Capire quante persone guardano un programma o un determinato canale vuol dire determinare il prezzo degli spazi pubblicitari. Mai come in questo caso i numeri sono importanti. Ma se in paesi come l’Italia e la Francia, l’Auditel e la Médiamétrie misurano ormai da trent’anni con delle scatolette collegate agli apparecchi televisivi gli ascolti dei canali delle rispettive televisioni, nel mondo arabo stanno partendo solo ora alcuni isolati esperimenti di misurazione scientifica dell’audience.
L’introduzione di un “Auditel arabo” potrebbe valere dai 2 ai 4 miliardi di dollari di introiti pubblicitari in più per le tv della regione. Anche i grossi marchi, come Unilever, Colgate e Palmolive sono interessati a finanziare progetti di monitoraggio dell’audience in grado di rendere il mercato pubblicitario più trasparente ed efficace. Nel frattempo il metodo più in voga per sapere che cosa guardano gli arabi è quello delle interviste telefoniche condotte dal gigante dei sondaggi Ipsos, non senza qualche polemica – come è avvenuto in Egitto, dove le reti satellitari del posto hanno accusato Ipsos di aver gonfiato gli ascolti di emittenti stranire col risultato di alterare l’intero mercato pubblicitario del Paese.
Un mercato pubblicitario troppo sbilanciato
L’industria televisiva araba continua a essere dominata dai canali satellitari in chiaro che sono tra i maggiori concorrenti della pay-tv nella raccolta pubblicitaria. Dei 540 canali satellitari della regione, la metà appartiene soltanto a tre paesi: Egitto (18%), Arabia Saudita (17%) ed Emirati Arabi (14%).
Nonostante le turbolenze della Primavera araba, i canali satellitari in chiaro hanno continuato a spuntare come funghi. Soltanto in Egitto, nei primi sei mesi del 2011 (l’anno degli eventi di piazza Tahrir) sono nati 16 nuovi canali, tanto che gli studi televisivi esistenti non bastavano più ad ospitare tutte le emittenti.
Di fronte a questa pletora di canali la raccolta pubblicitaria è rimasta però nelle mani di pochi grandi network, come i colossi Mbc e Rotana.
Secondo la consulting Oliver Wyman, meno del 10% delle emittenti dell’area Mena assorbono oltre l’80% della spesa pubblicitaria televisiva (circa due miliardi di dollari), lasciando circa 500 canali a spartirsi le noccioline. La cifra di due miliardi viene giudicata da Oliver Wyman come insufficiente per un’area che ha la stessa popolazione degli Stati Uniti e un Prodotto interno lordo vicino a quello della Germania. Ma, come osserva il Dubai Press Club, in una regione dove oltre la metà della popolazione ha meno di 25 anni e il Pil cresce oltre la media globale (5.3%) anche il potenziale di crescita del mercato pubblicitario resta molto alto. Gli investimenti crescono tuttavia soltanto se l’inserzionista conosce con grande precisione la qualità e la quantità del pubblico che guarderà il suo spot.
Antoine Choueiri, il signore della pubblicità
Le curve e i picchi di share sono però geometrie ancora semisconosciute nel mondo arabo. La storia del mercato pubblicitario nei media arabi è legata piuttosto alla storia di un uomo: Antoine Choueiri. Nato a Beirut nel 1939 da una famiglia di origini umili, Choueiri ottiene un diploma di contabile alle scuole serali. Ma, a dispetto del livello d’istruzione, rivela sin da subito uno spirito imprenditoriale innato: scala prima la società libanese Abou Adal, che fa import-export di beni di lusso e poi decide di mettersi in proprio iniziando a vendere spazi pubblicitari, prima sui giornali, poi, negli anni ’80, sui film in videocassetta. Nell’ ’85 lo Choueiri Group era il concessionario pubblicitario dei maggiori quotidiani libanesi. Ma è con la televisione che avviene il salto di qualità.
Negli anni ’90, Choueri intuisce il potenziale di mercato delle televisioni satellitari in chiaro e nel giro di dieci anni riesce ad accaparrarsi la gestione degli spazi pubblicitari dell’emittente Lbc, di Dubai Tv e, soprattutto, del colosso saudita Mbc, cosa che ha reso Choueiri uno degli uomini d’affari più influenti del mondo arabo e, soprattutto, il punto di riferimento per i prezzi del mercato pubblicitario.
La morte di Antoine Choueiri nel 2010 non ha intaccato l’influenza del suo impero e i paesi che stanno introducendo nuovi sistemi di misurazione dell’audience dovranno convincere lo Choueiri Group a salire a bordo.
