Con il rapido evolversi degli sviluppi della Primavera Araba, si è fatta sempre più pressante l’urgenza di una copertura istantanea e ravvicinata delle proteste, capace di rispondere alle richieste dell’opinione pubblica invece di restare nelle retrovie per timore di una perdita di credibilità o oggettività. Il giornalismo sociale online soddisfa tali requisiti grazie all’operato dei suoi citizen journalists che, oltre a essere informatori amatoriali, sono (al tempo stesso) dotati di forte inventiva. Leggeri e mobili, hanno a volte finito per oltrepassare il confine che separa la copertura oggettiva dall’azione diretta.
Sulla scia della rivoluzione egiziana scoppiata il 25 gennaio e fino alla caduta di Mubarak, l’11 febbraio, Rassd News Network (RNN) ha incarnato questo modello di giornalismo capace di agire sia da fonte di notizie che da agente politico. Malgrado il suo ruolo sia apparso ben più marginale nella fase post-rivoluzionaria in virtù della sua mancanza di risorse, di esperienza e di rivendicazioni di carattere politico, la parte che il network ha giocato nei diciotto giorni precedenti la cacciata di Mubarak si è rivelata fondamentale sia per aggiornare gli egiziani che per mobilitarli divulgando notizie in tempo reale sulle proteste.
“Giornalismo sociale” è il termine utilizzato per definire l’utilizzo dei siti di social media come piattaforme di giornalismo civico. Questa nuova forma di informazione sta certamente cambiando la fisionomia di quello che fino ad oggi conoscevamo come giornalismo, garantendo una ribalta autorevole ai cittadini che vogliano offrire il proprio contributo, al contrario delle tradizionali fonti di notizie spesso vincolate da rigide politiche editoriali. Pagine Facebook come Rassd e We Are All Khaled Said (Siamo tutti Khaled Said) non isolano i contributi dei cittadini in un’apposita sezione intitolata “commenti dei lettori”, ma selezionano i post di qualità più elevata pubblicandoli nel newsfeed principale. Non solo: nel caso della Primavera Araba e degli eventi che hanno portato allo scoppio delle proteste, il giornalismo civico ha in molti casi indirizzato contenuti e dibattiti nell’agenda dei media ufficiali. Il fenomeno ha avuto luogo soprattutto in quelle aree e situazioni in cui i media ufficiali erano del tutto assenti, con la presenza e la produzione live di immagini che documentassero lo sviluppo degli eventi. Lo stesso Riyaad Minty, responsabile della sezione social media di Al-Jazeera, riassume così la copertura della Primavera Araba da parte del network: “Dove non era possibile andare in diretta, si è potuto contare su una miriade di documenti mediatici prodotti dai cittadini stessi” [1]. Anche la rete americana all news MSNBC durante le proteste seguiva la versione inglese della pagina Facebook di Rassd News Network [2].
Una prima versione di Rassd è partita dall’intento di coprire le elezioni parlamentari egiziane del 2010. Il suo motto era Rakib (monitorare), Sawwir (scattare immagini), Dawwin (registrare/postare via blog), da cui l’acronimo Rassd [3]. Secondo Ghonim [4], l’ex pagina “Monitoraggio – Parlamento 2010” ha attratto “più di 40mila visitatori prima che le elezioni avessero addirittura inizio” [4a]. A partire dal successo del modello del 2010 Wael Ghonim, funzionario di Google che ha contribuito a organizzare la protesta nonché fondatore dell’autorevole gruppo Facebook We are all Khaled Said (Siamo tutti Khaled Said), si è raccomandato che Amr Al Qazzaz, uno dei fondatori di Rassd, desse vita a una nuova pagina Facebook. Il suo consiglio era che la nuova pagina “si configurasse come una fonte di informazione” ma “non di analisi o rivendicazioni” (il riferimento era alla precedente affiliazione alla Fratellanza Musulmana) [4b]. Successivamente, Ghonim ha fatto pubblicità a Rassd sulla sua pagina Siamo tutti Khaled Said, “raccomandando di usarla per seguire gli aggiornamenti sulle notizie” [4c].
