Al-Jazeera e i rischi di “news management” sul conflitto in Siria

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Il trattamento giornalistico degli eventi siriani è influenzato dagli interessi geopolitici e geostrategici degli attori mediatici in gioco sul palcoscenico regionale? Al-Jazeera sta lentamente allineando la sua politica editoriale alle direttive dell’emirato del Qatar? La comunicazione mediatica del canale satellitare panarabo all-news sul conflitto in Siria evidenzia senza dubbio la complessità delle forze politiche in campo e rappresenta il coacervo di narrative finora prodotte dal regime, dal fronte anti-regime e dagli «stakeholders esterni» (Ue, Stati Uniti, Cina, Russia, Iran, ecc.). Tuttavia, quando il portale web in lingua araba al-Jazeera.net veicola l’eterogeneo discorso delle opposizioni anti-regime vuole anche smascherare le strategie comunicative attuate dalla macchina propagandistica del presidente Bashar al-Asad e criticare la perenne esitazione della comunità internazionale di fronte alla recente escalation della guerra civile.

L’analisi che vi presentiamo è il risultato di un accurato lavoro di raccolta, selezione, traduzione e monitoraggio di un campione di articoli pubblicati in lingua araba su al-Jazeera.net da febbraio a marzo 2013. È bastato un mese di copertura delle notizie per rintracciare un’interessante chiave di lettura ex-ante della svolta diplomatica che ha sventato l’intervento militare anglo-americano in Siria, dove la guerra civile continua nonostante l’iniziativa internazionale per il disarmo dell’arsenale chimico sotto l’egida dell’Onu. 

 

Lo sguardo di al-Jazeera sulla Siria

La copertura mediatica di Al-Jazeera rivela la sua rinnovata capacità di irrompere negli ecosistemi narrativi dello scenario diplomatico-mediatico panarabo e transnazionale, ma dimostra anche la sua presunta difficoltà di difendere le note credenziali di indipendenza, qualità dell’informazione e integrità professionale; tali caratteristiche, che ne hanno decretato il successo di pubblico sin dalla sua creazione nel 1996 su iniziativa dell’emiro del Qatar, vacillano di fronte alle recenti accuse di partigianeria avanzate da alcuni detrattori [1]. Al-Jazeera ha legittimato il proprio prestigio internazionale attraverso la trasmissione di programmi di approfondimento politico, la diffusione di reportage, la predilezione per le «real news» e il supporto dato ai social media e alle forme più innovative di citizen journalism e di cyber-attivismo. La sua credibilità, sintetizzabile nel format-slogan Al-ra’y wa’l-ra’y al-akhar (“L’opinione dell’uno e dell’altro”), si fonda sull’imparzialità, sulla libertà di opinione e di espressione del dissenso, sul confronto dialettico e sulla prevalenza di uno stile giornalistico rispettoso dell’accuratezza e dell’equilibrio delle notizie riportate. Il consistente afflusso di finanziamenti governativi, che alimentano un budget annuale di circa 100 milioni di dollari, e la dipendenza del cda di Al-Jazeera Media Network dal sistema di nomine stabilito dai vertici politici qatarini non hanno infatti impedito al più influente canale tv satellitare di informazione del mondo arabo di elaborare una politica editoriale indipendente e autonoma corrispondente, almeno in parte, al dettato di quei principi deontologici.

Philip Seib [2] ha tuttavia sottolineato in una recente intervista pubblicata su Limes l’influenza di Al-Jazeera nell’agenda mediatica globale e il suo impatto positivo sulla reputazione internazionale del piccolo emirato del Golfo. Al-Jazeera è inevitabilmente un potente mezzo di marketing e di politica estera per il Qatar, un punto di forza per il paese ma allo stesso tempo un potenziale limite per il network nella misura in cui l’attore mediatico e politico coincidono.

Nel 2011 Al-Jazeera documentava sul campo gli incerti esiti delle rivolte arabe in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen e Bahrein, coerente con la fama conquistata nel 2001 con la diffusione dei video-messaggi di Osama bin Laden prima e poi con le registrazioni in esclusiva da qaedisti, ribelli iracheni, signori della guerra afghani e persino dagli attentatori di Londra (come rilevato da Hugh Miles in un suo articolo comparso nel 2006 sulla rivista americana Foreign Policy). Il conflitto in Siria avrebbe invece fatto storia a sé; nella fase iniziale le notizie diffuse da Al-Jazeera mostravano solidarietà verso le promesse riformiste del Presidente al-Asad. Nonostante la timida e scarsa copertura di Al-Jazeera sulle prime manifestazioni popolari di protesta organizzate in Siria nel marzo 2011 fosse dettata dalla necessità di preservare gli accordi di natura politico-economica che legavano il Qatar al regime siriano, la grave escalation di violenza in atto nel paese l’avrebbe però costretta a modificare in itinere la propria strategia editoriale. Il caso siriano sembrava essere così sintomatico di un progressivo avvicinamento della linea editoriale di Al-Jazeera alle scelte strategiche della famiglia reale.

