La fioritura mediatica libica nel dopo Gheddafi

19/02/2013
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Dopo la rivolta del 17 febbraio 2011, l’informazione in Libia ha subito uno sviluppo straordinario, aprendo a una fase di libertà di stampa e d’espressione mai vista prima. Non soltanto blog, siti web e social network, ma soprattutto carta stampata, radio e televisioni. Tra quotidiani, settimanali, mensili e periodici vari, si contano almeno 146 testate.  Questa fioritura di “luoghi” di informazione e comunicazione sembra una reazione allergica alla precedente chiusura totale di ogni spazio di libertà d’espressione. Malgrado la necessità di grandi investimenti, il settore televisivo non è stato esente da questo fenomeno. In diversi casi si è sopperito alla mancanza di capitali con le più povere e snelle webtv. A causa del digital divide, il divario tra chi ha e non ha accesso al mondo digitale, queste emittenti raggiungono però solo un  pubblico di nicchia. Le televisioni terrestri e satellitari che si possono seguire da casa con un semplice apparecchio ricevente, senza abbonamenti e senza costi di reti via cavo o cellulari, restano le più importanti. Di seguito si presenta quindi una carrellata, in ordine di importanza, delle principali emittenti libiche.  

Libia al-Ahrar (Libia dei liberi)

È un canale indipendente privato diretto da Hala Serrary e di proprietà della società omonima presieduta dall’ex portavoce del Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt)  Mahmoud Shammam. Per lunghi anni Shammam ha vissuto in esilio e ha lavorato come manager di Al-Jazeera. Anche se non ci sono certezze sulle fonti del capitale della società, molti sostengono che provengano dal Qatar. Durante il periodo della rivolta, i programmi venivano trasmessi dagli studi qatarensi di  Al–Jazeera. Si è poi trasferita a Bengasi, per infine installarsi a Tripoli. I piatti forti dell’emittente sono l’informazione e i programmi di dibattito politico e sociale. Attenzione è data anche a tematiche femminili, trattate con una lente progressista. Popolari le trasmissioni con microfono aperto agli spettatori, programmi non consueti nella televisione araba. Al-Jazeera stessa, pioniera della parola agli ascoltatori, ha da tempo abbandonato questa apertura democratica senza filtri. Grazie alla sua professionalità e credibilità, è il canale più seguito dal pubblico libico.

Libia al-Hurra (Libia Libera)

È la prima televisione libica privata, nata durante i giorni della rivolta a Bengasi come webtv. Il fondatore è Mohammed Nabbous, un giovane media-attivista dall’inglese fluente che nei primi giorni della rivolta è stato una  fonte preziosa di informazioni per molti giornalisti internazionali. Nabbous  è stato assassinato dai cecchini delle brigate di Gheddafi il 19 marzo 2011, mentre stava documentando l’entrata dei carri armati governativi nella città. L’emittente attualmente è guidata dalla moglie che coordina una squadra  di giornalisti formati sul campo. Il palinsesto è ricco di inchieste sulle realtà sociali e sulle problematiche della vita quotidiana in presa diretta anche nei quartieri popolari dove la popolazione meno abbiente continua a vivere nelle difficoltà. La linea editoriale è fortemente anti gheddafiana e durante l’assedio di Ben Walid, nello scorso ottobre, la sede di Bengasi è stata bersagliata da un gruppo di  nostalgici del vecchio regime che ha devastato gli studi.  

Libia

È la televisione pubblica che trasmette sia in analogico che via satellite. La dirigenza è ora vicina agli islamisti della Fratellanza Musulmana, ma lo staff tecnico e giornalistico è lo stesso di prima. La programmazione è ingessata su modalità rigide di comunicazione da Gazzetta Ufficiale. Imperversano gli imam e i predicatori legati alla fratellanza. Per un lungo periodo il mufti Al-Gharyani ha utilizzato questa emittente per lanciare i suoi proclami contro i laici e il laicismo, confondendo le rivendicazioni di uno stato moderno che separi Stato e Fede con l’ateismo. Questo messaggio si è dimostrato controproducente, visto che ha allontanato i già pochi spettatori. 