Rassd è stato lanciato la notte del 25 gennaio (lo stesso giorno in cui è scoppiata la rivoluzione egiziana). È partito come pagina Facebook con pochi membri e nessuna presenza sul web ma in tre giorni è arrivato a contare 400mila iscritti [5]. Ad agosto del 2011, meno di un anno dopo che l’idea era stata partorita, un milioni di utenti Facebook avevano già sottoscritto i suoi aggiornamenti. La pagina è così ben presto diventata una delle principali fonti di informazioni in tempo reale sulle proteste via messaggi di testo, file audio e video, sia per gli egiziani che per tutti gli arabi della regione. Inoltre, ha raccolto le notizie di media tradizionali come Reuters, CNN, Al-Jazeera e Al-Arabiya in modo che i lettori potessero ricevere aggiornamenti attraverso quell’unica pagina. Il tratto distintivo che caratterizza il modello di giornalismo civico incarnato da Rassd è la sua capacità di trasformare un qualunque cittadino dotato di telefonino con fotocamera in un potenziale reporter. Il suo pubblico è stato costantemente sollecitato a inviare “messaggi di testo, foto e video che documentassero gli eventi di cui era testimone” [6]. Grazie a uno staff di circa 200 volontari Rassd verificava, formattava e pubblicava i materiali ricevuti [6a]. Secondo Schuh, “nei diciotto giorni successivi al 25 gennaio, Rassd ha ricevuto in media ogni giorno 6500 report e ne ha pubblicati quattromila, attirando quotidianamente una media di 40mila nuovi follower” [6b]. A chi lo interrogava sulla struttura interna di Rassd, Abdullah Fakharany, uno dei fondatori della pagina, rispondeva che “l’RNN funziona a partire da una base composta da un’ampia rete di reporter volontari coadiuvati da una piccola redazione anch’essa volontaria. Il team che sta dietro a Rassd è composto da quattro diverse sezioni: una edita le news, un’altra è formata dai corrispondenti dislocati in tutto l’Egitto, una terza si occupa della parte multimediale come foto e video e la quarta è addetta alle pubbliche relazioni, allo sviluppo e alla formazione. Interagiscono tramite gruppi chiusi su Facebook e si incontrano nei caffè” [7]. Rassd è diventato un nodo cruciale di collegamento tra i manifestanti e chi non poteva unirsi a loro di persona nelle proteste. Secondo Ghonim, grazie al ruolo svolto da Rassd e da altre pagine analoghe “molti egiziani all’estero hanno potuto seguire quanto stava accadendo in Piazza Tahrir e fare con esattezza da portavoce al punto di vista dei dimostranti sui propri media locali di riferimento” [8].
Era difficile per chiunque prevedere l’entità che le proteste avrebbero raggiunto, e di conseguenza Rassd, grazie alla sua fresca esperienza giornalistica del 2010 e alla sua conoscenza preventiva dei motivi di agitazione, è diventato de facto la principale fonte di informazione dei moti del 2011. Il progetto è partito senza che esistesse un sito web ad hoc. Facebook ha però garantito ai suoi fondatori gli strumenti di base atti a pubblicare, condividere, ricevere contributi e a misurare il feedback del suo pubblico, oltre ai vantaggi ovviamente collegati al fatto di essere inseriti all’interno di un network estremamente interconnesso. Considerando le risorse limitate e i vincoli di tempistica del gruppo, Facebook si è rivelata la piattaforma ideale. A ciò ha inoltre contribuito il fatto che l’ex regime egiziano avesse epurato gli uffici stampa e perseguitato i giornalisti professionisti. Grazie al solo equipaggiamento del proprio telefono cellulare, i reporter di Rassd risultavano non identificabili e sono stati capaci di seguire anche spazialmente le proteste per garantire una copertura più stretta. Oltretutto, il fatto che Rassd fosse la fonte di informazione sulle proteste che poteva contare sul più ampio seguito, ha incentivato alcuni funzionari pubblici a divulgare documenti semiriservati in cui venivano dettagliati i piani di attacco del regime o si fornivano le prove per incriminare i funzionari di stato con l’accusa di aver ucciso dei civili.
