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Doppia identità dei giornalisti palestinesi

13/01/2014
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I giornalisti palestinesi che lavorano sia per i mezzi di comunicazione di stato che per le agenzie di stampa straniere stanno affrontando enormi difficoltà nel tentativo di gestire le dinamiche dovute alle diverse politiche editoriali adottate dalle agenzie di informazione con le quali collaborano.

Diversi giornalisti palestinesi hanno manifestato infatti disagio per le politiche editoriali intraprese dalle realtà mediatiche locali, che in alcuni casi servono interessi di parte e in altri si mostrano viziate dalla dimensione palestinese, invece di seguire un approccio più professionale e onnicomprensivo in grado di elaborare la complessità delle questioni che interessano l’area.

Sami Abu Salem, giornalista palestinese di Gaza, lavora sia per l’agenzia di stampa ufficiale palestinese, la Wafa, che per un’emittente pubblica internazionale olandese, Radio Netherlands Worldwide. Non si fa scrupoli ad adottare stili diversi a seconda che scriva per l’una o l’altra. A tal proposito, il reporter spiega come lo stile impiegato dai giornalisti palestinesi nella redazione di notizie e resoconti sia fondamentalmente condizionato da due prospettive dominanti. L’una si concentra sugli abusi compiuti dall’occupazione israeliana nella Striscia di Gaza e l’altra sulla frattura politica tra Fatah e Hamas.

“Per la Wafa, ad esempio, se si devono riportare le violazioni compiute dagli israeliani nella Striscia di Gaza è inutile far cenno alle opinioni di Israele e alle reazioni ufficiali – racconta Abu Salem – ma quando si arriva a trattare del contesto politico interno, gli stereotipi e i punti di vista portati avanti da Fatah assumono priorità pressoché assoluta, mentre quelli di Hamas non godono di uno spazio adeguato nelle notizie e nelle cronache dell’agenzia”. “Non mi entusiasma molto scrivere per la Wafa proprio in virtù di questa mancanza di contraddittorio, mentre sono più motivato e godo della piena libertà che mi è concessa nello scrivere per la radio, dal momento che la politica editoriale adottata dall’emittente mi impone di scrivere in maniera professionale e neutrale e di prendere in considerazione anche le reazioni di Israele, che devono imperativamente venir menzionate nei servizi radiofonici”.

Le agenzie di stampa – aggiunge Abu Salem – utilizzano una diversa terminologia nella redazione degli articoli. La Wafa, per esempio, usa termini differenti da quelli che vengono adottati dalle altre agenzie di informazione straniere e internazionali con cui collaboro. Quando si tratta di Hamas, vengono scelti i vocaboli stabiliti dalla politica editoriale dell’agenzia. Variano di volta in volta.”

I media locali palestinesi si trovano a fronteggiare svariate difficoltà, in primo luogo dovute alla netta polarizzazione politica tra i vari partiti, per non parlare delle linee editoriali seguite dalle realtà mediatiche di proprietà degli stessi partiti politici che le sfruttano unicamente per servire i propri interessi.

Nasser Abu Bakr, giornalista di Ramallah, lavora sia per l’Agence France Presse (Afp) che per Palestine Tv che è controllata dall’Autorità Palestinese (Ap). Abu Bakr racconta come “la politica editoriale scelta da Palestine Tv gli imponga l’utilizzo di un determinato linguaggio nei propri servizi televisivi, mentre per l’Afp un criterio fondamentale è la professionalità”.

“Se si sta attraversando una fase di escalation nella tensione politica tra Fatah e Hamas, Palestine Tv chiede di adottare nei confronti di Hamas una terminologia più aggressiva, mentre quando nella divisione tra i due partiti si respira un’atmosfera politica di maggiore distensione la linea editoriale mi impone la scelta di termini più morbidi”, precisa Abu Bakr.

Fathi Sabbah, presidente dell’Istituto palestinese per la comunicazione e lo sviluppo (Ipcs), ha accusato i mezzi di comunicazione locali di mancare di professionalità. “Non rispettano l’etica del giornalismo e gli standard della professione, sono condizionati dalle eventuali affiliazioni politiche e soddisfano gli interessi di singoli partiti” commenta Sabbah.

Adel Zaanoun, reporter di Radio Voce della Palestina e collaboratore dell’Agence France Presse (Afp) nella Striscia di Gaza conferma di trovare difficoltà nel rispondere agli standard stabiliti dall’emittente per cui lavora. E spera che i condizionamenti che la radio gli impone non danneggino la sua personale reputazione di cronista per l’Afp. “La mia precedente esperienza a Palestine Tv e l’attuale collaborazione con la Voce della Palestina mi hanno obbligato e mi obbligano a non citare l’altrui opinione, mentre gli standard del professionismo vigenti all’Afp richiederebbero che io facessi cenno ai punti di vista altrui, a prescindere da quali essi siano. Questo stato di cose mi ha indotto a più riprese a licenziarmi da Palestine Tv, ma l’emittente ha sempre rifiutato le mie dimissioni” racconta Zaanoun.

A volte, spiega, i servizi per l’Afp hanno una profonda dimensione politica e necessitano di un’ampia copertura mediatica in cui fare riferimento anche alle reazioni dell’opinione pubblica. Questi servizi però, non ottengono lo stesso spazio e la stessa risonanza mediatica sulla Radio Voce della Palestina, in virtù della politica editoriale imposta dall’emittente.

Anche se le problematiche di carattere politico e finanziario che affliggono i media locali in Palestina non dipendono né dall’occupazione israeliana né dalle divisioni politiche tra Fatah e Hamas, questo stato di cose rischia di trasformare le realtà mediatiche dell’area in uno strumento utilitaristico invece che in un mezzo per dare efficace risalto a fatti e testimonianze.