Abu Imad: l’ex imam di Viale Jenner espulso dall’Italia torna in Egitto

26/05/2013
ABU IMAD 2

Il rientro in Egitto di Abu Imad è stato accolto da un certo rumore mediatico. A lungo imam del centro culturale islamico milanese di viale Jenner, uno dei luoghi di incontro preferito dagli islamisti radicali, il 9 maggio scorso Abu Imam è stato espulso dall’Italia con un volo di sola andata per il Cairo.

Per circa 15 anni, questo imam è stato la guida spirituale della moschea più indagata e ispezionata da poliziotti e agenti di servizi segreti di mezzo mondo. Il centro di cultura milanese era infatti il punto di riferimento della Jama’a al- Islamiyya, l’organizzazione terrorista che nell’ 81 firmò l’assassinio dell’ex-presidente egiziano Anwar Sadat e insanguinò l’Egitto per tutti gli anni ’80 e ’90. La loro guida spirituale, lo sceicco cieco Omar Abdel-Rahman sconta ancora oggi una condanna all’ergastolo in un carcere statunitense. Sulla sua testa pende l’accusa di aver progettato, nel ’93, un primo attentato al World Trade Center di New York. Grazie ad una revisione ideologica, dopo il ‘97, una parte della Jama’a è confluita in Al-Qaeda, mentre un’altra buona parte ha rinunciato all’uso della violenza, costituendo un partito politico, Bina’a wa Tanmiyya, Costruzione e Sviluppo .

Grazie alle sue attività, la Jama’a non ha mai smesso di far parlare di sé ed è per questo che il ritorno in patria di Abu Imad non è passato inosservato. Atterrato al Cairo ha iniziato un vero e proprio tour all’interno di diversi studi televisivi : dalle interviste sui canali salafiti all’apparizione su On Tv, una televisione privata non islamista che ha dedicato al suo rientro in patria uno speciale. La sua foto è poi comparsa su tantissimi giornali, finendo anche su Youm al Sabi’a, un portale tutt’altro che islamista.

Davanti alle telecamere, Abu Imad ha raccontato i suoi 20 anni in Italia, soffermandosi anche sugli ultimi tre passati in una prigione di massima sicurezza a causa di una condanna per terrorismo. Secondo quanto ha raccontato a On Tv, fuggì dalle carceri egiziane alla fine degli anni ’80 per andare Pakistan e Afghanistan dove si dedicò al Jihad. Durante il conflitto nella ex-Jugoslavia si spostò poi in Bosnia e Croazia. A invitarlo al centro islamico di Viale Jenner fu l’egiziano Anwar Sha’aban, un uomo ritenuto martire dopo aver perso la vita combattendo come volontario in Bosnia. Sha’aban, amico di Abu Talal, il vice di Abdul-Rahman, chiese ad Abu Imad di diventare il suo più stretto collaboratore a Milano.

Non risparmiando critiche nei confronti della Magistratura italiana, nelle parole di Abu Imad non manca il racconto della sua prima detenzione nel nostro paese a seguito dell’operazione Sfinge del ‘95, una delle prime grosse retate anti-terrorismo islamico avvenute nella penisola. Accusando gli italiani di islamofobia, l’imam descrive l’attività della Digos e dei Ros italiani una vera e propria persecuzione nei suoi confronti.

Tornando in Egitto, Abu Imad non può che mostrare entusiasmo nel vedere il paese in mano al presidente islamista Mohammed Mursi. È per questo che ammonisce le opposizioni, dimostrando una singolare concezione della democrazia: “chi vince comanda e chi perde deve stare zitto” asserisce deciso. Contraddittorio il suo commento sulla nuova Costituzione approvata a fine dicembre Se da un lato loda i vantaggi della Carta italiana che secondo lui garantisce – ma non applica- la libertà di culto, dall’altro spiega che l’Egitto non potrá mai avere un documento simile perché la sua società è completamente diversa da quella laica italiana.

Alle domande sul suo futuro Abu Imad risponde descrivendosi come uomo di religione e di televisione. In realtà, ufficialmente non ha mai fatto studi religiosi, ma in Pakistan e Afghanistan si era occupato della rivista jihadista Al-Murabitun, giornale al quale collaborarono i più noti esponenti di Al Qa’eda. A concludere la maggioranza delle interviste del suo tour di rientro, sono parole rivolte all’Italia.

Esprime infatti il suo desiderio di impegnarsi in politica con il partito di Al Jama’a al Islamiyya. Qualora fosse eletto di vorrebbe occupare dei musulmani italiani. A loro dedica numerosi pensieri, prima fra tutte quello sulla costruzione di nuove moschee. Non nasconde poi il suo desiderio di vincere la causa contro l’espulsione per tornare in Italia e aiutare lo sviluppo della comunità islamica.

Sorge spontanea una domanda: ma i musulmani in Italia hanno bisogno di Abu Imad?