Malgrado la sua popolarità, il modello di Rassd non è esente da pecche. La prima e principale critica che viene rivolta ai siti di giornalismo sociale è generalmente quella di mostrarsi carenti nella verifica fattuale, il che fa sì che alle notizie da essi pubblicate venga attribuita una scarsa affidabilità. Rassd ha cercato di ovviare a questo assegnando alle varie notizie etichette come “confermata”, “quasi confermata” o “non confermata” a seconda di criteri come la presenza di prove concrete a supporto o il fatto che l’informazione arrivasse da una o più fonti [9], in alcune occasioni le news pubblicate si sono rivelate inesatte. Tanto per fare un esempio, proprio in virtù del loro carattere ufficioso, in certi casi i suoi post hanno avuto più una funzione di mobilitazione che non prettamente informativa.
Un’insidia connaturata a questa confusa ambivalenza tra il ruolo di fonti di informazione e la presunta azione di agenti sobillatori è che in alcuni casi il contenuto postato rischia di essere più emotivo che oggettivo. In un caso, per esempio, Rassd ha pubblicato un’immagine di dimostranti feriti in un altro paese lasciando intendere che si trattasse di Piazza Tahrir, salvo poi fare ammenda per l’accaduto immediatamente dopo che alcuni membri del pubblico l’avevano fatto notare. Oltretutto, per quanto alcuni possano sostenere che i video grezzi prodotti dai cittadini siano più credibili di servizi montati allo scopo di veicolare una certa interpretazione della realtà, è anche vero che gli stessi video amatoriali possono essere confezionati per fuorviare gli spettatori con l’indicazione di titoli, orari o date inesatte. Tanto per dirne una, alcuni lettori non leggono completamente gli articoli e molti spettatori non guardano i video nella loro interezza, finendo per associare erroneamente il titolo del pezzo o del servizio alla notizia in sé. In un momento del genere, è fondamentale che il ruolo del pubblico passi da quello di fruitore passivo a quello di produttore di significato, che non si limita solo a leggere una storia, ma contribuisce al processo di verifica e analisi degli eventi riportati [10].
Dopo la caduta di Mubarak, e una volta raggiunto l’obiettivo comune di porre fine al regime, la contrapposizione politica tra i diversi partiti è apparsa ben più evidente. Gli attivisti hanno iniziato ad accusare Rassd di simpatizzare con la Fratellanza Musulmana [11]. Intervistato a proposito dei rapporti tra Rassd e i Fratelli, Anas Hassan ha spiegato che malgrado molti dei suoi fondatori facciano parte di quell’organizzazione, il network in sé non è affiliato né a quello né a nessun altro movimento politico. Ha aggiunto inoltre che del suo nucleo operativo fanno parte attivisti di vari orientamenti politici, come il comitato media della campagna a sostegno di Mohamed El Baradei (ex figura di spicco della Rivoluzione, oggi leader del partito di opposizione, Al-Dostour, ndr), ma anche giovani della Fratellanza Musulmana [12]. Tuttavia la presunta affiliazione, difficile da distinguere nei primi diciotto giorni di rivolta, è divenuta poi molto più evidente. Dopo la rivoluzione, infatti, i post di Rassd hanno evitato di dar voce a gran parte delle critiche rivolte ai Fratelli Musulmani.
Nonostante sia partito solo da una pagina Facebook con nessuna presenza Web correlata, Rassd gestisce oggi un sito di notizie dedicato. Nei diciotto giorni che hanno preceduto la fine del regime di Mubarak, è stata la prima fonte di aggiornamenti per gli egiziani che seguivano la protesta online. Nella fase post-rivoluzionaria la frequenza degli eventi degni di notiziabilità è calata, ma l’Egitto si è trovato ad attraversare un momento di vuoto politico e confusione. Questo ha spinto la gente a cercare resoconti più individualizzati e di prima mano su ciò che stava accadendo, raccontati soprattutto da cittadini reporter e testimoni oculari. Per questo, a due anni dalla rivoluzione, Rassd continua a svolgere un ruolo che i media tradizionali non sono stati capaci di fare proprio, in virtù dell’enfasi che attribuisce ai contenuti inviati dai cittadini. Il suo modello si è diffuso dando origine a una serie di network gemelli come Barq in Libia e Sham in Siria.
