La sfida dei media dell’opposizione siriana

08/01/2014
orient

Dall’inizio della rivoluzione nel marzo del 2011, la Siria è stata testimone di una fioritura senza precedenti di media collegati all’opposizione. A prescindere dalla nascita di numerose testate, il mezzo di comunicazione più popolare all’interno del paese continua a essere la televisione, anche perché le parabole satellitari rimangono disponibili a buon mercato per tutti, compresi gli analfabeti. Le emittenti televisive – satellitari e basate all’estero, rimanendo un miraggio la concessione di licenze governative – sono inoltre in grado di raggiungere la diaspora siriana e gli oltre 2 milioni di profughi rifugiatisi nei Paesi confinanti

Si tratta ancora di uno scenario embrionale, composto da alcune realtà giovani, che hanno appena superato il rodaggio dei loro programmi. Ciononostante, è possibile iniziare a valutarne le aspirazioni, soprattutto per quanto riguarda la capacità di presentarsi come antitesi costruttiva della propaganda di regime. Dall’analisi del contenuto dei palinsesti emerge un alternarsi di approcci più o meno etici all’informazione: in alcuni casi si lascia spazio all’autocritica nei confronti dell’opposizione stessa e si promuove un’identità siriana multiconfessionale e multietnica, in altri, si sostiene ogni forma di opposizione, anche quelle più fondamentaliste. Si tratta di pregi e limiti fondamentali per qualsiasi piattaforma ambisca a confermarsi come mezzo d’informazione contrapposto a un sistema, che ha imposto per mezzo secolo un consenso assoluto, strumentalizzando le divisioni etnico-confessionali al servizio dei propri interessi.

Canali dei disertori

Tra i pochi canali satellitari vicini all’opposizione fondati prima dello scoppio della rivoluzione, ve ne sono alcuni la cui credibilità è pressoché nulla, facendo capo ad alcune figure di primo rilievo del regime, passate sul fronte opposto solo dopo essere state marginalizzate dagli Asad. È il caso di Barada TV, fondata a Londra nel 2009 e di proprietà di Abdul-Halim Khaddam, l’ex-vice presidente siriano divenuto dissidente solamente nel 2005, dopo 35 anni ai vertici.

Lo stesso discorso vale per Arab News Network (A.N.N.), emittente antecedente all’insurrezione, controllata da Rifaat al-Asad, lo zio dell’attuale presidente siriano, allontanato dal potere per volere del fratello Hafez nel 1984, dopo essere stato tra i principali artefici del massacro di Hama (1982). Seppur ricevano periodicamente l’attenzione dei media, questi due “disertori” di lusso non godono di alcun sostegno in patria, ad eccezione di una cerchia ristretta di fedelissimi.

Nonostante sia animata da intenti più genuini delle due emittenti sopracitate, pesa sulla reputazione della neonata 18 Adhar (il cui nome deriva dalla data di fondazione, il 18 marzo 2013) il fatto che la direttrice dell’emittente sia Samira al-Musalima, ex-caporedattrice del quotidiano governativo Tishreen, attualmente membro della maggiore coalizione dell’opposizione (la Coalizione Nazionale Siriana delle Forze dell’Opposizione e della Rivoluzione, Cnsfor) [1]. A prescindere dalle ambizioni della direttrice, i documentari trasmessi dal canale sono stati realizzati da una troupe di giornalisti animati dal loro supporto per la causa rivoluzionaria, che lavorano su base volontaria, per via delle ristrettezze economiche.

Islamisti e laici

Considerata l’ideologia politica delle principali linfe di sostegno finanziario della leadership politica dell’opposizione siriana, ovvero le monarchie del Golfo e la Turchia di Erdogan, non mancano i canali riconducibili all’islamismo politico più o meno moderato. L’ala più radicale è quella di Shaykh ‘Adnan al-‘Ar’ur, predicatore salafita originario di Hama e basato in Arabia Saudita, i cui pulpiti mediatici sono le emittenti saudite Wisal, al-Safa e il canale creato ad hoc per la Siria, Shada al-Hurria (Il Canto di libertà). Il contenuto dei sermoni di al-‘Ar’ur è sempre stato anti-sciita e in linea con la deriva confessionale di parte dell’opposizione siriana[2].

A “sinistra” di ‘Ar’ur troviamo le emittenti di orientamento islamico moderato: Suria al-Shaab (La Siria del popolo) e Suria al-Ghad (La Siria del domani). Il primo canale, vicino ai Fratelli Musulmani e basato ad Amman, è stato inaugurato a margine della “Conferenza degli Ulema Musulmani in Supporto del Popolo Siriano”, tenutasi a Istanbul nel luglio del 2011 [3]. Il secondo, basato in Egitto, è nato nel 2012 come canale dedicato alla Siria appartenente all’emittente “madre” Al-Ghad, finanziata da imprenditori egiziani e del Golfo [4].