Come riferisce un articolo pubblicato sull’Economist lo scorso gennaio, l’abdicatario emiro del Qatar Hamad bin Khalifa Al-Thani e le élite economiche e militari di Doha non hanno mai rinunciato all’uso di Al-Jazeera come strumento di soft power per garantire al proprio paese una posizione egemonica nella regione del Golfo (in particolar modo nel Consiglio di Cooperazione del Golfo, Ccg) in funzione anti-saudita; pertanto, gli organi societari e la direzione manageriale di Al-Jazeera stanno sfruttando la visibilità globale dell’emittente per controllarne anche i contenuti redazionali. Ad esempio, il trattamento giornalistico della crisi siriana sta ripiegando su retoriche forme di propaganda e di battage mediatico a difesa dei gruppi di opposizione al regime di Bashar al-Asad.

In questa stessa ottica, l’orientamento «filo-islamico» dei notiziari e degli articoli di opinione pubblicati in arabo sul portale web di Al-Jazeera viene talora attribuito ai legami dell’emirato del Qatar con alcuni esponenti dell’Islam sunnita moderato (Fratelli Musulmani) e in particolare agli stretti rapporti con Yusuf al-Qaradawi, conduttore del famoso programma televisivo di Al-Jazeera Al-Sharia wa al-Hayat (“Shari‛a e vita”), nelle cui puntate lo Shaykh sunnita di origini egiziane ha pronunciato una serie di fatawa sulla situazione siriana.

Inoltre, la lettera di dimissioni che il giornalista Ghassan Ben Jeddo, capo dell’ufficio beirutino di Al-Jazeera, ha inviato nell’aprile 2011 al top management della società in segno di protesta per il double standard adottato dall’emittente nell’analisi degli sviluppi della «Primavera araba», per il discutibile silenzio sulla dura repressione militare dei sauditi in Bahrein e non da ultimo per la mancanza di neutralità nella descrizione dei disordini siriani, sembra aver messo in discussione non solo l’esistenza stessa di flussi di informazioni attendibili sulle rivoluzioni arabe, ma anche il rigore professionale dei giornalisti siriani e dei corrispondenti esteri (seppur costretti a seguire dall’esterno gli eventi siriani a causa del boicottaggio della stampa imposto dal sistema di rigida censura interna ed esterna adottato dal regime asadiano).

Tuttavia, il Doha Center for Media Freedom ricorda la chiusura forzata degli uffici di Al-Jazeera nella capitale siriana e nell’intero paese, le minacce e le violenze perpetrate contro giornalisti, attivisti per i diritti umani (Mazen Darwish), blogger, scrittori e illustratori siriani (‘Ali Farzat) “non allineati” alle posizioni del regime, e i numerosi arresti e omicidi di cui sono vittime anche i giornalisti e i reporter stranieri che operano in territorio siriano. Dorothy Parvaz, giornalista web e blogger inviata da Al-Jazeera per documentare le vicende siriane, è scomparsa dal 29 aprile 2011 per 19 giorni dopo aver preso un volo della Qatar Airways diretto a Damasco; era stata arrestata dalla polizia all’aeroporto della capitale e detenuta dalle autorità siriane in una prigione segreta con l’accusa di essere una spia. A seguito del suo trasferimento in Iran, è stata rilasciata ed è finalmente rientrata a Doha per raccontare la sua terribile esperienza.

Infine, la graduale alienazione di una parte dell’opinione pubblica araba nazionale e transnazionale — ben attenta ai risvolti locali e alle implicazioni internazionali delle complesse vicende siriane — testimonia quanto le direttive di politica editoriale dell’emittente all-news risentano delle tensioni geopolitiche della regione mediorientale, riaccendendo a loro volta lo scontro mediatico tra Arabia Saudita (Al-Arabiya) e Qatar (Al-Jazeera) in un contesto cross-mediale liberalizzato. Al-Jazeera sta cercando di superare l’attuale impasse servendosi di numerose tecniche di promozione della propria immagine universalista, sancita ad esempio dal lancio di Al-Jazeera English (2006) ma soprattutto di Al-Jazeera America (2013). La chiara apertura al pubblico occidentale (in questo caso europeo e statunitense) dovrebbe far riflettere sul netto ridimensionamento dell’iniziale vocazione panaraba di Al-Jazeera in vista di una ipotetica fase di prolungata espansione globale.