Ipsos e il metodo della “telefonata del giorno dopo”
Per il momento Choueiri e gli altri concessionari pubblicitari si affidano al gigante dei sondaggi di mercato Ipsos che determina gli indici di ascolto in gran parte dei paesi arabi. Il sistema è quello delle interviste telefoniche a campione con il metodo “day after recall”, ovvero la chiamata il giorno dopo la visione. I paesi arabi che usano questo tipo di metodologia sono nove, per un totale di 240 mila interviste telefoniche l’anno. Ma solo in quattro paesi (Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait) le interviste “del giorno dopo” vengono fatte in maniera continua. Negli altri, (Siria, Giordania, Bahrein, Libano) il sondaggio viene invece condotto con campagne telefoniche periodiche.
Spesso però, questo sistema non soddisfa né i pubblicitari né alcuni canali. “Se domandi a qualcuno che cosa ha visto negli ultimi giorni, magari non se lo ricorda”, ha detto ad Arab Media Report Asad Rehman, responsabile regionale media di Unilever, uno dei maggiori inserzionisti dell’area Mena. Per non parlare dell’andamento degli ascolti all’interno di uno stesso programma minuto, per minuto: una cosa impossibile da determinare con l’intervista a campione.
Proprio lo scorso gennaio è scoppiata una polemica tra Ipsos e alcuni canali egiziani (Dream, OnTV e Cbc). L’accusa era quella di favorire determinate emittenti (in particolare la straniera MBC), alterando così il mercato pubblicitario. Dal 2008, Ipsos conduce in Egitto 74 mila interviste l’anno. “Le fluttuazioni negli ascolti delle varie emittenti sono normali in mercati dinamici come quello egiziano”, ha detto Amr Kais, direttore di Ipsos Egitto in un’intervista al sito “research-live.com”. Kais ha difeso la professionalità di Ipsos, anche se rimangono evidenti i limiti del sistema delle interviste.
Tview: il tentativo che nasce nel Golfo
E se l’Egitto non sembra vedere all’orizzonte una rivoluzione nel sistema di misurazione dell’audience, i paesi del Golfo provano ad attrezzarsi. Già nel 2004 i più grossi investitori in pubblicità, tra cui Pepsi, Nissan e City Bank, si erano riuniti in un’associazione denominata “Gulf Cooperation Council Advertisers Group”. Il loro scopo era quello di allineare il mercato pubblicitario dei paesi della Cooperazione del Golfo agli standard dei paesi più sviluppati, rivoluzionando tempi, proporzioni e modi di fare pubblicità in televisione. Tra i progetti c’era anche quello di un misuratore dell’audience simile al nostro Auditel.
Già nel 2006 il progetto di un “people meter” doveva prendere il via in Arabia Saudita, ma non se n’è fatto nulla. Due anni dopo, sempre in Arabia Saudita ci ha provato la Mbc. Anche in quel caso è stato un fallimento. Oggi i grandi inserzionisti della regione sono riuniti nell’ “Advertisers Business Group”, sotto l’ombrello della Camera di Commercio di Dubai. Per il loro presidente, Fadi Ghosn, responsabile marketing di General Motors per il Medio Oriente, la parola d’ordine è “trasparenza del mercato”.
Un nuovo progetto di misurazione dell’audience è partito in Arabia Saudita, ma per il momento il risultato più soddisfacente, ancorché parziale, arriva dagli Emirati Arabi Uniti, terza potenza televisiva del mondo arabo.
Si chiama Tview. Lanciato alla fine del 2011, il sistema consiste nell’installazione di apparecchi di misurazione nei televisori di 850 famiglie campione. I dati di ascolto forniscono una misurazione al minuto e vengono poi trasferiti ogni notte ad un centro di elaborazione. Il panel di riferimento prende in considerazione quattro grossi gruppi: gli arabi (con passaporto emiratino), gli emiratini, gli arabi espatriati e gli asiatici. Questi ultimi rappresentano un pubblico totalmente distaccato da quello arabofono. I canali misurati sono al momento 54.
Uno sguardo al primo report annuale del progetto Tview ci dice che nel 2013 per gli arabi e gli arabi espatriati i canali del pacchetto Mbc sono stati in assoluto i più visti, occupando i primi cinque posti in classifica. Simile la situazione per il pubblico emiratino, per il quale, tuttavia, Dubai Tv è il secondo canale più visto dopo Mbc1 e davanti agli altri canali del bouquet Mbc. Tutt’altra classifica per gli asiatici, che guardano nell’ordine Asianet Middle East, Sony Tv e Asianet News.
Nel 2013 i due programmi preferiti dagli arabofoni degli Emirati sono stati i talent show Arab Idole Arabs’ Got Talent. Mentre gli asiatici hanno guardato a profusione il Blockbuster indiano “Ustad Hotel”.
