Dall’oppressione al nazionalismo, le emittenti satellitari consolidano un senso di appartenenza transnazionale, nonostante l’assenza di una lingua condivisa. Come i media di un attore anti-istituzionale come il Partito dei lavoratori del Kurdistan, Pkk, siano diventati uno strumento di pressione difficilmente arginabile dagli Stati nazione. La regione autonoma curdo irachena e suoi media istituzionali, tra interessi commerciali e repressione del dissenso. I curdi della Siria e dell’Iran ancora relegati ad attori secondari.
Anche se la televisione non è in grado di rivitalizzare linguaggi e culture da sola, riesce a conferire credibilità e legittimità a un idioma, specialmente se si tratta di un lingua minacciata. Così si esprime lo studioso Amir Hassanpour, nel descrivere la missione dei neonati media curdi. La lingua in questione è stata repressa in tutti i modi immaginabili nelle quattro ‘province’ del Kurdistan- Siria, Iran, Iraq e Turchia- e gode di un riconoscimento ufficiale solamente nel Governo Regionale del Kurdistan, Grk. Le emittenti della regione irachena, divenuta de facto autonoma nel 1991, hanno pertanto giocato un ruolo fondamentale nel legittimare lo stato di questa lingua ostracizzata.
Al di fuori dell’isola felice del Kurdistan iracheno, dove da oltre un ventennio il sistema educativo è quasi interamente in curdo, ben poche persone hanno studiato la propria lingua e ancora meno hanno avuto accesso alle pubblicazioni clandestine.
La repressione continua a dominare il panorama mediatico curdo. In Iran, dopo la parentesi riformista di Khatami (1997-2005), l’intolleranza si è abbattuta nuovamente sulle pubblicazioni indipendenti. La Turchia detiene il primato mondiale di giornalisti detenuti, tre quarti dei quali lavoravano per media filo-curdi. Se si esclude l’introduzione di corsi universitari di curdo lo scorso aprile, il regime siriano non ha mai concesso alcuna apertura. Anche quest’ultima mossa però è stato solo l’ennesimo tentativo di mantenere la minoranza neutrale nella rivoluzione in corso dal 2011.
Un nazionalismo senza una lingua condivisa
In un simile contesto repressivo, la stessa nascita della stampa coincide con l’emergere del movimento nazionalista: il primo periodico curdo (Kurdistan) venne pubblicato al Cairo nel 1898 con l’intento dichiarato di sostenere il popolo curdo. Considerato il pubblico ristretto di lettori politicizzati, in Kurdistan Identity, Discourse and Media, Jaffar Sheyholislami descrive la stampa come artefice del nazionalismo, mentre riserva alle televisioni satellitari la definizione di veri e propri mass media, in grado di formare una coscienza curda transnazionale. Le televisioni terrestri sono invece rimaste sotto il controllo delle propagande governative, anche quando hanno accettato di includere programmi in curdo.
Le emittenti satellitari che si sono dedicate alla diffusione del nazionalismo curdo hanno dovuto innanzitutto ovviare all’assenza di una lingua unificata. Esistono infatti vari dialetti molto diversi tra loro, i più diffusi sono il Kurmanji nell’area turco-siriana e il Sorani in quella iracheno-iraniana.
Non esiste nemmeno una scrittura condivisa, dato che i curdi di Siria e Turchia utilizzano l’alfabeto latino codificato negli anni ’30 da Jaladat Ali Badarkhan, editore della rivista letteraria curdo-siriana Hawar, mentre in Iraq e Iran si ricorre all’alfabeto arabo. Ciononostante, il progetto nazionalista di canali satellitari come Kurdistan TV, KTV, prevede un’unità linguistica forzata. Come osservato da Sheyholislami, nelle lezioni di Kurmanji per bambini oggetto di un programma chiamato Zimanî Kurdî, lingua curda, il dialetto Sorani non viene nemmeno preso in considerazione. L’unità linguistica matrice dello Stato nazione ottocentesco europeo viene perseguita combinando i diversi dialetti all’interno dei notiziari, nei quali, per esempio, il presentatore si esprime in Kurmanji e l’inviato in Sorani.
Il satellite vettore di un senso di appartenenza transnazionale
Come sottolineato da Sheyholislami, KTV cerca di consolidare una memoria storica comune e promuove il modello della regione autonoma al di là dei confini iracheni. La memoria storica viene resa omogenea al costo di distorsioni nel programma Emřo le Mêjû da, Oggi nella Storia, in cui il Trattato di Sevres firmato nel 1920 dall’impero ottomano e dalla potenze alleate viene ricordato come documento fondante della “nazione curda”, senza specificare che si trattasse esclusivamente di parte del Kurdistan turco.