 

Il ruolo di Al-Jazeera nella polarizzazione mediatica del conflitto siriano

Come suggerisce il ricercatore Hisham Tohme in un suo recente articolo accademico, è opportuno rintracciare l’esistenza di due narrative dominanti sulla crisi in Siria — e cioè il discorso pro-regime (principalmente diffuso, per esempio, dai tradizionali media statali, da canali tv privati nazionali e locali posti sotto il diretto controllo governativo oppure dalle emittenti finanziate dall’Iran come al-Manar, canale tv libanese portavoce ufficiale di Hezbollah oppure dal quotidiano libanese al-Akhbar) e quello anti-regime (interpretato e maggiormente veicolato dalle emittenti panarabe all-news Al-Jazeera e Al-Arabiya, da alcuni canali salafiti sostenuti dall’Arabia Saudita, ecc.). Entrambe le narrative ricalcano la configurazione degli attuali orientamenti politici sulla questione siriana. La coesistenza delle due interpretazioni, sebbene contrapposte e irreconciliabili, è inoltre indispensabile per ricostruire gli scenari politici che i media tentano di plasmare e di trasmettere al pubblico dall’incrocio di fonti dirette e indirette; in quest’ultimo caso, come ricorda Lorenzo Trombetta, le fonti di informazione in Siria non sono sempre verificate né verificabili (a causa della messa al bando della stampa indipendente) e l’attendibilità degli informatori resta ancora oggi una questione spinosa.

Raccontare gli eventi siriani attraverso le lenti di al-Jazeera.net ha richiesto un accurato lavoro di raccolta, selezione, traduzione, monitoraggio e analisi di un insieme ristretto ma significativo di testi (articoli in lingua araba) disponibili online sul portale web di Al-Jazeera e pubblicati da febbraio a marzo 2013. Al-Jazeera.net, il portale web in lingua araba dell’emittente, è online dal gennaio 2001. Secondo la classifica elaborata da Alexa.com, si trova in posizione # 880 tra i siti più visitati al mondo. Il tempo medio trascorso da un visitatore del sito è di circa cinque minuti al giorno, con 80 secondi spesi per ogni visualizzazione di pagina. Si stima che circa il 17.9% dei suoi visitatori si trovino in Arabia Saudita, ma è molto popolare anche in Egitto e in Sudan (dove si è classificato 16°).

I principali indicatori utilizzati per effettuare l’analisi del suddetto campione di articoli sono: (1) l’attribuzione della fonte, che determina il grado di credibilità delle notizie riportate dal redattore nell’articolo; (2) le scelte lessicali degli autori e/o della redazione web; e (3) lo spazio riservato alle due narrative (pro-regime vs. anti-regime) all’interno degli articoli selezionati. Dallo studio degli aspetti formali e contenutistici degli articoli sono emersi due elementi fondamentali: una velata ma decisa presa di posizione contro il regime siriano, del quale vengono a più riprese sottolineate le atrocità e i delitti, come se i ribelli agissero semplicemente in risposta alla violenza distruttiva dei contingenti militari di al-Asad; e l’esaltazione della matrice settaria della rivolta.

 

 Un unico nemico, un’unica opposizione

“Bashar sulle orme di suo padre.”. Non è un caso che al-Jazeera.net il 4 marzo 2013, traendo spunto da un articolo pubblicato su Newsweek, fornisca una descrizione particolarmente critica di Bashar al-Asad e del suo regime, la cui brutalità viene addirittura paragonata a quella del padre. Come si evince da tale articolo, Hafez Al-Asad, membro della comunità ‘alawita, ha esercitato il suo potere in modo tirannico manifestando a più riprese crudeltà e ferocia, due peculiarità che il figlio non ha tardato a imitare. Valutazioni di questo tipo sono comparse sul portale al-Jazeera.net a seguito della stretta repressiva attuata dal governo siriano, intenzionato a stroncare le manifestazioni popolari anti-regime. Dallo stesso articolo emerge un’immagine forte: le pallottole contro i fiori. Nonostante le prime manifestazioni fossero pacifiche (i manifestanti “agitavano ghirlande di fiori”), la reazione delle forze di al-Asad si poteva racchiudere in tre parole: detenzione, tortura, morte.