La prima della lista per professionalità e seguito è però sicuramente Orient TV. Di orientamento laico, fondata nel 2009 da Ghassan ‘Abboud, un imprenditore siriano che afferma di essere stato costretto a trasferire gli uffici da Damasco a Dubai pochi mesi dopo l’apertura, per aver rifiutato la partecipazione del cugino di Bashar al-Asad, Rami Makhluf, come azionista all’interno del canale.

L’occhio critico riservato all’opposizione politica e militare

Orient ha dimostrato di saper mantenere le distanze dalle sfere politico-militari dell’opposizione, dedicando spazio a inchieste sulla corruzione diffusasi all’interno della Cnsfor [5] e condannando le frange più radicali dei ribelli, colpevoli di aver tradito la causa rivoluzionaria. Per quanto riguarda in particolare lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (Siis, anche conosciuta nella sua sigla inglese come Isis), la formazione al-qaidista nata in Iraq, l’emittente di ‘Abboud la distingue nettamente da tutte le altre brigate islamiche: in questo servizio del 14 settembre 2013, il reporter Mohammad al-Dughaim sottolinea come il comportamento del Siis, resosi protagonista di rapimenti ed esecuzioni di attivisti, giornalisti e operatori umanitari, rifletta l’oppressione della libertà caratteristica del regime. Il Siis è condannato anche dai servizi di Suria al-Ghad: una scelta che marca le distanze tra i canali dell’opposizione e l’approccio monolitico delle emittenti governative nei confronti dei ribelli armati, qualificati indistintamente come terroristi.

Risulta invece più tollerante il quadro che Orient e Al-Ghad dipingono di Jabhat al-Nusra (Il Fronte del supporto), l’altra principale formazione al-qa’idista siriana. In questo servizio del 16 dicembre 2012, in seguito all’inclusione di Jabhat al-Nusra nella lista delle organizzazioni terroristiche redatta dal governo americano, Orient sottolinea la base di sostegno popolare di cui gode il gruppo armato in Siria, a dispetto della “sentenza” statunitense. Su Al-Ghad, nel corso dell’episodio dell’11 ottobre 2012 di Suria al-Yawm (Siria oggi), risulta ben più esplicita la “filippica” del conduttore Mousa al-‘Omar contro i detrattori di Jabhat al-Nusra, a dimostrazione delle simpatie islamiche dell’emittente: la tesi sostenuta con convinzione è che il fatto che i miliziani di Jabhat al-Nusra combattano il regime senza esclusione di colpi sarebbe una garanzia sulla sua autenticità come forza dell’opposizione, a prescindere dalla visione politica sul dopo Asad. Stando alle parole del presentatore, il conflitto che contrappone Jabhat al-Nusra alle truppe governative sarebbe inoltre una prova dell’impermeabilità dell’organizzazione alle infiltrazioni del regime, a dispetto delle relazioni intessute da Damasco con i gruppi al-qaidisti fin dai tempi dall’occupazione statunitense in Iraq. Jabhat al-Nusra non ha inoltre mai annunciato alcun sostegno per gli ideali rivoluzionari, al punto da non esibire la bandiera simbolo dell’insurrezione. In questo caso, la scelta editoriale di Al-Ghad rientra nella sfera della partigianeria ideologizzata, piuttosto che in quella dell’obiettività giornalistica.

Minoranze etniche e confessionali

Un’altra cartina tornasole della credibilità dei media dell’opposizione come alternativa alla propaganda governativa è il loro atteggiamento nei confronti delle minoranze etnico-confessionali: riusciranno questi canali a voltare la pagina del totalitarismo culturale panarabo baathista e promuovere un approccio maturo al pluralismo confessionale della Siria, senza istigare rappresaglie nei confronti di quelle minoranze strumentalizzate in difesa degli interessi del regime (in primis gli alauiti, la setta sciita di appartenenza della famiglia Asad)?

A questo proposito, va sottolineata la scelta di Orient e Suria al-Shaab di concedere spazio al kurmanji, il dialetto parlato dalla comunità curda siriana. Orient, in particolare, è stata la prima emittente del mondo arabo a inaugurare un notiziario quotidiano in kurmanji. A tutt’oggi, non esistono programmi in lingua curda trasmessi dalle emittenti statali e filo-governative, a conferma della repressione dei diritti fondamentali di questo popolo, attuata dal partito Baath negli ultimi 50 anni.

