Non tutti lo sanno e in molti fanno fatica a crederlo, perché l’idea che si ha della Repubblica islamica dell’Iran è quella frutto di decenni di stereotipi che la vogliono una nazione tendenzialmente chiusa, rivolta al proprio interno e autocratica. E invece, la radiotelevisione iraniana con i suoi canali in quarantacinque nazioni e in trentasette lingue diverse ci parla di altre ambizioni, che vanno ben oltre i propri confini. E la questione non certo è recente, o figlia dell’attuale apertura della nuova presidenza. Affonda piuttosto le sue radici nell’epoca dello shah, anche se è dopo il ‘79 che ha avuto il suo massimo sviluppo.
In tutto il mondo. L’Islamic Republic of Iran Broadcasting, Irbid, comunemente nota come radio e tv di stato, è ufficialmente l’unico emittente in Iran, dove anche l’offerta straniera viene nei fatti impedita, essendo proibito l’uso di parabole satellitari. Questo non nega, però, agli iraniani di violare il divieto e di esibire sui tetti di Teheran, come su quelli di altri grandi città, antenne svettanti e imperturbabili. È una sfida piuttosto tollerata dalle autorità. A seconda dei periodi, però, perché basta poco per ritrovarsi, magari dalla sera alla mattina, con la preziosa antenna distrutta, salvo poi montarne un’altra e ricominciare il balletto del gatto e del topo.
Lo sguardo oltreconfine della Irib è nel suo dna, considerando che quando fu fondata, nel ‘26, la radio parlava già ai francesi e ai turchi. Il tedesco e l’inglese sono invece un regalo della Rivoluzione islamica, mentre “è alla presidenza Khatami che si deve la nascita – nel ’95 – del canale in lingua italiana”, come racconta Davood Abbasi ex direttore della Irib Italia.
Oggi Irib Radio trasmette in 37 lingue, con altrettanti siti web che poi hanno anche la loro versione social. Anche questo è un elemento paradossale del sistema iraniano considerando che ufficialmente Facebook e Twitter sono ancora vietati nel paese, ma che la stessa Guida Suprema Ali Khamenei, il presidente Hassan Rouhani e il ministro degli Esteri Javad Zarif sono presenti sui social network, come dimostra l’intensa attività degli ultimi mesi e degli ultimi giorni.
Oltre a francese, inglese, tedesco e turco, ci sono – fra gli altri – lo spagnolo, il russo, l’arabo, il cinese; e poi il curdo, l’armeno, l’albanese, il bengalese, l’azerbaigiano, il tagico, l’uzbeko, il pashto e il dari. Ma ciò che colpisce di più è l’esistenza di un canale in ebraico sul cui sito web campeggiano anche le immagini dell’ayatollah Khamenei e del presidente che sì, ora è il moderato che ha sdoganato la storia dell’Olocausto, ma che fino allo scorso giugno era Mahmoud Ahmadinejad. Sono altri paradossi che non stupiscono chi conosce gli iraniani, sebbene non bisogna dimenticare che nella Repubblica islamica viva una nutrita comunità ebraica, con un seggio in Parlamento.
Il canale in francese resta comunque il più seguito, “con oltre 1 milione di visite al mese”, come conferma Abbasi. A ruota troviamo le pagine della radio tedesca e di quella italiana. In particolare, la redazione di Radio Italia Irib è composta principalmente da giovani che, per ragioni di studio o familiari, hanno incontrato la nostra lingua sulla propria strada. È una realtà piuttosto vivace, dunque, così come è movimentata la pagina Facebook di RadioItalia Irib che ha una sorta di spin off sempre su Facebook dedicato alla rassegna stampa quotidiana che ci racconta in un paio di minuti l’Iran e i suoi rapporti con il resto del mondo, naturalmente filtrati da un punto di vista completamente interno, frutto spesso della logica della contrapposizione.
Ma ci racconta anche l’Italia, la nostra politica e la nostra cronaca. A farlo è principalmente il corrispondente a Roma, Hamid Masoumi Nejad, che lavora per la tv, ma i cui servizi vengono rilanciati sull’online e hanno una sezione dedicata (Resoconti da Roma) anche sulla pagina della radio. L’obiettivo di canali in altre lingue, che si possono seguire sulle frequenze in onde corte oltre che online, è indubbiamente politico, ma va letto al di là di un mero strumento di propaganda.
Se è vero che i contenuti dei notiziari riproducono quella stessa retorica governativa (e non potrebbe essere altrimenti visto che si tratta di un canale di stato i cui vertici sono scelti dalla Guida Suprema), la copertura dei negoziati sul nucleare a Ginevra, conclusi con lo storico accordo fra i 5+1, dimostra però una certa vocazione all’internazionalizzazione.
Prendendo in esame i canali in inglese, francese e spagnolo (quelli più fruibili nel mondo) salta all’occhio, infatti, come i criteri di notiziabilità non siano del tutto interni e pur avendo assicurato una cronaca piuttosto puntuale degli eventi di Ginevra, con approfondimenti e interviste tese a ribadire la disponibilità e la determinazione iraniana a risolvere la questione (e con titoli come “Great nation, great diplomacy”, “Resultado de diálogos aprueba la legitimidad de la nación y la revolución de Irán”, “Nucléaire : grande victoire de l’Iran”), dall’altro, trovano posto in agenda, nello stesso periodo, tutta un’altra serie di questioni esterne: sia quelle che rientrano negli interessi iraniani, come la Siria o la situazione palestinese, sia quelle meno vicine, come le proteste in Ucraina o la lotta contro la violenze sulle donne (in occasione del 25 novembre).
Senza contare, poi, quella parte del palinsesto rivolto alla cultura, all’arte, alla poesia, all’Islam e al Corano, e alle tradizioni persiane che permettono di entrare nella storia del paese. Anche se per far questo è necessario scendere a patti con modelli comunicativi, estetici e pure sociologici completamente diversi da ciò cui siamo abituati e che rendono meno immediato il messaggio – ne è un esempio il capitolo, anacronistico anche nell’Iran di oggi, sui doveri delle donne verso il marito. Non va dimenticato, infine, lo spazio dedicato allo sport – una vera e propria mania per gli iraniani – che guadagna facilmente gli onori della cronaca e ha l’indubbio valore di colmare le distanze con il resto del mondo.