Allo stesso tempo, nei notiziari si parla di “Kurdistan iracheno e turco”, tessendo i legami transnazionali nel rispetto dei confini nazionali. Al contrario, i corrispondenti dall’estero della stessa emittente tendono a riferirsi al “Kurdistan meridionale e settentrionale”, a testimonianza di una maggiore libertà nel dar voce alle rivendicazioni indipendentiste: la loro visione è quella di un’unica patria avversa ai confini nazionali.
Il Pkk e i suoi canali satellitari: guerriglia senza confini
Oltre a Kdp, il Partito democratico del Kurdistan, che controlla anche Zagros TV e Korek TV, l’altro impero mediatico e’ quello degli insurrezionalisti del Pkk turco: Roj TV -emittente principale del partito- Newroz TV -voce del Partito della Vita Libera del Kurdistan, sezione iraniana del Pkk- MMC -canale musicale che predilige canzoni curde e straniere dai contenuti rivoluzionari- Ronahi TV –emittente legata alla frangia siriana del partito, il Pyd, Partito dell’unione democratica.
Il linguaggio politico di tutte questi canali é esplicitamente “pan curdo”. A differenza di KTV, non vi è alcuna necessità di edulcorarlo a tutela delle relazioni estere. La programmazione dedica ampio spazio al folclore curdo, oltre che alla glorificazione della lotta armata dei “compagni” di partito, tramite numerosi videoclip musicali girati nella roccaforte dei monti Qandil iracheni.
L’aspetto più interessante del Pkk è la sua capacità di sfruttare la natura deterritorializzata del satellite per resistere ogni misura repressiva: l’esempio più noto è quello di MED-TV, la prima stazione satellitare curda nata nel 1995, la cui licenza venne revocata nel 1999 in seguito alle pressioni turche sul governo inglese che la ospitava. Il canale ‘rinacque’ in Francia come MEDYA TV , ma fu immediatamente obbligato a sospendere le trasmissioni nel 2004. L’ultimo anello della catena è Roj TV, basata in Danimarca dal 2004.
Il governo turco continua a esercitare pressioni su questo canale danese accusato di sostenere un’organizzazione considerata terroristica dall’Unione Europea. La questione Roj TV continua a rischiare di compromettere le relazioni tra i due Paesi. Nel luglio 2010, Wikileaks aveva già pubblicato un documento dell’ambasciata americana di Ankara, datato gennaio 2010, dal quale si apprendeva che la diplomazia turca attendeva la chiusura dell’emittente in cambio del consenso di Ankara all’elezione del danese Anders Fogh Rasmussen alla presidenza della NATO (2009). Lo scorso 21 marzo però, Erdogan è riuscito a ‘strappare’ al primo ministro danese la promessa di chiudere Roj TV, in cambio di un aumento del volume degli scambi commerciali da 1,7 a 5 miliardi di dollari. Ciononostante, la licenza di Roj TV non è ancora stata revocata. La vicenda presenta delle somiglianze con l’esperienza di al-Zawra’ , canale filo-Saddam dell’iracheno Mishaan al-Juburi, capace di eludere a lungo le pressioni governative trasmettendo dall’operatore egiziano Nilesat.
Il dossier Roj TV ha inoltre influito sulla decisione del governo Erdogan di inaugurare la prima emittente curda del Paese, TRT 6, nel 2009. Le ripercussioni della controversia hanno dimostrato come le emittenti satellitari siano divenute uno strumento di pressione politica ancora più efficace delle armi nelle mani del Pkk, seppur in assenza dell’apparato istituzionale di cui dispone la regione autonoma irachena.
Barzani: partnerariato commerciale in formato televisivo
Se le piattaforme del Pkk cercano appoggio all’estero, sapendo di poter innescare crisi diplomatiche tra Ankara e i suoi partner commerciali, il presidente della regione semi-autonoma del Kurdistan iracheno, Masud Barzani, utilizza il soft power televisivo per promuovere nuove intese commerciali.
Basta pensare alle serie televisive sudcoreane divenute un vero e proprio cult nel Kurdistan iracheno, sulla base dell’alleanza militare e commerciale tra i due Paesi. Le radici vanno ricercate nello stazionamento degli oltre tremila soldati del contingente sudcoreano Zaytun nella regione autonoma dal 2004 al 2008. Si tratta del più massiccio dispiegamento di truppe sudcoreane all’estero dalla fine della guerra del Vietnam. Le autorità del Kurdistan si mostrarono particolarmente favorevoli alla presenza delle truppe di Seul, vero e proprio trampolino di lancio per una serie di intese commerciali: l’ultima joint venture riguarderebbe la realizzazione di un raccordo anulare tra Mosul, Erbil e Kirkuk. Prevedendo i margini di profitto derivabili dal business della ricostruzione post-bellica, Seul ha promosso un’immagine positiva delle proprie truppe. La biografia televisiva del primo monarca della dinastia coreana Goguryeo, Jumong Taewang (37-19 a.c), continua a riscuotere un enorme successo nella versione doppiata in Kurmanji.