In molteplici occasioni vengono denunciate le vittime delle azioni militari intraprese dal regime; ad esempio un articolo del 19 febbraio, parzialmente tratto da fonti di agenzia, precisa che “una cinquantina di persone sono state uccise a causa di bombardamenti con missili balistici lanciati dalle forze del regime.”; qui si enfatizza la crudeltà del gesto ― le cui vittime sono per la maggior parte donne e bambini ― citando i dati pubblicati dall’Osservatorio siriano per i diritti umani. Il 21 febbraio al-Jazeera.net usa notizie di agenzia per costruire un articolo sull’attentato nel quartiere damasceno di al-Mazra‘a. Dopo aver riferito che la “Coalizione Nazionale condanna e denuncia gli attentati terroristici che hanno colpito Damasco,” afferma che l’esercito libero nega qualsiasi tipo di coinvolgimento e di responsabilità verso l’accaduto. Lo stesso giorno in un altro articolo descrive le incursioni del regime nell’area dell’attentato, quasi a riprova del fatto che Bashar avesse intenzione nel lungo periodo di estendere la guerra al di là dei confini nazionali. Il regime nega l’uso di Scud, ma l’articolo del 25 febbraio segnala che le forze del regime hanno bombardato il territorio con missili a lungo raggio provocando morti e feriti e distruggendo numerosi edifici residenziali.

Inoltre, al-Jazeera.net riporta le valutazioni dei Comitati di coordinamento locale, che individuano ed elaborano statistiche sul numero dei bambini caduti vittime del regime; tuttavia gli articoli di al-Jazeera.net non si soffermano sulla condizione dei bambini arruolati dal cosiddetto Esercito Siriano Libero (Esl); se da un lato vengono pubblicate alcune fotografie di bambini scattate nel quartiere Salahadeen, dall’altro viene dedicato poco spazio all’analisi dello status dei bambini-soldato coinvolti direttamente nel conflitto, scarsamente assistiti e sottoposti alla crescente violenza del regime.

All’occorrenza al-Jazeera.net seleziona le notizie che ritiene interessanti per il suo target di lettori; per esempio, nelle sue interviste fa parlare intellettuali, politici affermati o leader emergenti che condividono la medesima ostilità nei confronti dell’unico nemico, il regime siriano. Il 18 febbraio al-Jazeera.net pubblica un’intervista rilasciata dallo scrittore e attivista palestinese Salama Kila, il quale avrebbe subito feroci torture durante la sua detenzione a Damasco per aver criticato apertamente il regime. L’intellettuale avrebbe subìto sevizie e violenze prima di essere espulso dalla Siria. Kila esprime la sua perplessità sull’evoluzione degli eventi in Siria e ritiene che in realtà la mancata caduta del regime rifletta la paura degli attori internazionali di perdere la propria influenza nella regione. Egli sostiene che uno dei pericoli all’orizzonte sia la diffusione di una mentalità settaria parzialmente compatibile con una consapevole logica di potere e operativa sin dall’inizio del conflitto. Il 25 febbraio, come sottolinea l’articolo del giorno dedicato alla Siria, il dissidente attivista siriano Walid al-Bunni è in collegamento con Al-Jazeera. Mentre fa da sfondo un contesto politico generale apparentemente “disteso”, in cui il regime mostra una certa predisposizione al dialogo, al-Jazeera.net riporta l’intervista concessa dal portavoce della Coalizione Nazionale Siriana (National Coalition for Syrian Revolutionary and Opposition Forces), il quale esorta la Russia a interrompere il sostegno al regime di Bashar al-Asad qualora voglia rafforzare la propria posizione diplomatica nella crisi siriana.

Il 4 marzo Hadi al-Abdallah, portavoce dell’Autorità Generale della Rivoluzione Siriana, viene intervistato da al-Jazeera; l’attivista siriano ci fornisce la descrizione di una delle più cruente campagne militari del conflitto. Il titolo stesso dell’articolo “Il regime intensifica la sua campagna a Homs e Darya.” esprime la spietatezza del regime, che ha distrutto 17 abitazioni solo nel quartiere di Khalidiya prima di prendere il controllo di Homs. L’8 marzo al-Jazeera.net riporta le dichiarazioni dell’ex Primo Ministro dissidente siriano il quale chiede al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di intervenire rapidamente in Siria, rimarcando la necessità di armare i ribelli. Ancora una volta Al-Jazeera dà all’opposizione siriana la possibilità di esprimersi liberamente.

