novembre 2012) rivolto a investitori stranieri, che può rappresentare una fonte più sicura di guadagni rispetto al reportage culturale. Di fatto, è interessante notare l’importante crescita di pubblicazioni legate agli investimenti nei paesi del Maghreb come Lybia Business News e Lybia investment.

Anche in Libia però, il ritorno della censura è preoccupante: il 30 settembre, Taher Al Turki, editore del giornale Rawasi è stato rapito mentre suo fratello è stato ucciso da una pallottola durante l’agguato. E in generale, la sicurezza dei giornalisti –siano essi libici o stranieri – è ancora molto precaria.

Un veloce viaggio nella stampa dei tre paesi simbolo del nuovo mondo arabo in ricostruzione permette di notare che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, le rivoluzioni non sono state come tali, delle formidabili opportunità per la libertà di stampa.

In compenso, è importante evidenziare la crescita della qualità d’inchiesta e della linea editoriale, avvenuto qualche anno prima delle rivoluzioni e dovuto al cambio generazionale ed all’uso strategico e nuovo dei social media da parte dei giornalisti arabi. Questo saper fare acquisito e la voglia di continuare sono i due fattori che permettono di pensare che, su questo fronte, non si potrà più tornare indietro.