Libia Awalan (Libia al primo posto)

È un canale libico fondato al Cairo che trasmette soltanto via satellite. È di proprietà della società Libia Al-Hurra di Hassan Tatanaki, un miliardario libico che ha tentato la fortuna politica nel mondo televisivo. Prima della rivoluzione del 17 febbraio, Tatanaki è stato lobbista Gheddafiano negli Stati Uniti. In seguito è diventato  finanziatore del Cnt e, nei primi mesi del 2011, promotore di campagne umanitarie per i profughi libici in Tunisia ed Egitto. La programmazione, diretta da Tareq Kadiki, è iniziata nel luglio 2011 e comprende  prevalentemente programmi di intrattenimento, con trasmissioni di satira di successo, come quella condotta dal comico Saleh Abiadh. Ha una buona programmazione sportiva, settore al quale sono stati destinati importanti investimenti del proprietario. Il primo studio di trasmissioni in Libia è stato realizzato nella città di Al-Bayda, nella montagna verde,  ma, seguendo le fasi della rivolta,  la produzione si è poi trasferita a Bengasi e infine a Tripoli. Non mancano le trasmissioni di auto-promozione delle iniziative di carità sociale dell’omonima associazione di beneficenza fondata da Tatanaki.

Questa emittente non deve essere confusa con l’omonima  webtv dei gheddafiani all’estero, il cosiddetto esercito elettronico di hacker  già al servizio del regime. Quest’ultima  si sta organizzando per un’opposizione  mediatica verbalmente aggressiva e dotata di un ricco archivio di dossier su uomini del vecchio regime folgorati sulla via del 17 febbraio.

Libia Tv

È un canale esclusivamente satellitare di orientamento islamista non dichiarato, diretta da un ex cantautore libico-egiziano, Hamid Shaary. Tra  i giornalisti si trova Soleiman Dogha, ex oppositore all’estero poi che ha poi affiancato il progetto editoriale di Seif Islam, divenendo infine uno dei principali commentatori  di Al-Jazeera. Ha un palinsesto variegato che va dai talkshow ai sermoni dei predicatori religiosi.  La televisione ha uno staff di redattori e conduttori giovani dai modi accattivanti, ma non riesce a scalare la graduatoria delle audience a causa delle trascorse rocambolesche zigzagate di Dogha.

Al-Assima (La Capitale)

A causa della sua linea editoriale è l’emittente più discussa.  Ha sede a Tripoli  e a condurla sono giornalisti noti legati al vecchio regime. “Ha cambiato la veste, ma non il contenuto” sostengono in molti, criticando la costante pubblicazione di informazioni non verificate. 

Misrata

È il canale della vecchia televisione pubblica che viene gestito da un gruppo di giornalisti di Misurata, un’emittente dove prevale un messaggio religioso e campanilista. Resta comunque  attento alle questioni sociali. 

Zintan

È un canale locale di Zintan, con diffusione nel web, nato nel cuore della battaglia per la liberazione della montagna occidentale nel marzo 2011 grazie a  materiale tecnologico importato con l’assistenza di Francia e Qatar. Dedica delle trasmissioni in lingua amazigh. È nota per lo scoop sulla cattura di Sief Islam Gheddafi e per la prima intervista a lui realizzata. 

Nonostante  l’evidente proliferazione di canali televisivi, al momento non è possibile definire né l’influenza delle reti televisive sull’opinione pubblica né il grado di gradimento delle diverse emittenti. Inoltre, l’incidenza delle entrate pubblicitarie è ancora scarsa. Secondo alcuni osservatori che si sono espressi sul trimestrale Fosul Arb’a (Le quattro stagioni) e Al-Mayadeen (Le piazze). “La fase attuale è quella degli investimenti per affermare la propria presenza nel mercato. Questo si prospetta un luogo fruttuoso a causa dei futuri piani di ricostruzione e della ripresa dello sviluppo economico del paese.”

La Libia è ancora priva di una legge sulla stampa in grado di scongiurare il ripetersi della pagina nera del regime dittatoriale. Anche se  all’interno del Cnt prima e nell’Assemblea Nazionale poi è stato deciso di non creare un ministero dell’Informazione, si è formata una commissione per pianificare la libertà di stampa e regolare l’accesso ai fondi pubblici.

L’unico momento nel quale si potrebbe ricordare una vera libertà di stampa in Libia è il periodo finale della monarchia senussita. Negli anni ’60, con la scoperta ed esportazione del petrolio, il paese ha iniziato ad aprirsi alla modernità e diversi editori si sono attrezzati tecnicamente per far fronte alla richiesta sempre più impellente di libertà e democrazia e alla sete di conoscenza che la scolarizzazione ha contribuito a diffondere. Le disponibilità finanziarie statali hanno garantito l’importazione di grandi e moderne tipografie che hanno attirato manodopera specializzata, principalmente da Egitto e  Libano, pionieri nel settore della stampa ed editoria.