In sintesi, al-Jazeera.net pubblica interviste di uomini politici che combattono il regime. Lo stesso al-Bunni approfitta della visibilità di Al-Jazeera per invocare la necessità di “perseguire la fine del regime.” Un simile approccio si può rintracciare anche nell’articolo del 12 marzo. Al-Jazeera.net riporta le dichiarazioni dell’Associazione degli Scienziati Siriani, che esprime sconcerto e disappunto per il sostegno che il Gran Mufti della Siria Ahmad Hassoun garantisce al regime (in particolare, Hassoun disapprova il tentativo dei paesi europei di stringere un’alleanza anti-Asad).

A partire dalla metà di marzo il regime siriano viene accusato di aver utilizzato armi chimiche contro i civili; ciò desta una grande preoccupazione internazionale, ben evidenziata da questo articolo pubblicato da al-Jazeera.net il 19 marzo. Le due parti coinvolte nel conflitto (il regime da un lato della barricata e i ribelli dall’altro) si accusano reciprocamente. In chiusura dell’articolo, Abu Mujahid, giornalista di Sham, sostiene che il regime sta cercando di diffondere tali notizie per giustificare l’uso di armi chimiche in aree abitate. L’esperto di questioni militari e strategiche Nizar Abdel-Kader, anch’egli intervistato da Al-Jazeera, ritiene che l’opposizione non possegga affatto le competenze tecniche indispensabili per poter impiegare un’arma chimica.

Un altro punto nodale che riassume la visione di Al-Jazeera sul conflitto siriano è la rappresentazione di un unico nemico contrastato da un’unica opposizione. Al-Jazeera viene spesso accusata di adottare un approccio riduzionistico nell’identificazione delle forze di opposizione al regime di al-Asad e di prestare poca attenzione alle altre parti coinvolte nel conflitto, ivi incluse le forme di protesta manifestate dai gruppi religiosi musulmani non sunniti. Infatti dall’analisi dell’intero campione di articoli selezionati dall’archivio in lingua araba si può rilevare che al-Jazeera.net abbia dato voce agli oppositori ‘alawiti una sola volta. Infatti il 24 marzo pubblica un articolo in cui presenta le critiche che alcuni attivisti dell’opposizione ‘alawita rivolgono al regime siriano; a loro parere Bashar sta giocando la carta della guerra settaria per innescare la guerra civile nel suo paese. In particolare, uno degli attivisti ritiene che al-Asad non possa appartenere alla comunità ‘alawita perché gli ‘alawiti sognano un clima di democrazia e di libertà. In conclusione l’articolo sottolinea che separare il destino della setta ‘alawita da quello della famiglia di al-Asad potrebbe essere l’unico modo per garantire la sopravvivenza degli sciiti all’interno dell’eterogenea composizione etnica e religiosa della popolazione siriana.

Da un altro articolo del 3 marzo emerge la preoccupazione del vicino Iraq, il cui esercito “ha chiuso il valico di Rabia al confine con la Siria.”. Il governo iracheno teme che il conflitto siriano possa trasformarsi in uno scontro interreligioso, in particolare tra i musulmani sciiti residenti a Baghdad sostenitori dell’Iran (e quindi di Bashar al-Asad) e i sunniti che protestano da tempo contro il premier iracheno al-Maliki; un passo dell’articolo recita così: “Il Primo Ministro Al-Maliki avverte che la vittoria dell’opposizione in Siria potrebbe creare guerre settarie in Iraq e in Libano e offrire un nuovo rifugio ai guerriglieri di al-Qaeda.”