All’interno di Orient, convivono diverse posizioni sulla questione curda, senza che l’emittente sia stata trasformata in una piattaforma d’intolleranza. Nel corso della puntata del 19 gennaio 2013 del programma Qadia al-Mashreq (La questione del Levante), dedicata agli scontri di Ras al-‘Ayn tra arabi e curdi, il conduttore prende chiaramente le parti di Shaykh Nawaf Bashir, leader del clan arabo al-Baggara e principale promotore dell’irruzione dei ribelli arabi (l’Esercito Siriano Libero, Esl) nelle regioni a maggioranza curda: Nawaf Khalil, il portavoce del Partito dell’Unione Democratica (Pyd), la frangia siriana del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) attivo in Turchia, viene infatti zittito dopo poche parole e la replica di Bashir viene definita “bella, più diplomatica”. Al contrario, il proprietario di Orient Ghassan ‘Abboud ha suscitato scalpore esprimendo il suo supporto per l’autonomia curdo-siriana in un post pubblicato sulla sua pagina di Facebook il 16 settembre 2013.

Decisamente più schierata la posizione di al-Ghad, come emerge da questo servizio di Ahmad Abdul-Majid del 16 novembre 2013, dedicato alla creazione del governo autonomo curdo-siriano di transizione: il focus è interamente sulle reazioni negative della comunità internazionale, senza menzionare le cause interne e l’incapacità dell’opposizione araba di rappresentare le istanze curde. Abdul-Majid conclude augurandosi che il Pyd- principale promotore dell’autonomia- anteponga “l’interesse pubblico a quello partitico”, ignorando le radici dell’attuale popolarità del programma del partito tra i curdi.

Per quanto concerne invece gli alauiti, pur evitando il tono incendiario di al-‘Ar’ur, i riferimenti anti-sciiti di Al-Ghad sono altrettanto intollerabili. Si pensi per esempio alla puntata dell’8 dicembre 2013 del programma “Ta’rikh Suria ma’ Tamam” (La storia della Siria con Tamam), condotto dallo scrittore siriano Tamam Barazi, dove quest’ultimo ricostruisce la storia del Medio Oriente tessendo le lodi della resistenza anti-sionista di Saddam Hussein, eroe del panarabismo sunnita, al confronto della propaganda anti-sionista dell’Iran, definito “dawlah al-rafidah” (“lo Stato dei disertori”, di coloro che non accettano la Sunna (tradizione), secondo la terminologia più cara all’apologetica sunnita.

Più bilanciata Suria al-Shaab che, nel corso della copertura speciale delle elezioni iraniane del giugno 2013, decide di ascoltare l’opinione equilibrata e competente dell’analista Mustafa Fahs, il quale fornisce un quadro ottimista dell’imminente vittoria del presidente riformista Hassan Rouhani.

Non vi è però ombra di dubbio che la produzione televisiva che meglio rispecchia i valori originariamente aconfessionali della rivoluzione sia quella di Orient, esemplificata dal documentario Min Qatala Husayn (Aprile 2013) (“Chi ha ucciso Hussein”, con riferimento al martire sciita per eccellenza Husayn Ibn ‘Ali). Il progetto approfondisce le ottime relazioni esistenti prima dello scoppio della rivoluzione tra il villaggio sunnita di Binnish e quello sciita di al-Fu’a, nella provincia di Idlib: ciò che emerge è come l’incrinatura dei rapporti sia stata causata non da attriti confessionali, ma dalla scelta del regime di armare e istigare gli abitanti di al-Fu’a contro quelli di Binnish. Il primo e ultimo responsabile della divisione intercomunitaria viene identificato nelle istituzioni, senza cedere alla tentazione di creare facili capri espiatori su base religiosa.

In conclusione, il panorama è ancora quello transitorio di un paese dilaniato da un conflitto, come si deduce dai palinsesti dominati dagli eventi in corso a scapito dell’intrattenimento, ma esiste almeno una realtà promettente, votata al pluralismo politico, etnico e confessionale: Orient TV sembra infatti in grado di presentarsi come modello di rinascita etico-professionale dei media siriani e non come megafono di un’opposizione a maggioranza araba e sunnita.

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[1] Sulla polemica generata dall’assegnazione della direzione di 18 Adhar a Samira al-Musalima si veda http://goo.gl/c2pJfS

[2] Per un’idea della retorica confessionale adoperata da al-‘Ar’ur, si veda “Al-Shaykh al-‘Ar’ur yuwajjihu al-risalah al-akhirah lit-ta’ifah al-‘alawiyyah (“Shaykh ‘Ar’ur invia l’ultimo messaggio diretto alla setta alauita”), caricato 12 marzo 2012.

[3] Riguardo al lancio del canale si veda http://goo.gl/H6tPWj

[4] Sul lancio di Al-Ghad si veda http://goo.gl/QEXAoN

[5] Si veda questo episodio del programma Huna Suria (Qui Siria) del 10 ottobre 2013.