In quel periodo erano nati i più importanti e liberi quotidiani libici indipendenti: Al-Haqiqa (La Verità) a Bengasi e Al-Balagh (L’Annuncio) a Tripoli. Fondato  nel 1964, il primo era di proprietà della nota famiglia di intellettuali El-Houni ed è diventato la prima palestra di giornalismo illuminato in Libia. Confiscato nel periodo dittatoriale, Al-Haqiqa ha ripreso la pubblicazione dopo la caduta del regime. Nato nello stesso anno, Al-Balagh è stato fondato da Alì Woreyith, noto oppositore della monarchia e apertamente filo nasseriano. Woreyth è morto misteriosamente in un incidente stradale nell’agosto ’70, dopo la nazionalizzazione del giornale da parte del governo repubblicano. Ciononostante, Al-Balagh ha continuato le pubblicazioni sotto la direzione  di un militare membro del Movimento Ufficiali Liberi. Al momento della salita al potere di Gheddafi, in Libia vi erano 11 quotidiani, tre dei quali erano di proprietà del Ministero dell’Informazione, uno per ogni capoluogo. Dopo la caduta della monarchia,  sono stati chiusi tutti, tranne Al-Balagh. Il mezzo di comunicazione più diffuso in Libia allora diventò la radio; la televisione  trasmetteva soltanto tre ore al giorno  e i televisori non erano molto diffusi. Non a caso, il comunicato del colpo di stato del ‘69 è stato diffuso sulle frequenze radiofoniche.

Agli inizi degli anni ’70, i militari al poter hanno compreso la necessità di possedere un controllo sui mezzi di comunicazione di massa, per arginare gli effetti di quelle critiche che avevano creato fratture nello stesso consiglio della rivoluzione. Per far fronte al rifiuto di molti intellettuali libici di collaborare, sono stati ingaggiati giornalisti arabi di tendenze nazionaliste. Tra questi, l’egiziano Ahmed Said, noto per i suoi proclami radiofonici sull’emittente cairota Saut al-Arab (la Voce degli Arabi) sulle fantomatiche vittoriose battaglie delle truppe egiziane alle porte di Tel Aviv, durante la guerra dei sei giorni del’67.  Ahmed Said è stato un consulente per le comunicazioni del nuovo regime militare repubblicano e ha messo in piedi una scuola di giornalismo militante che, negli anni della più spietata dittatura è stata alla base del sistema informativo del regime gheddafiano.

Fino alla fine del secolo scorso, l’informazione era quindi un monopolio statale. Nelle redazioni, il censore aveva una posizione di rilievo e nessun testo veniva pubblicato senza la sua approvazione. Molti intellettuali sono finiti in carcere o fuggiti all’estero ingrossando le file dell’opposizione. Nel giugno 2005, Dheif Ghazal, giornalista del quotidiano del partito al potere, Azzahf al-Akhdar (La Marcia Verde), è stato rapito, seviziato e barbaramente ucciso per vendetta contro una serie di articoli di denuncia mai pubblicati.

Si deve aspettare l’arrivo del nuovo secolo per vedere la prima esperienza di duopolio informativo. Alle emittenti statali si somma il progetto Libia al-Ghad (Libia di Domani) di Sief Islam Gheddafi, il figlio del raìs che si preparava prendere il posto del padre. Soprattutto dopo la guerra di Bush contro l’Iraq di Saddam Hussein si sono avute aperture interne e internazional, per mettere fine all’isolamento del regime. Pallide promesse di liberalizzazioni democratiche che sono rimaste soltanto di facciata. Sono nati così il canale televisivo Al-Libyia, l’agenzia stampa Mutawassit (Mediterraneo) e i quotidiani Oea, Qourina e Libia Al-Youm (La Libia di oggi). Queste esperienze hanno attirato molti coraggiosi giovani giornalisti, formati nelle facoltà di giornalismo a Bengasi e Tripoli, ma anche vecchi oppositori, soprattutto di tendenze islamiste, “rieducati” e  riciclati.

Attualmente, oltre a battersi per  una maggior richiesta di libertà di stampa e per la regolamentazione dell’occupazione dell’etere, sembra necessario lavorare per garantire pluralità e opportunità di accesso al settore mediatico, riducendo monopoli e conflitti di interesse e cercando di sbarrare la strada al ritorno al vertice di seguaci del vecchio regime.