Per al-Jazeera la crisi siriana si è aggravata anche a causa dell’atteggiamento di alcuni Stati, in modo particolare della Russia, spalleggiata dalla Cina e dall’Iran. Quando Al-Jazeera.net presenta il ruolo russo nel conflitto siriano, emerge il tono critico e di disapprovazione per il sostegno che le autorità russe assicurano al regime di al-Asad. “La Russia appoggia il regime e si oppone a qualsiasi ingerenza nel conflitto.”; in un articolo pubblicato il 19 febbraio sulla base di notizie di agenzia, al-Jazeera.net espone la posizione della Russia, criticata per l’atteggiamento poco coerente; infatti nell’articolo pubblicato il giorno successivo (il 20 febbraio) al-Jazeera.net riferisce che “l’organizzazione di un incontro tra Al-Moallem e Al-Khatib in questo momento non è un obiettivo della Russia.” nonostante il paese auspichi il raggiungimento del dialogo tra le due parti del conflitto. Il 28 febbraio, in occasione della Conferenza degli amici del popolo siriano, sul portale al-Jazeera.net viene pubblicato un articolo di ferma condanna nei confronti dei paesi che sostengono al-Asad vendendogli le armi, con un ovvio riferimento alla Russia, responsabile di foraggiare il regime con ingenti forniture militari. A tale affermazione segue una valutazione del conflitto, di cui si sottolinea il gran numero di vittime che continua a mietere anno dopo anno. La volontà russa di non contrastare il regime di al-Asad trapela anche dalle parole di Lavrov riportate l’8 marzo da al-Jazeera.net. Al termine dell’articolo, dedicato alla richiesta di intervento presentata al Consiglio di Sicurezza dell’Onu dall’ex primo ministro dissidente siriano, viene ribadita la posizione russa: “Il Ministro degli Esteri russo ha affermato che non chiederà ad al-Asad di dimettersi.”

 

Critica al sostegno di Russia e Iran al regime siriano

Nell’articolo del 14 marzo ancora una volta le parole del Ministro degli Esteri russo esprimono la volontà dell’esecutivo di non interferire nelle questioni siriane: “I siriani sono gli unici che decidono il futuro del Presidente Bashar al-Asad”; anzi, le dichiarazioni del Ministro corroborano la tesi secondo cui il sostegno ai ribelli siriani sia nondimeno da considerare come una forma di violazione del diritto internazionale. Inevitabile il commento di al-Jazeera.net, che chiude il sopracitato articolo sottolineando l’incoerenza della Russia, che “dice di sostenere il dialogo tra le parti in conflitto in Siria pur rifiutandosi di armare i ribelli.” L’esplicito chiarimento rivela la posizione di al-Jazeera.net sulla questione. L’articolo pubblicato su al-Jazeera.net il giorno seguente ribadisce che la Russia si rifiuta di armare i ribelli perché una scelta di quel tipo potrebbe favorire l’accaparramento di armi da parte del Fronte al-Nusra, considerato dai russi un’organizzazione “terroristica”. Si noti che Al-Jazeera stessa ha deciso di virgolettare l’aggettivo “terroristica”.

Con lo stesso spirito critico gli articoli di al-Jazeera.net presentano la posizione dell’Iran in merito alla crisi siriana. Come riportato nel suindicato articolo del 20 febbraio, da un lato l’atteggiamento iraniano è orientato verso un generale clima di dialogo e di salvaguardia dell’integrità territoriale del paese e dall’altro il Presidente iraniano accoglie favorevolmente la proposta del deposto presidente egiziano Mohammed Mursi di istituire un comitato composto dai rappresentanti di tre Stati, cioè Egitto, Iran e Turchia. Tuttavia, in un articolo del Christian Science Monitor pubblicato da al-Jazeera.net lo stesso giorno si legge che “l’Iran, così come la Russia, sostiene il regime con le armi e con il denaro.” [3] La posizione di pseudo-neutralità che l’Iran esibisce pubblicamente viene meno quando il governo iraniano viene informato della possibilità che Doha conceda una sede diplomatica alla Coalizione Nazionale Siriana. Questo dato è significativo perché mostra l’orientamento politico del Qatar e allo stesso tempo fa trasparire la contrarietà dell’Iran nei confronti dell’iniziativa del piccolo emirato del Golfo. Infatti l’articolo del 29 marzo riferisce che l’Iran vuole “sostenere fortemente il regime di Al-Asad,” pur esprimendosi in modo critico nei confronti dell’apertura della prima ambasciata da parte della Coalizione Nazionale in Qatar, e sebbene nelle dichiarazioni ufficiali “l’Iran sostiene il dialogo nazionale.” Titoli come quello del 31 marzo, “L’Iran è per una soluzione in Siria ma contro l’invio di armi ai ribelli” e “Teheran invita al dialogo e loda le riforme di Al-Asad” svelano l’ambiguità della strategia politica iraniana agli occhi di Al-Jazeera.

 

Europa e Stati Uniti dove sono?