I limiti della libertà d’espressione nel Kurdistan iracheno
Il governo del Kurdistan iracheno è ormai consapevole delle potenzialità dei media e ne fa pieno uso per promuovere la propria immagine e consolidare rapporti commerciali. Allo stesso tempo, come qualsiasi altro esecutivo in Medio Oriente, il Grk è consapevole delle minacce poste dai media indipendenti. A dispetto dell’oppressione di cui sono stati oggetto i principali partiti curdi iracheni, le autorità non si fanno scrupoli a reprimere brutalmente le forme di dissenso, seppur in proporzione minore rispetto ad Ankara, Bagdad, Teheran e Damasco.
Nel 2008, il quotidiano indipendente Hawleti è stato oggetto di una causa da tredici milioni di dinari per aver tradotto un articolo del giornalista americano Michael Rubin sull’entità abnorme del patrimonio di Barzani e dell’altro veterano della politica curda irachena, il presidente iracheno Jalal Talabani dell’Unione Patriottica del Kurdistan. Nel 2010, il governo ha chiesto un risarcimento pari a un miliardo di dollari e la chiusura del settimanale Rozhnama, a causa di un articolo sul contrabbando di petrolio diretto in Iran. La stazione televisiva Nalia è stata assaltata dai sostenitori di Barzani nel 2013 dopo aver trasmesso una telefonata critica dell’icona del nazionalismo curdo, il padre dell’attuale presidente, Mostafa Mullah Barzani (1903-1979).
I giornalisti continuano ad essere oggetto di intimidazioni, se non rapiti e uccisi, quando osano criticare le ‘sacre’ famiglie Barzani e Talabani. Questa è stata la sorte di Sardasht Osman, uno studente noto sul web per le critiche rivolte alla famiglia Barzani, assassinato nel 2010 senza che sia mai stata fatta giustizia. Il suo omicidio è stato attribuito a dalle cellule islamiche della città di Mosul.
Nell’ombra: Iran e Siria
Rispetto alla vitalità del Pkk e delle autorità curdo irachene in ambito televisivo, il Kurdistan siriano e quello iraniano rimangono due contesti secondari, per via dei mezzi limitati, dell’impreparazione e di una diaspora dimostratasi meno propositiva.
Tra le poche eccezioni vi sono le emittenti di partito curdo-iraniane, inaugurate nel 2006 dai comunisti del Komala –Komala TV-, dall’Organizzazione rivoluzionaria dei lavoratori del Kurdistan orientale –Rojhelat TV– e dal Partito democratico del Kurdistan Iraniano (Tishk TV). Le emittenti sono tutte basate in Europa. Tuttavia, si tratta di stazioni satellitari con una programmazione ridotta, inferiore alle realtà collegate al Pkk e al Kurdistan iracheno.
In Iran la morsa dell’ex presidente Mohammad Ahmadinejad si è abbattuta sulla stampa curda, dopo la momentanea apertura di Khatami, sotto il quale venivano stampati ben sette settimanali curdi. Tra i pochi sopravvissuti vi sono il settimanale Sirwan e il bisettimanale Hawar.
D’altro canto, una simile repressione in patria viene compensata dall’appoggio fornito ai media di proprietà di Jalal Talabani: il presidente curdo iracheno alleato di Teheran che controlla Kurdsat,Gali Kurdistan, al-Hurriyah TV e PUK TV. Secondo alcuni dei suoi critici, sarebbe stato proprio l’Iran a sponsorizzare Kurdsat per bilanciare l’appoggio fornito dalla Turchia alla KTV di Barzani, in funzione di contenimento delle emittenti del Pkk. I vari canali negano di aver ricevuto un simile sostegno, ma la repressione interna dei media curdi non impedisce a Turchia e Iran di sostenerli, quando vengono fondati da alleati strategici all’estero.
Per quanto riguarda la Siria, se si esclude Ronahi, l’unica realtà satellitare esistente, anch’essa collegata al Pkk , i rimanenti partiti curdi hanno avuto modo di agire liberamente solo da un anno, da quando il regime ha ritirato le sue forze di sicurezza dalle regioni a maggioranza curda. Si tratta di un panorama politico frammentato, dipendente dall’appoggio dei partiti curdi iracheni e privo di una consolidata rete di espatriati in grado di dare vita a dei canali satellitari.
La nuova libertà di movimento di cui godono i curdi siriani si è tradotta nella circolazione alla luce del sole di diverse pubblicazioni in curdo, ma si tratta di una fase ancora prematura e dominata dalla partigianeria politica per poterne effettuare una valutazione compiuta.