Bagdad non legge più: la stampa irachena dalla liberalizzazione al declino

11/02/2013
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Secondo un antico detto arabo “il Cairo scrive, Beirut pubblica e Bagdad legge,” tuttavia, la realtà attuale è lontana anni luce dall’eredità storica del Paese mesopotamico. L’Iraq presenta un tasso di alfabetizzazione del 78.2 per cento [1], ma mentre la quasi totalità dei suoi cittadini (97 per cento) si informa settimanalmente dai canali televisivi nazionali, circa due terzi della popolazione (61 per cento) non apre mai un giornale [2]. Il calo d’interesse per la stampa va attribuito a una serie di fattori, tra cui l’insicurezza della distribuzione del supporto cartaceo in un Paese ancora instabile, la maggiore accessibilità della televisione per le fasce meno educate e la faziosità di numerose testate governative e partitiche.

L’analisi seguente intende far luce su quest’ultimo aspetto, proponendo una rassegna dei principali quotidiani iracheni alla luce della loro soggezione a pressioni politiche: emergerà un quadro in cui si salvano in parte le realtà indipendenti, chiamate però a sopravvivere solo con i guadagni generati da pubblicità e vendite.

Prima e dopo il Baath

Ai tempi del partito Baath di Saddam Hussein, la stampa era tenuta rigidamente sotto controllo. In seguito al golpe del ’68, i principali quotidiani sono stati sequestrati o chiusi, mentre il presidente del sindacato dei giornalisti iracheni, ‘Aziz Abdul-Barakat, è stato giustiziato. Negli anni ’90 la morsa si è stretta ulteriormente con la nomina alla guida del sindacato di ‘Uday Hussein, primogenito di Saddam.

Alla vigilia dell’invasione americana del 2003, il governo controllava cinque quotidiani, quattro emittenti radiofoniche e tre canali televisivi. L’eccezione era rappresentata dal Kurdistan, dove l’autonomia di fatto conseguita all’indomani della seconda Guerra del Golfo (1990-91) aveva permesso la circolazione della stampa di partito curda.

La caduta di Saddam ha quindi comportato un’esplosione sregolata di nuove realtà mediatiche. Per comprenderne le proporzioni basti ricordare che, nel luglio 2003, in Iraq venivano pubblicate 158 testate, di cui 82 nate nel mese precedente [3]. Anche se molti di questi giornali hanno successivamente chiuso i battenti per ragioni economiche o legate alla precarietà della sicurezza, la stampa irachena rimane tutt’oggi uno dei contesti più diversificati del Medio Oriente. 

La stampa governativa e il controllo statale

La professionalità dei giornalisti è il principale parametro utilizzato dai lettori per valutare la stampa, seguita dall’indipendenza dal governo e dai partiti politici: una valutazione particolarmente negativa, considerando che la percentuale di iracheni che si affida alla stampa per le notizie è calata dal 64 per cento al 39 per cento dal 2011 al 20124. Secondo uno studio condotto da Hussein Isma’il Hidad presso il dipartimento di studi mediatici dell’Università di Dhi Qar nel gennaio 2011, il 40.44 per cento dei giornali non riporta le fonti: il peggiore risulta essere il governativo Al-Sabah e il migliore l’indipendente Al-Sabah al-Jadid, a conferma di come gli indipendenti siano più professionali, a dispetto dell’accesso esclusivo alle fonti garantito normalmente ai quotidiani statali arabi. Occorre pertanto interrogarsi sulla credibilità delle testate governative e di partito che rappresentano una porzione significativa della stampa irachena.

Al-Sabah  si contende oggi con l’indipendente Al-Zaman il titolo di testata più letta del Paese [5]. Nel 2004 l’Autorità Provvisoria della Coalizione emise la circolare 66 che fece dell’ente creato per il finanziamento di Al-Sabaah, il Network Mediatico Iracheno, l’emittente statale. Per il caporedattore Isma’il Zayer ciò significava la fine dell’indipendenza. Questo decise di portarsi dietro buona parte della redazione e fondare l’indipendente Al-Sabah al-Jadid. Da allora la testata ha conosciuto un successo non indifferente, arrivando a conquistarsi un pubblico di lettori ai livelli di Al-Sabah e Al-Zaman nel 2010 [6].

