“Happy in Gaza”, nonostante tutto

01/07/2014
happyingaza

Non c’è carburante per far funzionare il generatore di casa? Pazienza, siamo felici lo stesso. I valichi di frontiera sono chiusi da mesi? Non importa, continuiamo a sorridere. Chissà se Pharrel Williams, quando ha inciso la sua hit “Happy”, immaginava che avrebbe servito alla perfezione la causa gazawi.

Il video riproposto dai ragazzi di Tashweesh (‘statico’ in arabo) si è guadagnato in pochi giorni decine di migliaia di visualizzazioni nel canale YouTube del gruppo. Come del resto tanti dei videoclip che negli ultimi due anni il gruppo guidato dal 28enne Mahmoud Zuaiter ha realizzato e postato in rete. Così popolari da procurarsi uno show tutto loro sul canale Palestine TVBas Ya Zalame (‘basta’). Ancora una volta, come spesso accade nei Territori occupati palestinesi, la satira diventa uno strumento di resilienza e resistenza all’occupazione.

 

 

Ridere, non per dimenticare, ma per criticare e criticarsi. Questo l’obiettivo dei cinque giovani di Tashweesh, tutti di Gaza, tutti laureati e tutti disoccupati. Nella Striscia il tasso di disoccupazione continua a salire, a causa dell’embargo, delle restrizioni al movimento e della crisi economica dovuta alla chiusura via mare e via terra imposta da Israele a partire dal 2007. Nonostante i continui attacchi dell’aviazione israeliana, acuitisi a giugno dopo la scomparsa di tre coloni vicino Hebron (ritrovati morti, diciotto giorni dopo, ndr.), nonostante la mancanza di lavoro e di opportunità, i gazawi sorridono e ridono dell’occupazione e di se stessi. La commedia per gli adulti, come la ludoterapia per i bambini, è lo strumento sia per ribellarsi al dolore della vita di tutti i giorni che per mostrare al mondo fuori, spesso inaccessibile, che il popolo di Gaza ha tante abilità e vuole farle salire su un palcoscenico.

È il caso di Bas Ya Zalame. Spettacolo nato dalla mente di cinque amici di infanzia pochi anni fa, ha mosso i primi passi nella camera da letto di Mahmoud Zuaiter, in un appartamento di Gaza City: qui, senza soldi né finanziamenti, i cinque hanno cominciato a girare piccoli sketch, prima solo vocali e poi video. Oggi, quegli esperimenti sono diventati un vero spettacolo televisivo. Sketch di dieci minuti in cui gli attori affrontano i tanti aspetti della vita quotidiana a Gaza, dalla mancanza di elettricità alla scuola, da un ricovero in ospedale alla festa di matrimonio. In alcuni video, microfono alla mano, la troupe gira per le strade di Gaza per intervistare ignari passanti; in altri mescola la stand-up comedy alla recitazione, con i monologhi di Mahmoud intramezzati da gag che prendono in giro il blocco israeliano e le sue conseguenze, ma anche i tratti classici del comportamento sociale del popolo palestinese. Vizi e virtù vengono ingigantiti, portati all’estremo.

Come nel caso dello sketch sull’ospedale: i cinque attori raccontano le difficoltà a trovare un letto disponibile in uno dei centri medici della Striscia, raccontano della mancanza di medicinali e dei continui black out elettrici. Ridono anche delle visite ripetute e inopportune di parenti, amici e conoscenti al malato che cerca solo tranquillità, di come anche un ricovero in ospedale possa trasformarsi in occasione di incontro e festa. L’obiettivo dello show finisce per essere sociale, oltre che politico: come spiega ad Arab Media Report lo stesso Zuaiter, lo scopo è raccontare i palestinesi e le loro abilità, che siano artistiche o semplicemente di resistenza all’occupazione, e i problemi che li affliggono. Raccontare il lato umano che non viene meno nonostante l’occupazione e che, al contrario, si rafforza sotto assedio.

Mahmoud e la sua troupe sono soddisfatti del lavoro svolto in questi due anni, tanto ben riuscito da spingere sempre più giovani verso le stesse attività: a Gaza oggi piccoli gruppi di attori e comici sorgono ovunque, i videoclip fatti in casa si moltiplicano, regalando alla creatività dei gazawi spazio per fiorire. Senza dimenticare il mondo esterno: molti degli sketch realizzati sono rivolti ad un pubblico internazionale, nell’obiettivo di mostrare fuori chi sono i palestinesi e cosa sanno fare. Come nel caso della pubblicità di Van Damme: l’attore, le braccia incrociate sul petto, si produce in un’atletica spaccata con un piede su un camion e uno sull’altro. Mahmoud fa lo stesso: sguardo serio verso l’orizzonte, una gamba su un’automobile e una sull’altra. Peccato che le due macchine siano spinte dai quattro colleghi. Si sa, a Gaza non c’è benzina, “ma questo – commenta Zuaiter – non rende Van Damme migliore di me”.

Mezzo milione di visualizzazioni. Si sorride, si scherza, si fa satira. Nonostante tutto: i nuovi strumenti in mano ai gazawi sono la telecamera, la rete internet e la commedia. Gli sketch si moltiplicano, condivisi su siti locali e social media. È il caso di Shareeda, altro gruppo di attori che sul web posta gag e video che raccontano dei problemi che affliggono la società gazawi, dall’occupazione alla divisione interna tra fazioni, dal nepotismo alla povertà. O di Gaza Style Team, che si è guadagnato gli onori delle cronache con il rifacimento del pezzo sudcoreano “Gangnam Style”: il gruppo di giovani balla a ritmo lungo il mare vietato ai pescatori, nelle spiagge dove passare il tempo da disoccupati, davanti ad un bancomat vuoto e ad una pompa di benzina senza carburante, nello stadio di Gaza City bombardato a novembre 2012 dall’aviazione israeliana.

Non sono pochi gli studi condotti che spiegano come la risata possa aiutare all’individuazione dei traumi e a generare una reazione positiva. Vero è che a Gaza i traumi sono ciclici, continui: per questo la commedia e il gioco si trasformano non in strumenti di rimozione, ma in mezzi di reazione.