Aleppo rischia di diventare una nuova Bengasi? L’inefficace passività della diplomazia dei paesi occidentali di fronte alla gravità delle vicende siriane e il mancato intervento in Siria sono due temi centrali che trovano abbondante spazio sul portale al-Jazeera.net. Dall’analisi degli articoli-campione affiora una feroce critica rivolta in primis alla comunità internazionale. Una veloce rilettura dei titoli degli articoli permette di comprendere la linea editoriale di al-Jazeera, (forse) ben disposta a incentivare qualsiasi tipo di intervento esterno. Si susseguono interessanti titoli quali, ad esempio, “Kerry incontra al-Khatib e condanna l’armamento di al-Asad”; “Invito all’intervento americano in Siria”; “Washington rinnova il suo invito a una transizione pacifica in Siria”; “Heague: Asad sbaglia e noi armiamo i ribelli.”

I tentativi di allentamento dell’embargo di armi e il rinnovo delle sanzioni al regime di Damasco da parte dell’Ue sono documentati nell’articolo del 28 febbraio, dove si parla dell’intenzione di Kerry di persuadere il Presidente russo ad aderire all’opzione interventista per risolvere quanto prima la crisi in Siria. Un intervento esterno sembrerebbe auspicabile, vista l’attenzione che Al-Jazeera dedica all’argomento quando parla degli “aiuti non letali” che gli Stati Uniti vorrebbero fornire all’opposizione siriana. Nell’articolo del 1 marzo si pone l’accento sull’ondata di reazioni sarcastiche seguite alla dichiarazione di aiuti inoltrata dagli americani e dai britannici; non a caso il titolo dell’articolo del 3 marzo (“Heague: al-Asad sbaglia e noi armiamo i ribelli.”) è indicativo della volontà occidentale di armare i ribelli. Inoltre il testo dell’articolo spiega che l’Ue sarebbe disposta a offrire il suo supporto per l’addestramento delle milizie dell’opposizione. In particolare la Gran Bretagna vorrebbe mettere a disposizione dei ribelli siriani non solo materiali di non-combattimento ma anche assistenza tecnica.

L’atteggiamento favorevole di Francia e Gran Bretagna verso i ribelli emerge anche dall’articolo del 14 marzo, dove vengono riportate le parole del Ministro degli Esteri francese Laurent Fabius: “Non possiamo tacere sullo squilibrio esistente tra l’Iran e la Russia, che forniscono armi al regime di Asad, mentre i ribelli non possono difendersi.” Qui si sottolineano sia l’asimmetria tra le due parti coinvolte nel conflitto, sia la necessità di armare i ribelli; l’articolo si chiude con un commento sulla Russia, il cui governo avverte che un eventuale intervento militare occidentale costituirebbe una grave violazione delle norme di diritto internazionale.

Ritroviamo lo stesso schema in altri articoli. Il 15 marzo si discute del sostegno americano per il rifornimento di equipaggiamenti non-letali a favore dei ribelli siriani; prima vengono esposte le intenzioni di americani, inglesi e francesi (riportando alcune affermazioni del premier britannico quali, ad esempio, “ignorerò il divieto imposto dall’Unione Europea se ciò potrà contribuire a rovesciare il Presidente Bashar Al-Asad.”) poi viene segnalata la replica negativa della Russia.

Il 20 marzo viene rimarcata l’opinione di Washington sul probabile utilizzo di armi chimiche da parte del regime. Al-Jazeera.net precisa che il Presidente Obama ha preso sul serio la questione; difatti gli articoli dedicati alla Siria riportano alcuni messaggi del portavoce della Casa Bianca (“Siamo profondamente sospettosi del regime e della sua credibilità.”) che ricordano quanto la presidenza americana abbia messo in guardia già da parecchi mesi il regime sulle conseguenze dell’eventuale impiego dell’arsenale di armi chimiche di cui il governo siriano dispone.

Il 22 marzo al-Jazeera.net dedica un suo articolo al dibattito sulla questione siriana che anima il Parlamento britannico. Nelle discussioni sugli sviluppi in Siria vengono condannati i massacri finora commessi, ma Al-Jazeera evidenzia quanto l’azione britannica si traduca essenzialmente in un nulla di fatto. In chiusura infatti vengono riportate le parole dell’Ambasciatore della Coalizione Nazionale a Londra: “Non c’è più tempo per il dialogo, c’è solo una cosa da fare: liberare la Siria dal regime di al-Asad.”

Il trattamento giornalistico di al-Jazeera.net sembra dunque riflettere un conflitto di interessi interno al sistema di alleanze anti-regime; da un lato i ribelli e le forze politiche di opposizione che l’emiro del Qatar ha deciso di supportare, dall’altro lato gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Al-Jazeera sembra approvare i propositi degli alleati europei e occidentali, ma non risparmia dure critiche alla Nato e agli Usa per la deludente reattività di fronte alle atrocità della guerra civile in Siria.

