Iran verso il voto: dai media una lezione di tradizionalismo

22/05/2013
Ali Ghazvini_Flickr_320

Fuori gioco i due favoriti alle presidenziali iraniane del prossimo 14 giugno. A eliminarli il clero conservatore. Il presidente uscente Mahmud Ahmadinejad promette di presentare un ricorso per la riammissione del suo delfino, anche consuocero, Esfandiar Rahim Mashei, ma poche speranze restano invece per Hashemi Rafsanjani, l’ex presidente tecnocrate che potrebbe terminare qui la sua campagna elettorale. 

La competizione non è ancora decollata sui media nazionali ufficiali e indipendenti. Social network e stampa riformista, non catturano  poi la stessa  attenzione avevano conquistata nelle precedenti campagne elettorali. Il politico più attivo nella fase precedente la registrazione dei candidati è stato proprio Mashei che lo scorso aprile, insieme al presidente non rieleggibile, ha chiamato a raccolta blogger e attivisti radicali per un grande raduno nello stadio Azadi di Teheran.

 Elezioni politiche e media alternativi 

Sin dagli anni ottanta, i media nazionali iraniani aspirano ad un controllo scientifico della vita dei cittadini. Attraverso la televisione di stato, gli ayatollah diffondono tra la popolazione una costante competizione – ne sono esempi i continui programmi sportivi e di arti marziali -, un diffuso individualismo e conformismo, generando e fomentando rivalità regionali. Come ammette la ricercatrice iraniana Fariba Adelkhah, si tratta di una vera e propria “organizzazione scientifica della vita”.

Il controllo su ogni forma di opposizione politica ha colpito costantemente i movimenti alternativi. Ne è un esempio la continua chiusura di quotidiani riformisti e critici verso il regime. Con il rifiuto del principale leader riformista, Mohammed Khatami, di prendere parte alla competizione, si prefigura un possibile boicottaggio elettorale dei movimenti alternativi che avevano dato vita all’onda verde nel 2009. A chiedere a Khatami di correre alle elezioni erano stati anche 110 ulema di Qom che facevano parte di Salam Khatami, il sito internet fondato dai sostenitori dell’ex presidente per raccogliere firme a favore di una sua candidatura.

“Non esistono movimenti alternativi attivi all’interno del paese in questo momento. Gli attivisti avranno il loro giornale e il loro libro più facilmente pubblicato se accettano di lavorare con il regime. L’Iran è un paese militarizzato, chiunque teme che, per una sola manifestazione, può passare la vita in prigione”, spiega ad Arab Media Report Ahmed Eshghiar, attivista del movimento della diaspora Unisci l’Opposizione di cui fanno parte Sazgara e Khadem, due esuli e politici nei primi anni seguenti la rivoluzione del 1979.

“La situazione è peggiorata rispetto a quattro anni fa, nessuno vuole rischiare. Nei giorni scorsi, nel centro di Teheran, una conduttrice radiofonica è stata fermata e portata via dai pasdaran, guardiani della rivoluzione, che volevano controllare chi fosse: tutto è andato in diretta radiofonica. Non solo, alcuni medici del sindacato hanno chiesto di firmare una petizione contro lo spargimento di sangue voluto da Assad: sono stati tutti arrestati”, ammette l’attivista. Tra i siti e i blog di riferimento di questi movimenti particolarmente interessanti sono Kalamé, vicino al politico riformista agli arresti domiciliari Hussein Mousavi, e Taghato, canale al quale collaborano gli attivisti Husein Hezlamadi e Amir Etemadi Bozorg.

Parte di ciò che rimane del movimento verde era in procinto di riorganizzarsi per aprire pagine Facebook a sostegno della campagna di Rafsanjani, ma subito dopo la sua registrazione, il tecnocrate  è stato accusato di sedizione dalla stampa conservatrice. Basta leggere il quotidiano Kayhan che ha promosso una campagna per la cancellazione dalle liste elettorali di Rafsanjani rivolgendosi direttamente al Consiglio dei Guardiani, incaricato di decidere sui candidati idonei a partecipare alla competizione del prossimo giugno.

Buio sul giornalismo indipendente

Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti, Cpj, alla vigilia delle elezioni, almeno 40 giornalisti sono detenuti nelle prigioni iraniane. Poiché  i giornalisti critici del regime continuano ad entrare e ad uscire dalla carcere, gli attivisti di Cpj denunciano gli effetti devastanti della prigionia prolungata sull’attività della stampa iraniana indipendente. Secondo questo Comitato, tra il 2007 e il 2012, 68 giornalisti iraniani sono stati esiliati poiché minacciati di molestie o di essere arrestati. Le autorità hanno oscurato milioni di siti web e pubblicazioni riformiste, lanciando una campagna di sorveglianza elettronica su specifici temi, censurati nel dibattito pubblico.

“Molti degli argomenti di cui potevamo occuparci fino a cinque anni fa sono ora proibiti”, spiega ad Arab Media Report Omid Memarian, giornalista iraniano in esilio in Europa. Dall’inizio del 2013 è iniziata una uova ondata di detenzioni per azzittire i giornalisti indipendenti. Lo scorso marzo, il ministro dell’Intelligence Heydar Moslehi  ha annunciato che almeno 600 giornalisti iraniani fanno parte di network “contrari allo stato”.

Il controllo sulla vita pubblica e privata degli iraniani non accenna quindi a diminuire. Nonostante nel passato le campagne elettorali siano state segnate da una maggiore apertura alla stampa critica verso il regime, per ora il movimento riformista e i network alternativi appaiono relativamente dormienti. E così lo scontro politico sembra limitarsi ad una competizione interna all’establishment conservatore, con poco spazio per le libertà di espressione.

Immagine di Ali Ghazvini-Flickr