Siria e giornalismo: la guerra delle fonti

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Lavorare liberamente come giornalisti in Siria è molto difficile. Eppure, chi segue i fatti siriani fuori dalla paese degli Asad si trova sempre costretto a riportare informazioni riferite da altre fonti, non sempre verificabili. Con questo dilemma si sono confrontati da quasi mezzo secolo generazioni di cronisti, fotoreporter e cameraman, siriani e stranieri. Questa questione ha assunto una rilevanza ancor più cruciale a partire dalla primavera del 2011, quando è risultato evidente a tutti – anche a chi non conosceva il contesto siriano – che nessun giornalista avrebbe potuto riportare fedelmente quel che accadeva nelle piazze e nelle strade della Siria in rivolta.

Il bavaglio all’informazione non è cosa nuova in Siria, ma venne annodato in maniera definitiva nel lontano 1958, quando il Paese fu annesso all’Egitto nasseriano per una breve e fallimentare esperienza “unitaria”. Il rigido controllo degli apparati di sicurezza sui media è stato di fatto mantenuto fino ad oggi, passando per l’avvento del partito Ba‘th nel 1963 e per la salita al potere di Hafez al-Asad nel novembre del 1970. Nonostante il raìs immortale e suo figlio Bashar, attuale presidente, abbiano promulgato tre diverse leggi sulla stampa nell’arco degli ultimi 40 anni -1974, 2001, 2011- fare giornalismo serio nella Siria degli Asad rimane una missione pressoché impossibile. E soprattutto ad alto rischio.

In due anni di violenze, ben 27 giornalisti professionisti, siriani e stranieri, sono stati uccisi in Siria. Almeno una decina sono stati rapiti da milizie del regime, da gruppi di ribelli o da bande criminali. E di questi almeno quattro, due americani, un britannico e un palestinese, risultano ancora scomparsi, probabilmente in mano ai loro carcerieri. Sono numeri impressionanti, che hanno scoraggiato molti cronisti dall’entrare in Siria.

Chi è riuscito a ottenere l’ambito visto d’ingresso governativo, concesso col contagocce da Damasco, ha potuto lavorare soltanto in alcune zone e con un margine di manovra assai ristretto. Chi rimane fuori è costretto ad affidarsi a notizie a diffuse da altre fonti che, tramite i social network, riportano “notizie dal terreno”. E nel caso di giornalisti esperti del contesto, la loro lista di contatti personali nel Paese si è andata accorciando di giorno in giorno a causa del massiccio esodo di profughi e di sfollati (ormai circa un quarto della popolazione totale) e della crescente incapacità di chi è rimasto di spostarsi da una zona all’altra.

Il risultato è che, ad esempio, di fronte alla macabra ma necessaria conta dei morti giornaliera nessun giornalista – né quello rimasto fuori né quello che per un periodo di tempo molto limitato, mai più di dieci giorni, si trova in Siria – ha la  possibilità di verificare di persona e con certezza il numero delle vittime civili e militari. L’unica piattaforma che ogni giorno riferisce il numero approssimativo delle vittime del fronte ribelle e di quello governativo è l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria Ondus.

Il fatto che l’Ondus sia ripreso in modo quasi acritico da France Presse e che le sue “notizie” siano dunque accettate come “vere” dai principali media occidentali ha scatenato sin dall’estate 2011 una polemica circa l’autenticità delle informazioni diffuse dall’Ondus. Fondato nel 2006, l’Osservatorio trasmette ormai in arabo e in inglese quasi esclusivamente su Facebook, basandosi sul lavoro di raccolta dati svolta da un dissidente siriano, Usama Sulayman, alias Rami ‘Abd ar Rahman. Anche se è esiliato in Gran Bretagna, Sulayman si avvale dell’azione di una rete di attivisti e ricercatori sul terreno.  

