In memoria di Mohammed Nabbous, mediattivista ucciso dai cecchini

18/03/2013
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“Non ho paura di morire, ho paura di perdere la battaglia!” È questa la frase che ha continuato a ripetere ai suoi collaboratori Mohammed Nabbous fino al 19 marzo 2011, giorno in cui il mediattivista libico è stato ucciso a Bengasi dai cecchini di Gheddafi.

Noto con il soprannome Mo, Nabbous è stato il fondatore della webtv Libya Al-Hurra, Libia Libera. Le trasmissioni sono iniziate il 19 febbraio 2011 dalla sede del Tribunale di Bengasi. Erano passati solo quattro giorni dallo scoppio dei moti di rivolta popolare che hanno portato alla liberazione della città. Nato a Bengasi, il 27 febbraio 1983, Nabbous si è laureato all’Università di Gariunis, in matematica e si è poi specializzato in informatica a Dublino. Come molti giovani libici, dopo la laurea non ha potuto inserirsi nel mondo del lavoro con la propria qualifica e si è prodigato attivamente nel commercio di prodotti multimediali e informatici. Le sue prime attività, come citizen journalist, le ha sperimentate sui social network.  

La partecipato alle manifestazioni pacifiche dei primi giorni della protesta e ha perso un cugino di diciassette anni. Mo girava attorno ai luoghi degli scontri, documentando con la sua videocamera i sanguinosi avvenimenti e pubblicando i suoi video su internet . Diffondeva così le notizie che né giornali, né radio o televisioni del regime raccontavano. Libya Al-Hurra è stata la prima stazione televisiva indipendente della Libia. Le conoscenze tecniche, le capacità manageriali e l’eccellente padronanza della lingua inglese hanno permesso a Mo di emergere nel gruppo di amici che avevano intrapreso quell’improvvisata avventura giornalistica. Da subito, Nabbous è diventato il punto di riferimento per i corrispondenti stranieri che cominciavano ad affluire a Bengasi, per seguire gli eventi.

Nell’ultimo mese di vita, Mo ha fatto del vero giornalismo di guerra. Le sue armi erano la videocamera, il telefonino e la sua auto bianca. Scorrazzava per la città, documentando la realtà di quell’impari scontro. Nelle ultime ore della sua vita incitava dalla sua televisione a non scappare dalla città, di fronte all’avanzata dei carri armati. È stato lui a girare le immagini della centrale elettrica bombardata e dell’esplosione dei serbatoi del carburante sabotati il 17 marzo dagli agenti di Gheddafi. Il 18 marzo ha ripreso dall’alto di un palazzo le scorrerie dei miliziani del regino nella periferia di Bengasi. La mattina del 19 marzo ha infine documentato l’avanzata delle truppe con la colonna dei carri armati che puntavano verso il cuore della città. È proprio in quella fase del suo lavoro che i cecchini delle Brigate Gheddafi lo hanno colpito in testa, mentre era alla guida della sua auto e trasmetteva via telefono la sua corrispondenza in diretta con sua moglie in studio. La linea era ancora in collegamento, ma la voce di Mo era scomparsa.

È stata la stessa moglie, Samra Naass, a dare in diretta la notizia della sua uccisione: “Voglio far sapere a tutti voi che Mohammed è morto per questa causa e insha’Allah ( se Dio vuole, ndr) la Libia si libererà dalla tirannia. Grazie a tutti! Non smettete di lottare!”.A proseguire la battaglia, è stata proprio lei che, in collaborazione con altri professionisti, ha realizzando il canale satellitare Libya Al-Hurra. I finanziamenti sono locali e stranieri e le redazioni dislocate in molte città libiche. In questo ambiente sta crescendo una generazione di giornalisti giovani, combattivi e coraggiosi, che per difendere la libertà di stampa ha sfidato barbuti armati e tradizioni millenarie di segregazione delle donne in ruoli subalterni. Libya Al-Hurra è ora considerata la prima televisione del paese.