Al-Sabah dovette invece fare i conti con l’agenda politica dei suoi sponsor che imposero una marginalizzazione dei crimini commessi dall’occupazione occidentale. L’amministrazione americana giunse addirittura a infiltrare alcuni dei quotidiani indipendenti più rispettati (Al-Zaman, Al-Dustur, Al-Mada), diffondendo articoli scritti dal Lincoln Group, una società al soldo del Pentagono, che vennero tradotti e venduti come se fossero l’opera di free lance iracheni. Le innumerevoli interferenze della Coalizione finirono per intaccare la credibilità dei nuovi media. In seguito alle elezioni del 2005, Al-Sabah passò quindi a essere percepito come uno strumento di propaganda dei partiti sciiti al governo. Non a caso la redazione fu il bersaglio di due attentati suicidi nel 2006, all’apice del conflitto confessionale tra sunniti e sciiti. Oggi, per comprendere come Al-Sabah sia vicino alle posizioni della Coalizione dello Stato di Diritto del premier sciita Nouri al-Maliki, è sufficiente soffermarsi sulla copertura delle manifestazioni anti-governative in corso nelle province sunnite: la prima pagina del 13 gennaio titolava “Le masse di Bagdad rifiutano il ritorno del Baath”. Questo era un chiaro riferimento ai sostenitori di Maliki scesi in piazza nella capitale e un’implicita accusa di sostenere il partito di Saddam rivolta ai manifestanti della provincia sunnita di Anbar. Al-Sabah rimane quindi un giornale popolare, non in virtù della sua imparzialità, ma per via della base di lettori simpatizzanti dei partiti al potere.

Del resto, le relazioni tra Maliki e la stampa non sono limitate ai quotidiani governativi, ma si estendono alla rappresentanza sindacale dei giornalisti: il 28 gennaio 2009, il New York Times ha parlato di un incontro tenutosi tra il premier e il sindacato, un mese prima delle elezioni provinciali, durante il quale ai giornalisti sarebbero stati offerti appezzamenti di terra a prezzi irrisori, in cambio di articoli incentrati su “progresso e ricostruzione.” Inoltre, l’attuale presidente del sindacato, Mu’ayyid al-Lami, è stato accusato dal caporedattore del quotidiano indipendente al-Mada, Fakhri Karim, di aver ricevuto oltre tre milioni di dollari dal primo ministro per supportare la sua candidatura al terzo mandato nel 2014. La bozza di legge sui diritti dei giornalisti proposta dal governo Maliki è stata di fatti criticata, poiché definisce la professione sulla base dell’iscrizione al “docile” sindacato.

Stampa di partito

La liberalizzazione della stampa successiva al collasso del Baath ha dato poi origine a una serie di testate finanziate da partiti islamici ed etno-nazionalisti che non hanno nulla da invidiare ad Al-Sabah in quanto a faziosità. Per di più, sfruttando un contesto privo della minima regolamentazione dei contenuti, se si esclude quelli contrari agli interessi del nuovo establishment, i quotidiani di partito si sono fatti promotori del confessionalismo iracheno [7].

Tra i nomi di punta della stampa partitica islamica sciita troviamo Jaridat al-Da’wah, al-Bayyan (appartenenti al Partito ad-Da’wah di Maliki), al-‘Adalah (appartenente al Consiglio Supremo Islamico Iracheno di ‘Ammar al-Hakim), Ishraqat al-Sadral-Hawza al-Natiqa (appartenenti al Movimento Sadrista di Moqtada as-Sadr) e al-Bayyinah (appartenente a Hezbollah iracheno). Quest’ultimo fornisce esempi significativi, non troppo velati, di retorica confessionale. Il 15 gennaio è stata pubblicata una vignetta satirica, in cui si raffigurava il premier turco Racep Tayyp Erdogan, intento a incantare il serpente del confessionalismo, suggerendo così che il fronte sunnita iracheno- sponsorizzato da Turchia e Paesi del Golfo- sia l’unico responsabile di fomentare conflitti settari.

Passando sul fonte sunnita, si nota una minore diffusione di giornali. Le epurazioni dei baathisti più importanti, insieme al boicottaggio sunnita delle elezioni del 2005 e alla minore dinamicità delle reti clandestine sunnite in confronto a quelle sciite sotto Saddam, hanno infatto limitato il fiorire di una stampa di partito sunnita. Le uniche eccezioni significative sono l’Unione degli ‘Ulama’ Musulmani in Iraq, che controlla il quotidiano Al-Basa’ir, e il Partito Islamico Iracheno, affiliato ai Fratelli Musulmani, che si era già dotato del giornale Dar al-Salam negli anni ’70 del suo esilio londinese. Anche in questo caso la retorica confessionale è velata, ma presente. Lo specchietto delle allodole pubblicato in un articolo che, il 12 maggio 2009, esortava ad apprendere dall’esperienza della guerra civile libanese e non indicare la confessione nel censimento della popolazione, era infatti stato preceduto, 16 aprile 2009, da un elogio di Saladino l’Ayyubide  -“divino mujaheddin”-  lo stesso Saladino che bruciò i testi dei Fatimidi sciiti al Cairo nel XII secolo d.c.

Esistono poi le varie testate in mano ai partiti etno-nazionalisti: oltre al contesto del Kurdistan, sono degni di nota il quotidiano turcomanno Sada Tall ‘Afar [8] e le sue posizioni critiche dell’espansionismo e del federalismo curdo e la testata del Movimento Democratico Assiro, Bahra al-Diya’, che dedica una particolare attenzione alla diaspora armena. 

Le testate “indipendenti”

In un simile panorama dominato da realtà governative e partitiche poco credibili, la professionalità della stampa viene risollevata dai quotidiani indipendenti, pur non rimanendo totalmente immune alle pressioni dei vari attori politici iracheni e regionali.

