“Tamarrod, secondo indiscrezioni, potrebbe diventare un modello di franchising dedicato all’espansione regionale”. Questo tweet del 4 luglio, scritto dal sito satirico Panarabia Enquirer, è uno scherzo. La battuta è però da prendere seriamente, per tre motivi. Primo, perché lo scherzo pone l’accento sulla crescente voglia di contaminazione che ha penetrato il mondo arabo dopo che l’Egitto ha seguito chiaramente l’esempio tunisino nel 2011. Secondo, perché celebra il potere – sottovalutato o no – dei social media nella regione, e la comunicazione tra attivisti e gioventù araba. Terzo, perché prende in giro le “informazioni” date dai social network che considerano spesso un’ “indiscrezione” come un’informazione da diffondere. Il fatto è che il regno dei social media è influenzato, ancora più degli altri media tradizionali, dalla personalizzazione dell’informazione e dalla forza dell’emozione. L’incredibile potenza dell’ultimo hashtag “Tamarrod” ne ha dato, nelle ultime settimane, una prova consistente in tutta la regione.
Una ridefinizione della legittimità democratica: il mandato del popolo viene dato on-line?
Due mesi fa il movimento Tamarrod (Ribellione), prevalentemente gestito online, apriva una nuova finestra di rivendicazione. Mahmoud Badr e Mohamed Abdelaziz, 28 anni, ed Hassan Chahine, 23 anni, hanno lanciato una petizione contro il Presidente eletto e per una nuova chiamata alle urne, che avrebbe raccolto – secondo i dati dichiarati dagli attivisti – più di 22 milioni di firme. Un consenso ben maggiore di quello ottenuto da Mohamed Morsi durante le elezioni presidenziali del 2012 – quando prese poco meno di 14 – e che ha lasciato gli organizzatori di Tamarrod a bocca aperta. Si può parlare di un cambiamento nelle fonti di legittimità politica? Siamo davanti a una prima e importante breccia nella definizione tecnica di democrazia? Per gli attivisti egiziani, la raccolta di firme – online e porta a porta – può essere paragonata al sistema di voto democratico e controllato. Non solo, gli attivisti vanno oltre: essendosi guadagnati un seguito maggiore rispetto a quello ottenuto dai fratelli musulmani alle elezioni del 2012, si sentono di essere un movimento maggiormente rappresentativo rispetto all’istituzione eletta democraticamente.
La gente ha firmato la petizione Tamarrod per avere “nuove elezioni presidenziali”, ha insiste un giovane ragazzo davanti al capo delle Forze Armate, Abdel Fattah al-Sissi; “La strada è nostra perché siamo con il popolo”, ripete Badr in tutti i suoi interventi. Se la legittimità portata dalla forza del movimento online, equivalesse a quella delle urne, il Tamarrod potrebbe diventare un “franchising” esportabile ad altri paesi della regione.
Panarabismo e social media
Basta guardare la reazione sui social network arabi, per vedere l’effetto domino del Tamarrod. Proprio mentre il fenomeno prendeva piede in Egitto, tra le parole chiave di tendenza su Twitter spuntavano #Tamarrod #Tunisie. Petizioni on-line sono state lanciate in Libia da Tamarrod Libia (7673 Mi piace sul gruppo Facebook) e in Siria dal sito Tamarrod Siria. In Marocco, la petizione contro il governo di Abdelillah Benkirane non ha ottenuto un grosso successo per ora (781 likes), mentre il gruppo bahreinita Tamarod 14 agosto ha organizzato, in questa stessa data, una manifestazione nazionale.
In un simile contagio si legge chiaramente un ritorno del vecchio movimento del panarabismo o ‘coscienza araba’, come lo definisce Lawrence Pintak, professore alla Washington State University: “Nuovi habitus giornalistici e nuove forme di comunicazioni digitali hanno contribuito a fare emergere ‘una nuova coscienza araba legata ai classici concetti della teoria del nazionalismo: linguaggio, media e altre comunanze etniche”[1].
Tamarod #Tunisie
Subito dopo la deposizione per mano militare del presidente Mohammed Mursi, un gruppo di attivisti tunisini lancia il movimento Tamarod Tunisie. Mohamed Bennour, coordinatore dell’iniziativa dichiara che il movimento chiede “lo scioglimento dell’Assemblea costituente e l’annullamento del progetto di Costituzione”. A Tunisi, l’8 luglio, con lo stesso spirito, nasce ‘Knagtouna’(Ci avete soffocato), un altro movimento che lancia la sua petizione online, adottando lo stesso stile usato dagli egiziani. In Tunisia, la ribellione diventa però ”désobéissance” (‘disobbedienza’), agganciandosi ad un vocabolario ed una tradizione di sinistra internazionale [2] . Fino a metà luglio, il movimento ha raccolto 23.159.
In Bahrein, con il gruppo “Tamarod del 14 agosto”, centinaia di ragazzi hanno chiamato i propri connazionali a scendere in piazza nel giorno dell’anniversario della partenza delle truppe inglesi nel 1971. Le proteste degli oppositori del re Hamad bin Isa Al Khalifa vanno avanti dall’inizio della primavera araba nell’indifferenza internazionale: il tentativo di dare un nuovo “marchio” al movimento legandolo di nuovo alle rivoluzioni arabe vicine è per questo molto importante. Nonostante l’iniziativa non abbia ancora raccolto adesioni numerose, dopo l’annuncio di Tamarod Bahrein il Ministro dell’Interno Rashid bin Abdullah Al-Khalifa (cugino del re Hamad, ndr), ha ammonito: “Le manifestazioni illegali possono mettere un pericolo la sicurezza.”
Mentre due anni fa i contesti politici egiziano, tunisino, siriano, libico o del Baherin, potevano essere paragonabili, oggi hanno poco in comune – soprattutto perché affrontano avversari assai diversi. L’importanza dell’esercito in Egitto non ha confronto, ad esempio, in Tunisia; la disobbedienza contro i movimenti eletti in Tunisia ed Egitto non è assimilabile alla lotta contro una famiglia regnante in Bahrein o con il conflitto armato in Siria. Ciò nonostante pare che un movimento giovanile sia rimasto intatto e compatto, attraverso gli hashtag e le emozioni di un ‘Mared’ giovane che disobbedisce e porta il popolo con sé.
L’effetto domino di movimenti come Tamarrod testimonia la potenza di un nuovo panarabismo, emotivo, giovane e decisamente apolitico che ha trovato il suo modo di espressione e di diffusione più efficace nei social media. Un fenomeno simile a quello verificatosi negli anni novanta con l’avvento delle prime televisioni panarabe Al-Jazeera e Al-Arabiya, ma che oggi si sviluppa ancor più velocemente attraverso i social network.