Sarebbe stata la crisi in corso tra Arabia Saudita e Qatar alla base della censura “senza precedenti” che ha colpito ben 10mila copie di 420 libri alla Fiera internazionale del libro di Riyadh appena conclusa. Una vicenda che nei giorni scorsi è stata ripresa dai più importanti quotidiani arabi e internazionali vista la mole dei libri confiscati e gli autori coinvolti, tra cui compare il nome del poeta palestinese Mahmoud Darwish.
La fiera di Riyadh è promossa dal Governo sotto gli auspici del Ministero per la Cultura e l’Informazione ed è per i lettori sauditi un’occasione culturale immancabile soprattutto per fare acquisti, data la cronica carenza di librerie di cui soffre il Regno. Come quasi tutte le fiere librarie arabe, anche quella di Riyadh non sfugge alla scure della censura, che opera per mano della solerte polizia religiosa, la cosiddetta “Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio”.
Ma quest’anno, come conseguenza della crisi politica in atto, la stretta della polizia religiosa si è intensificata, in netta controtendenza rispetto ai passi avanti che si erano registrati solo un anno fa. I primi a farne le spese sono stati proprio i testi dei Fratelli Musulmani, censurati a priori in quanto “minaccia per la sicurezza intellettuale del Regno”, secondo quanto dichiarato da Ahmad Al-Himdan, Presidente dell’Associazione degli editori sauditi.
Sorte più dura è toccata a Nawaf al-Qudaimi, co-direttore della casa editrice islamica saudita basata a Beirut, Al-Shabaka al-arabiyya li al-abhath wa al-nashr (La rete araba per la ricerca e l’editoria), che pubblica saggi sull’Arabia Saudita e l’Islam politico considerati innovativi e originali. Due giorni dopo l’inizio della Fiera, al-Qudaimi, già dichiarato persona non grata, aveva trovato il suo stand completamente distrutto.
جناح “الشبكة العربية للأبحاث والنشر” في معرض الرياض قبل المصادرة وبعده #مصادرة_جناح_الشبكةالعربية pic.twitter.com/JItcrXqgfG
— نواف القديمي (@Alqudaimi) 7 Marzo 2014
Il Ministro della Cultura e dell’Informazione saudita, il Dr Abdulaziz Khoja, così ha commentato al quotidiano saudita Makkah: “Ogni casa editrice che trasgredirà le regole subirà lo stesso destino, perché la sicurezza del Regno è più importante di qualsiasi altra cosa e chiunque tenterà di destabilizzare la nostra integrità non sarà tollerato”, riprendendo un avvertimento che era stato lanciato dagli organizzatori della Fiera prima dell’inaugurazione, sull’eventualità che libri ritenuti contrari all’Islam, o considerati una minaccia per la sicurezza del Paese, potessero essere requisiti.
Secondo Al-Youm al-Sabi’, durante la fiera sarebbero stati confiscati anche i libri dell’editore libanese Dar al-Farabi, accusati di “liberalismo”. Tra gli altri libri requisiti, come riportano Saudi Gazette e France24, figurano: Thawra (Rivoluzione), dell’attivista egiziano Wael Ghonim, alcuni testi sull’hijab e sul femminismo islamico, Quando la donna saudita potrà guidare? di Abdullah Al-Alami, i libri dei poeti iracheni Badr Shaker al-Sayyab e Abdul Wahab al-Bayati e del poeta palestinese Muin Bseiso.
La vicenda che ha suscitato l’indignazione di mezzo mondo tuttavia è stata un’altra: tra le copie ritirate rientrano infatti anche i testi del poeta palestinese Mahmoud Darwish, forse il più importante poeta arabo contemporaneo, tradotto in decine di lingue. La notizia è stata data dal sito locale Sabq il quale ha riferito che il 12 marzo era scoppiato un alterco tra alcuni giovani appartenenti alla già citata Commissione e l’editore libanese Riad el-Rayyes di fronte allo stand di quest’ultimo. I primi avrebbero protestato contro alcune poesie di Darwish etichettandole come “blasfeme” e chiedendone la rimozione.
La confisca dei libri di Mahmoud Darwish, avvenuta solo un giorno prima della ricorrenza del giorno della sua nascita, è stata commentata estesamente su Twitter ed è stata condannata dall’organizzazione no profit inglese PEN, impegnata nella promozione della libertà di parola.
Il noto scrittore e traduttore iracheno Sinan Antoon su Jadaliyya ha commentato aspramente quanto avvenuto e ha postato la poesia i cui versi sarebbero l’oggetto del contendere: Ilahi, limadha takhallayta ‘anni? (“Mio Dio, perchè hai rinunciato a me?”), contenuta nella raccolta Ward aqal (“Meno rose”, trad it. di G. Scarcia e F. Rambaldi, Cafoscarina, Venezia 1997). Da questo video girato durante la protesta si capisce come uno dei contestatori stia leggendo un verso della poesia in questione:
“L’accusa di blasfemia mi sembra incommentabile” – ha affermato Ramona Ciucani, arabista e traduttrice dell’Università di Venezia, intervistata in proposito da Arab Media Report. “In tutta la sua produzione narrativa e poetica, Mahmoud Darwish cita continuamente eroi storici o leggendari, miti greci e sumeri o fa riferimento alla storia e alla tradizione religiosa di ogni cultura. E lo fa con un obiettivo simbolico e linguistico ben preciso: non intende affatto rilasciare opinioni religiose né sentenze, ma solamente costruire metafore poetiche e un nuovo orizzonte poetico arabo”.
Per Elisabetta Bartuli, traduttrice e docente dell’Università di Venezia, che con Ciucani ha curato e tradotto una trilogia di scritti in prosa di Darwish che uscirà a luglio per Feltrinelli, la censura dei libri non è una novità: “Non mi meraviglia troppo il ritiro dei libri di Darwish: succede in ogni fiera della zona e non credo che i lettori arabi ne saranno influenzati, sanno bene come funzionano le cose. E contrariamente ad altri autori che in altre occasioni hanno avuto pubblicità dall’operazione, Darwish non ne ha bisogno. I lettori sauditi sapranno comunque procurarsi i volumi ritirati, come hanno sempre fatto”.
E forse varrà quanto diceva Diderot già nel 1763: “Vedo che più severa è la proscrizione, più sale il prezzo del libro, più eccita la curiosità di leggerlo, più è acquistato, più è letto”.