Tuttavia, come effetto collaterale del fare così massiccio affidamento sui volontari e della mancanza di risorse dedicate, è difficile mantenere costante il livello di successo o adattare la copertura all’impegno richiesto da inchieste serie e a lungo termine. Almeno a giudicare dal numero di “Mi piace” e da quello – in calo significativo – dei commenti, le notizie di Rassd e quelle di altri network simili non coinvolgono più i lettori come all’inizio.
Il lento evolversi della situazione, unito alla carenza di risorse atte a condurre indagini più approfondite e all’accusa di affiliazioni politiche, sono tutti fattori che possono aver contribuito a smorzare l’entusiasmo dei lettori. Malgrado l’incessante aumento nel numero degli iscritti a Rassd, che a maggio del 2013 hanno toccato quota 2,4 milioni, l’enorme quantità di sottoscrizioni non necessariamente si traduce in una maggiore popolarità del network. È possibile infatti che gli utenti di social media si iscrivano a delle pagine Facebook in periodi di maggiore richiesta di notizie e poi dimentichino di cancellarsi o passino oltre le informazioni di questo tipo per seguire aggiornamenti di natura più personale.
Ora che gli sviluppi si sono significativamente placati e che la richiesta di forme di informazione compatibili con la rivoluzione ha lasciato spazio al bisogno di indagini più serie e approfondite resta da chiedersi: che ne sarà di Rassd e delle altre forme di giornalismo sociale? Quello di Rassd è stato un successo fatuo agevolato da un particolare momento storico o il network sarà capace di trasformare il proprio modello giornalistico, adattandolo alla necessità di un metodo di informazione e inchiesta più serio e oggettivo?
Traduzione di Chiara Rizzo
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Note
[1] Ulbricht , Melissa. “Covering Protest and Revolution: Lessons from Al Jazeera’s Mobile and Citizen Media.” MobileActive.org, March 2, 2011.
[2] Cary, Mary. “Egypt Cuts the Internet in the Face of the Revolution.” U.S. News and World Report, January 28, 2011.
[3] Hassan, Anas. شباب رصد، ويكيليكس مصر [The Youth of Rassd Network, Egypt’s Wikileaks]. Interview by Shaimaa Mamdouh. Bawabet Al Shabab, Al Ahram, February 12, 2011a.
[4] Ghonim, Wael. Revolution 2.0: A Memoir. New York: Houghton Mifflin Harcourt, 2012.
[4a] Ivi, p. 119
[4b] Ivi, p. 170
[4c] Ivi, p. 171
[5] Escobar, Pepe. “Rage, rage against counter-revolution.” The Global Realm, February 1, 2011.
[6] Schuh, Mathias. “Citizen Journalism in Egypt: The newsfeed of the Revolution.” Masters of Media, October 10, 2012 (para. 8)
[6a] Ibidem.
[6b] Ibidem.
[7] Solayman, Hanan. “Egypt’s Revolution Media: A Question of Credibility.” Emaj Magazine, September 13, 2011.
[8] Ghonim, Wael, Revolution 2.0: A Memoir, cit., p. 236
[9] Farrag, Amr and Ossama Tolba. البرنامج مع باسم يوسف.. شبكة رصد [The Show with Bassem Youssef: Rassd News Network – Interview]. Cairo. August 25, 2011.
[10] Goode, Luke. “Social news, citizen journalism and democracy.” New Media and Society 11, no.8 (2009): 1287–1305.
[11] Ghonim, Wael, Revolution 2.0: A Memoir, cit., p. 119
[12] Hassan, Anas. حوار خاص مع مؤسس شبكة رصد الاخبارية [A Special Interview with the Founder of Rassd’s News Network]. Interview by Mahmoud Mubarak, Rassd News Network, February 20, 2011c.