Il panarabo Al-Zaman, uno dei giornali più rispettati dell’Iraq, fa parte dell’impero mediatico di Saad Bazzaz, emigrato nel Regno Unito nel 1992, dopo essere stato una delle figure di punta del ministero dell’informazione baathista. Al-Zaman venne all luce nel 1997 a Londra e nel 2003, quando poté insediarsi anche in patria, era una testata affermata a livello internazionale.

Come diversi altri media indipendenti iracheni, il quotidiano di Bazzaz ha accettato di ricevere finanziamenti sauditi, svelati dalla causa per diffamazione aperta, nel 2005,  contro questo giornale da una delle mogli dell’emiro del Qatar, Shaykha Moza. Ciononostante, Al-Zaman mantiene buoni livelli di professionalità. Il 13 gennaio, per esempio, il sito del quotidiano ha pubblicato un articolo sulle esecuzioni arbitrarie delle colf indonesiane e cingalesi in Arabia Saudita. Rimane inoltre un modello di giornalismo “scomodo” per la classe politica irachena, visto che nel 2006 il parlamento ha chiesto a Maliki di obbligarlo alla chiusura, per via delle critiche rivolte a una bozza di legge sul federalismo.

Un altro quotidiano indipendente che gode di buona reputazione è Al-Dustur. Di proprietà di Bassem al-Shaykh, si è distinto per le critiche alle ingerenze iraniane nella politica irachena, tanto che nel 2008 l’ambasciata di Teheran aveva minacciato di fargli causa. D’altra parte, in un’inchiesta condotta dal The Times, Bassem al-Shaykh è stato accusato di aver ricevuto 1500 dollari per pubblicare articoli favorevoli a Washington nel 2005. Al-Dustur non si può definire filo-americano, ma gli editoriali del proprietario rivelano un atteggiamento quantomeno compiacente nei riguardi della Casa Bianca. Basta pensare a quanto pubblicato il 3 luglio 2012 sulla questione della multinazionale petrolifera americana Exxon Mobil entrata in rotta di collisione con il governo centrale per un contratto firmato con il Kurdistan. Bassem al-Shaykh aveva sottolineato come bisognasse preservare gli interessi nazionali senza perdere un alleato strategico del peso degli Stati Uniti.

Tra le testate di sinistra e dichiaratamente laiche, spicca Al-Mada, di proprietà di Fakhri Karim, uomo d’affari ed ex-consigliere del presidente iracheno Jalal Talabani. Nel mondo dell’informazione, Karim viene accusato dai rivali di promuovere gli interessi della regione autonoma curda, in virtù dei suoi stretti rapporti con Talabani e il presidente del Kurdistan Mas’ud Barzani. Bisogna riconoscere che, mentre la linea di Al-Mada è impietosa nei confronti di Maliki, lo spazio dedicato nell’ultimo mese all’opposizione curda contrapposta a Talabani e Barzani é pressoché inesistente e gli unici riferimenti ai diritti umani in Kurdistan sono note positive. Tuttavia, Al-Mada mantiene un profilo al di sopra delle parti e vanta un primato nazionale di otto inserti di carattere culturale, sportivo, storico e d’intrattenimento.

Il problema degli indipendenti rimane quello di far quadrare i conti, affidandosi esclusivamente alla pubblicità, ragion per cui quotidiani di partito come Dar al-Salam sono invece completamente privi di réclame. Le testate indipendenti hanno inoltre accusato il colpo del conflitto confessionale che ha limitato l’espansione pubblicitaria di molte aziende. Inoltre, gli indipendenti sembra ricavino dal 40 al 70 per cento dei loro introiti da quella pubblicità governativa che Maliki ha deciso di ridurre nel 2008 [9]. Non sorprende che un governo autoritario come l’attuale non sia interessato alla crescita di una stampa imparziale e indipendente.

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1Percentuale aggiornata al 26 luglio 2012 (CIA World Factbook).

2 Le cifre appartengono a un sondaggio condotto in Iraq dall’Ong americana IREX (International Research and Exchanged Board) nel 2012. Vedi: http://www.slideshare.net/hamzoz/ss-14147047 

3 Per l’elenco completo delle testate: http://www.al-bab.com/arab/countries/iraq/press2003.htm 

4  Cfr. http://www.slideshare.net/hamzoz/ss-14147047 

5 Idem.

6  Cfr. http://www.irex.org/resource/iraq-media-study-national-audience-analysis

7 I limiti imposti sui contenuti sono quelli sanciti, vagamente, dalla Costituzione approvata nel 2005, che garantisce la libertà di stampa, a patto che non si violino “ordine pubblico e moralità.” Una definizione poco precisa, volutamente interpretabile dall’esecutivo a fini repressivi.

8 Il quale non dispone però di un sito internet consultabile.

10 Cfr. http://www.menassat.com/?q=alerts/4054-iraqi-newspapers-hit-huge-drop-government-advertising