Sudan: sempre al centro delle dispute tra media occidentali e arabi

27/01/2014
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Il fatto che il Sudan sia tornato temporaneamente all’attenzione dei media, per via degli scontri in corso nella neonata repubblica meridionale tra i sostenitori del presidente Salva Kiir e quelli del suo rivale ed ex vice Riek Machar, fornisce uno spunto di riflessione sulla copertura mediatica di un paese da sempre al centro di polemiche tra redazioni arabe e occidentali. La diatriba è radicata nel conflitto tra nord e sud esploso negli anni ’50, diramatosi nella guerra del Darfur (Sudan occidentale) dal 2003 e passato dalla creazione del Sud Sudan nel 2011. La nascita dello stato meridionale ha avuto delle ripercussioni inevitabili sulle proteste anti-governative scoppiate nello stesso anno nel nord del paese e inaspritesi nella seconda metà del 2013, da quando il presidente Omar al-Bashir ha imposto l’aumento del prezzo del carburante a seguito della temporanea sospensione dei rifornimenti petroliferi provenienti dal sud (gennaio 2012- aprile 2013).

Durante la crisi umanitaria del Darfur, i media arabi erano già stati accusati dai loro omologhi occidentali e dall’opposizione sudanese di aver mostrato scarso interesse per i crimini commessi dal regime di Khartoum. Nel 2008, riflettendo l’opinione più diffusa nel mondo arabo, il direttore del quotidiano panarabo Al-Quds al-Arabi, ‘Abdul-Bari ‘Atwan, aveva replicato sostenendo che i media occidentali avevano esagerato le proporzioni degli eventi del Darfur per legittimare la nascita del Sud Sudan. Secondo ‘Atwan, una simile insistenza sul Darfur sarebbe servita a distogliere l’attenzione dalle atrocità commesse dalle truppe occidentali in Iraq e Afghanistan. Le sue dichiarazioni rispecchiano la propensione dei media arabi a occuparsi dei conflitti sudanesi come un complotto israelo-americano finalizzato al controllo delle risorse energetiche del paese. Per quanto siano innegabili sia le relazioni tra i separatisti del sud e Tel Aviv che la concentrazione del 70 percento dei giacimenti petroliferi del paese nella repubblica meridionale, l’approccio dei media arabi tradisce un interesse limitato alla geopolitica internazionale, a fronte di una scarsa presenza di reporter sul campo.

Nel luglio 2013, la “paladina” mediatica delle rivoluzioni arabe, Al-Jazeera, è tornata al banco degli imputati per la marginalizzazione delle proteste anti-governative sudanesi: la replica della redazione è stata che solo alcune centinaia di manifestanti avrebbero preso parte alle proteste, a differenza degli altri paesi arabi. Pur essendosi occupata delle rivendicazioni popolari sudanesi, l’emittente qatarense è ormai nota per la sua vicinanza ai Fratelli Musulmani e a uno dei loro “megafoni”, lo Shaykh Yusuf al-Qaradawi, il quale ha definito “buona” la situazione sudanese, rifiutando il paragone con la dittatura militare di Hosni Mubarak in Egitto. Il regime di Omar al-Bashir è pur sempre ideologicamente islamico e il parere di Qaradawi non può che essere condiviso da una parte dell’opinione pubblica musulmana.

L’altro colosso mediatico panarabo, Al-Arabiya, ha dedicato spazio alle proteste, pur definendole un movimento “senza precedenti” dall’ascesa al potere di Bashir (1989) e riconducibile agli “slogan della primavera araba”. In realtà, come osserva Stephen Zunes, esperto di politica mediorientale, il Sudan aveva conosciuto episodi di mobilitazione popolare già negli anni ’90 e nel 2005, ben prima della “primavera araba”.

Sul fronte dei media occidentali, nel caso del Darfur, non sono mancate le consuete derive orientaliste, rese ancora più incontrastate dalla marginalità dei media arabi nella copertura degli eventi. La stessa definizione di genocidio è stata spesso fondata su demarcazioni etno-confessionali arbitrarie: la popolazione del Darfur è musulmana e lo scontro non era pertanto tra musulmani e cristiani come nel caso del conflitto tra nord e Sud Sudan, né tantomeno si trattava di un regime “arabo” intento a massacrare “africani” non arabi, essendo la distinzione ben più sottile e connessa a questioni identitarie e linguistiche.

Tutte queste sfumature si sono perse nella versione mainstream degli eventi, con conseguenze non indifferenti sull’odierna copertura delle proteste in Sudan. Il blogger sudanese Mohammad al-Dahshan ha imputato infatti lo scarso interesse dimostrato anche dai media occidentali all’immagine cristallizzata dei sudanesi settentrionali, identificati come gli stessi musulmani arabi “malvagi” che massacravano i cristiani del sud e gli “africani” del Darfur. La loro ribellione contro lo stesso governo responsabile dei massacri non suscita alcun interesse in assenza dei dovuti approfondimenti del contesto storico, politico e religioso. Lo studioso di religioni Alex Thurston ha per esempio sottolineato come una delle figure chiave dell’opposizione, Sadiq al-Mahdi- pronipote del leader islamico Mohammad Ahmad al-Mahdi, che guidò la ribellione contro i colonialisti inglesi nel 1885- renda ulteriormente complesso il ruolo giocato dall’Islam nella politica sudanese. Un ruolo probabilmente troppo complesso per essere analizzato da un’industria mediatica in grado di osservare le forze islamiche esclusivamente in funzione del loro dirottamento dei moti popolari.

In questi giorni, l’ennesima esplosione di tensioni mai sopite, la faida tra il clan di Kiir e quello di Machar nel Sud Sudan, potrebbe avvalorare l’originale scetticismo dei media arabi nei confronti della divisione del paese e distanziarli ulteriormente dal giornalismo occidentale. Tuttavia, alcuni arguti editoriali, come quello dell’egiziano Mohammad Abu al-Fadl, pubblicato il 29 dicembre 2013 sul quotidiano panarabo Al-Arab, lasciano ben sperare per il futuro, astenendosi dalla condanna della nascita della repubblica meridionale e dall’apologia più o meno implicita del regime di Khartoum: vi si riconosce invece come Omar al-Bashir possa approfittare dell’attenzione mediatica attratta dal sud per arginare nell’ombra il dissenso esploso al nord. Porre le basi per un dialogo tra media arabi e occidentali non potrà che far luce sulla complessità dello scenario sudanese.