Tview misura anche gli spot preferiti dai telespettatori. La pubblicità della Pepsi è l’unica a unire il panel di telespettatori asiatici (per cui lo spot della bevanda gasata è il più visto dopo quello degli ipermercati Lulu) e gli arabofoni del paese, per i quali Pepsi risulta lo spot più visto, seguito da quello della compagnia di telecomunicazioni Mobily e dei cosmetici Dermoviva.
Tview ha però dei limiti. “Il vero problema è che sta offrendo i primi dati, ma non è utilizzato dai canali come ‘valuta’ per determinare il prezzo della pubblicità”, commenta Asad Rehman. “Anche perché – aggiunge – diverse reti e pubblicitari non hanno aderito al progetto”. Anche lo Choueiri Group ha deciso di restare fuori. Fino a quando il colosso pubblicitario libanese resterà a guardare è difficile pensare che Tview diventerà il nuovo barometro dei prezzi della pubblicità negli Emirati.
Secondo Noura al-Kaabi, direttrice esecutiva del polo mediatico di Abu Dhabi Twofour54, il progetto Tview stenta a decollare perché l’industria pubblicitaria in Medio Oriente è corrotta, e si preferisce ingigantire i numeri di alcune emittenti a discapito di altre. Accuse simili a quelle fatte contro Ipsos da alcune emittenti egiziane. Accuse, anche in questo caso, rispedite al mittente dal presidente di Ipsos MediaCT, Elie Aoun.
Intanto l’agenzia francese di audit Ceps, contrattata per valutare Tview, ha ammesso che il progetto presenta problemi nella scelta e nella conformità del campione di riferimento. In altre parole, bisogna scegliere meglio a casa di chi installare l’apparecchio di misurazione e convincere i membri del panel a essere più collaborativi e costanti. Forse, osserva il Dubai Press Club, l’incentivo di 14 dollari al mese offerto alle famiglie che fanno parte del campione, non è abbastanza per assicurarsi una reale collaborazione.
Altre iniziative oltre l’Arabia
Il progetto Tview, una volta a regime, potrebbe fare da traino al lancio di sistemi analoghi nel resto dei paesi della cooperazione del Golfo, di certo il mercato più ricco di tutta l’area Mena. Intanto anche oltre i confini dell’Arabia si stanno rodando sistemi più scientifici di misurazione dell’audience.
In Libano in realtà, un sistema di misurazione con apparecchio installato a campione è stato introdotto già nel 1999 e dieci anni dopo i misuratori erano in 600 case. Ma il sistema resta affiancato dai sondaggi telefonici di Ipsos.
In Marocco nel 2008 è stato introdotto il sistema MarocMétrie in collaborazione con Médiamétrie, la società francese di misurazione dell’audience che ha installato apparecchi di misurazione in un campione di 700 case (per un totale di oltre 3000 abitanti). Si tratta di un sistema che, a detta degli osservatori, si rivela efficace e vede la partecipazione di alcuni big del mercato pubblicitario come Unilever.
Anche in Algeria sta partendo un progetto di misurazione dell’audience portato avanti dalla francese Médiamétrie e dall’algerina Immar Research & Consultancy. Il progetto ha preso il via nel gennaio 2014, ma la misurazione consisterà in interviste telefoniche.
In Tunisia dal 2012 c’è Audimat, il primo sistema scientifico dopo anni di inchieste telefoniche accompagnate da polemiche sulla loro trasparenza da parte degli inserzionisti tunisini. Anche Audimat però è solo agli albori.
Una televisione in grado di dire agli inserzionisti chi guarda cosa, e con quali numeri, attira molta pubblicità in più. Secondo il Dubai Press Club, la spesa pubblicitaria a livello panarabo è cresciuta nei primi dieci anni del XXI secolo ad un ritmo del 20 per cento ogni anno. Nonostante gli scossoni della Primavera araba, il mercato pubblicitario ha tenuto e serba ancora in sé un enorme potenziale di crescita. Adesso i grandi inserzionisti però vogliono un sistema di misurazione degli ascolti al passo con i loro investimenti.
L’agenzia AT Kearney ha stimato che un sistema di misurazione dell’audience del tipo Tview, riconosciuto e diffuso in tutto il mondo arabo, potrebbe portare oltre due miliardi di dollari di spesa pubblicitaria in più. Una stima che per altri osservatori potrebbe anche raddoppiare. Secondo il rapporto dell’agenzia di consulenza Oliver Wyman nella regione MENA, tenendo in considerazione Pil, popolazione e quantità di emittenti, si raccoglie in pubblicità solo il 30% di quello che si potrebbe ottenere. Ad andare in fumo sarebbero quindi oltre 4 miliardi di dollari ogni anno.