Naba: la televisione dell’opposizione saudita

15/07/2013
Naba

Dal 3 maggio, la televisione dell’opposizione saudita ha un nome: Naba, Notizia. Dopo cinque anni di gestazione, il progetto ha visto la luce mentre il protagonismo di Ryad nelle dinamiche regionali continua a farsi sentire. A guidare l’operazione è il professore saudita Fuad Ibrahim che ha stabilito la sua redazione a Beirut e un ufficio di rappresentanza a Londra.

Il palinsesto, ancora in fase di rodaggio, prevede quattro notiziari generalisti giornalieri, con particolare attenzione alle vicende saudite e a quelle dei paesi del Golfo. Vi sono poi trasmissioni tematiche e dibattiti che prevedono collegamenti esterni su temi strettamente collegati alla politica del regno saudita e con il coinvolgimento di tutte le componenti della società saudita.

In un’intervista rilasciata al quotidiano libanese Al-Akhbar, Ibrahim nega di essere un megafono del confessionalismo sciita. Questa infatti è l’accusa che la stampa araba foraggiata da finanziamenti sauditi lancia contro Naba che ha finito per essere chiamata “Qutaifia”, in riferimento al capoluogo della regione orientale saudita abitata prevalentemente da sciiti. Altra accusa è quella di essere un braccio della politica iraniana. Questa volta a lanciarla è la stampa libanese sunnita che sottolinea che la sede di Naba si trova nei quartieri meridionali di Beirut, notoriamente sotto il controllo militare del partito sciita Hizbollah. Nello stesso complesso hanno infatti sede la televisione di questo partito – Al-Manar – la satellitare iraniana Al-Alam, il canale yemenita dell’opposizione sciita Houthi –  Al-Massira –  quello dei secessionisti dell’ex Repubblica democratica popolare dello Yemen – Aden Live –  e le due televisioni irachene Ittijah –  vicina al movimento Hizbollah iracheno – e Assia di Ahmed Chalabi, un politico e uomo d’affari iracheno che ha coperto, dopo la caduta di Saddam Hussein, l’incarico di vice primo ministro e ministro del petrolio, prima di cadere in disgrazia per le accuse di corruzione e malversazione.

“La nostra – dice Ibrahim – è un’avventura contro coloro che dominano e monopolizzano la sfera televisiva araba, per soffocare le giuste aspirazioni alla libertà dei nostri popoli della regione del Golfo. Noi vogliamo capire la realtà delle nostre società a partire dalle condizioni concrete e ci avvaleremo della collaborazione di molti media attivisti.”  Le difficoltà però sono oggettive. “Non vogliamo mettere in pericolo la vita dei nostri collaboratori volontari e per questo rinunceremo all’uso dei collegamenti video dall’interno del regno –spiega il fondatore.  Ricorreremo piuttosto a corrispondenze telefoniche e telematiche.”

Fare opposizione contro la monarchia saudita è un’impresa dura. A dimostrarlo è stato anche quanto accaduto l’11 marzo 2011, quando la brezza della “primavera saudita” è stata bloccata sul nascere. Sedici i  morti e un centinaio gli arrestati di una giornata che i media locali hanno preferito non coprire. 

I regnanti sauditi sanno bene quanto sia stato centrale il ruolo dei media nelle altre primavere. Alla domanda di una giornalista occidentale sul possibile contagio delle rivolte del 2011 nel regno saudita, il ministro degli esteri Faisal  ha risposto affermativamente, spiegando però di dubitare del loro successo perché “nessuno ne parlerà”. La politica di comprare con petrodollari media e vassalli politici è stata una prassi dell’azione diplomatica saudita. Ne sa qualcosa la vedova del professor Nasser Al-Saeed, autore di I misfatti della famiglia Saud, uno scrittore sequestrato e fatto sparire a Beirut, nel 1979. Secondo le accuse del dissidente Abu-Mussa, nel rapimento di Al-Saeed sarebbe stato coinvolto  un alto dirigente del partito palestinese Al-Fatah, Abu Zaim, che avrebbe ricevuto in cambio 20 milioni di dollari. La vedova di Al-Saeed ha tentato tutte le strade per conoscere la sorte di suo marito, ma ha sempre sbattuto contro un muro di gomma. 

A fare discute sono infine le fonti di finanziamento di Naba. Ibrahim sostiene che durante i cinque anni di gestazione sono stati raccolti soldi da sostenitori e sponsor sauditi. Il costo dell’operazione dovrebbe aggirarsi sui 5 milioni di dollari all’anno. I detrattori sostengono però che la cifra sia stata anticipata totalmente da Teheran.