I canali della televisione di Stato siriana, l’agenzia ufficiale Sana e gli altri media del regime di Damasco hanno dal canto loro smesso da tempo di fornire cifre aggiornate dei “martiri del terrorismo”,  un flusso di dati e nomi interrotto proprio quando la rivolta ha cominciato ad armarsi, dando il via a un’escalation militare che ha inevitabilmente comportato un incremento delle vittime tra le file dei soldati e dei miliziani lealisti. Eppure, anche nei primi mesi di repressione governativa delle proteste pacifiche, le autorità siriane – compreso il presidente Bashar al-Asad – non erano state in grado di fornire cifre concordanti e aggiornate sui militari governativi uccisi nel Paese da “bande di terroristi armati”. Né avevano mai riferito in modo preciso dati sulle vittime civili, la cui sorte è stata di fatto a lungo ignorata dagli organi di informazione ufficiali. Attualmente i media di Damasco riferiscono ogni giorno dell’uccisione “di numerosi terroristi”, fornendo ogni tanto le presunte identità di alcuni di loro.

Per smarcarsi dal flusso binario di “notizie” Ondus-media del regime, si può ricorrere ai Comitati di coordinamento locali, una delle prime piattaforme di attivisti anti-regime create per documentare quel che avveniva nelle manifestazioni non violente del 2011 e che gli organi informativi ufficiali non riportavano. I Comitati hanno un profilo Facebook dove aggregano molte, ma non tutte, notizie provenienti dalle varie tansiqiyya , comitati di coordinamento, delle zone colpite dalle violenze. In questa pagina le notizie sono riferite in arabo e in inglese, mentre sulle pagine di ciascun comitato locale di quartiere, del villaggio o della cittadina si trovano maggiori dettagli, solo in arabo, su ogni evento raccontato quasi in presa diretta da testimoni oculari.

Le tansiqiyya sono presenti solo nelle zone solidali con la rivolta, mentre le località rimaste fedeli al regime hanno aperto su Facebook le loro shabakat al-akhbar, reti di notizie. Solitamente, dopo che l’Ondus o un media del regime diffondono le loro “notizie”, il giornalista esperto che conosce l’arabo può cercare conferme sulle pagine delle tansiqiyya o sulle “reti di notizie” delle comunità lealiste. Finora, nella maggior parte dei casi personalmente sperimentati, si arriva così a un accettabile grado di verifica della veridicità di ciascun evento.  

Un’ulteriore strumento utile per ricostruire i bilanci delle vittime delle violenze giornaliere è il Centro di documentazione delle violazioni in Siria ,Vdc, che sul suo sito da più di un anno diffonde in arabo e in inglese le schede dettagliate di ciascuna persona uccisa, indicando non solo le generalità e il luogo della sua morte ma fornendo anche i link ai video amatoriali in cui è mostrata la salma.A partire da fine marzo, il Vdc si occupa di documentare anche le violazioni commesse dai ribelli. Quest centro non è stato creato come piattaforma informativa dedicata ai giornalisti, ma come database aperto al pubblico e in continuo aggiornamento in vista di un eventuale futuro processo giudiziario ai presunti criminali siriani.

A differenza dell’Ondus, il Vdc non documenta le vittime cadute nelle file delle forze fedeli al regime. A questo ci ha pensato, durante alcuni mesi del 2012, un sito speculare a quello del Vdc, Document.sy, creato da persone vicine al presidente Bashar al-Asad. Da alcune settimane anche Document.sy ha smesso, come tutti gli altri media ufficiali, di fornire un bilancio complessivo dei militari e degli agenti uccisi.

 Questa è la prima di due puntate dedicate alle fonti giornalistiche della questione siriana. Qui si affrontano i temi generali e quello specifico delle risorse mediatiche per chi segue gli eventi fuori dai confini siriani. La puntata successiva sarà dedicata al lavoro dei reporter e fotografi all’interno della Siria, entrati con o senza accredito governativo