Nell’articolo pubblicato il 27 marzo viene enfatizzato il parere del Presidente della Coalizione Nazionale Siriana sul rifiuto della Nato di sostenere i ribelli attraverso la fornitura di missili Patriot. Egli afferma che la mancata risposta della Nato equivale a dire che “Bashar può fare ciò che vuole.” L’articolo avverte che i ribelli hanno bisogno di consistenti approvvigionamenti militari anche perché il regime siriano riceve assistenza logistica e militare sia da Iran e Russia che dai combattenti libanesi del braccio armato di Hezbollah. Ricompare l’opinione di Salama Kila, il quale ritiene che finora la strategia politico-diplomatica degli Usa nei confronti del regime siriano non sia stata né decisiva né determinante; talvolta gli Stati Uniti hanno minacciato il regime, ma in molte altre occasioni hanno chiuso un occhio oppure hanno mostrato un totale distacco e disinteresse. Lo scrittore palestinese si dice “scioccato” per aver appreso che il Segretario di Stato John Kerry abbia invitato le forze di opposizione e il regime siriano a sedersi allo stesso tavolo per trovare una soluzione politica del conflitto.

 

Conclusione: una prova superata?

In sostanza, Al-Jazeera non ha del tutto superato la prova dell’obiettività perché deve ancora riempire il gap di credibilità generato dalla discutibile copertura del conflitto in Siria. Il sostegno indiretto ai ribelli siriani e alle forze di opposizione in esilio, l’approccio critico verso l’atteggiamento russo e iraniano e l’enfatizzazione del ruolo delle potenze occidentali nella possibile risoluzione della questione siriana ricalcano in parte le scelte di politica estera del Qatar [4].Una certa evoluzione in tal senso è chiaramente visibile dall’analisi del campione di articoli sinora descritto. In effetti, all’inizio del 2011 l’emittente offriva notizie meno schierate ed era più disposta a dar voce ai molteplici protagonisti del conflitto siriano. L’ambiguità principale risiede perciò nella successiva creazione di un doppio standard nella trattazione delle informazioni: ai titoli degli articoli, rispondenti al volere politico del governo del Qatar, si abbinano contenuti più “miti” a cura della redazione di al-Jazeera.net. 

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[1] A tal proposito, si segnalano le turbolenze che dallo scorso luglio stanno scuotendo gli uffici egiziani di al-Jazeera. Difatti una parte dello staff di giornalisti e corrispondenti (22 persone) ha chiesto le dimissioni accusando l’emittente di aver imposto dall’alto una “biased coverage” sulle vicende dell’Egitto post-Morsi. Cfr. http://www.aawsat.net/2013/07/article55309195 e http://rt.com/news/al-jazeera-booed-egypt-morsi-803/.

[2] Ex Direttore del Center on Public Diplomacy e docente presso la University of Southern California (USC), Philip Seib è autore del libro The Al Jazeera Effect: How the New Global Media are Reshaping World Politics (Potomac Books, 2008).

[3] Anche quando il portale al-Jazeera.net pubblica articoli tratti da fonti estere i riferimenti sono particolarmente indicativi. Il 14 marzo 2013 un articolo titola “L’Iran intensifica il sostegno militare ad al-Asad”. La fornitura di armi (come sostengono autorevoli fonti diplomatiche) vìola apertamente le disposizioni delle Nazioni Unite sull’embargo imposto a Teheran. A conclusione di tale articolo arriva la replica dell’Iran, secondo cui “Teheran vuole porre fine al conflitto attraverso il dialogo,” sebbene un’affermazione del genere sia chiaramente smentita dal titolo scelto da al-Jazeera in testa al succitato articolo.

[4] Il prestigio che il Qatar ha acquisito nell’arena internazionale è dovuto sia alla sua politica “agìta” che alla sua persistente volontà di auto ed etero-rappresentazione. Il paese ha stretto relazioni economiche e militari con diversi soggetti politici (Stati Uniti, Iran) e contemporaneamente ha rafforzato le proprie relazioni con Hamas, Hezbollah e perfino con il Sudan. Il fiorente emirato del Golfo intende rafforzare la sua influenza regionale sostenendo partiti e movimenti politico-sociali di matrice sunnita moderata e appoggiando alcune correnti salafite.