Iran VS Qatar: la rivalità sul set cinematografico della pellicola su Maometto

17/04/2013
Prophet Mohammed Movie 320

La guerra fredda tra Iran e Paesi del Golfo travalica lo scacchiere delle relazioni internazionali e inizia a combattersi sui set cinematografici. A creare l’ennesima diatriba è la vita del profeta Maometto. 

Il progetto da un miliardo di dollari di Doha è un prodotto della Al-Noor Holdings, sette episodi per un vero e proprio colossal in stile hollywoodiano, prodotto dal pluripremiato americano, Barrie Osborne famoso per Il Signore degli Anelli. Il rivale iraniano da 30 milioni di dollari sarà la creazione dell’acclamato regista Majid al-Majidi (I bambini del cielo), le cui riprese sono già iniziate nell’ottobre 2012. Majidi conta anche su Vittorio Storaro, direttore della fotografia de L’Ultimo Imperatore di Bertolucci.

A differenza dell’intento provocatorio di alcune rappresentazioni occidentali di Maometto- si pensi alle vignette danesi del 2005 o al trailer del film The Innocence of Muslims dell’anno scorso- l’obiettivo comune dei due progetti mediorientali è di illustrare la vera natura del messaggio islamico a un pubblico non musulmano.  Lo stesso Majidi è noto per essersi ritirato dall’edizione del 2006 del festival cinematografico danese Natfilm, in segno di protesta contro le vignette pubblicate dal quotidiano danese Jyllands-Posten.

Tuttavia, a prescindere dalle buone intenzioni, le rappresentazioni artistiche della vita del Profeta sono regolarmente seguite da reazioni violente, dietro il pretesto dell’ortodossia ‘iconoclasta’ islamica. Si pensi anche solo al più illustre precedente cinematografico, The Message di Mustafa Akkad del 1976. Nonostante il consenso alla proiezione della pellicola di una delle fonti più autorevoli dell’ortodossia sunnita, la moschea di Al-Azhar, e il rispetto del divieto di mostrare la persona del Profeta, il film venne citato tra i moventi di un sequestro di ostaggi a Washington nel 1977.

Le eventuali conseguenze assumono tratti confessionali ancora più preoccupanti, se si considera la decisione di Majidi di interpretare Maometto, senza mostrarne il volto che sarà oscurato, in linea con la tradizione sciita, ma in affronto all’Islam sunnita.In ambito sciita, le rappresentazioni del volto del Profeta e dei suoi consanguinei sono tollerate e diffuse a livello popolare. L’ortodossia sunnita proibisce invece categoricamente ogni forma di rappresentazione della Famiglia del Profeta.

Non a caso, il progetto di Doha si atterrà al divieto di impersonare il Profeta, seguendo le direttive dell‘alim sunnita Yusuf al-Qaradawi, figura di spicco dei Fratelli Musulmani egiziani, che deve la sua consacrazione mediatica ad Al-Jazeera. L’inclusione di Qaradawi nella pianificazione del colossal è già un segnale della sua connotazione politica. Non passa poi inosservato come Al-Noor Holdings sia anche impegnata in una joint-venture con una casa di produzione turca (Kalinos) per la realizzazione di una serie televisiva sulla vita del sultano Mehmet II Al-Fatih, Il Conquistatore che si propone di fare luce sulle relazioni arabo-ottomane in quell’importante periodo storico. Il tutto sembra parte di un disegno mediatico, che riflette l’allineamento del Qatar e della Turchia sull’asse anti-iraniano innescato dalle rivoluzioni del 2011.

Del resto, la scelta di Majidi di recitare la parte del Profeta ha già sollevato un’onda di polemiche provenienti da una commissione saudita connessa alla Lega Musulmana Mondiale, che ha chiesto all’Iran di mettere al bando la pellicola e incitato i credenti a boicottarla. Non si è fatta attendere la reazione analoga della moschea di Al-Azhar del Cairo, dove il divieto di recitare la parte di qualsiasi profeta risale addirittura al 1926. Non si tratta nemmeno della prima diatriba con una produzione iraniana. Già nel 2010 una serie televisiva sulla vita del profeta Giuseppe era stata oggetto dell’intolleranza dell’istituzione egiziana.   

D’altra parte, ai suoi tempi, nemmeno The Message era rimasto immune alla strumentalizzazione a fini politici, se si pensa al consenso di Qaddhafi a completarne le riprese in Libia. Fu con questa mossa che il deposto raìs libico assicurò Akkad come regista per il successivo manifesto cinematografico anti-colonialista: Il Leone del Deserto sulla vita dell’eroe rivoluzionario Omar al-Mukhtar.