Mrs Clooney e la guerra padellata egiziana

08/01/2015
amal

Mrs. Clooney rischierebbe il carcere. Secondo quanto annunciato dal quotidiano britannico The Guardian, i magistrati egiziani non sopporterebbero più le dure critiche pronunciate da Amal Alamuddin, la moglie del celebre attore di Hollywood. In un rapporto datato febbraio 2014 redatto dalla stessa avvocato e da altri colleghi per conto di un’associazione internazionale, Alamuddin avrebbe infatti denunciato le «falle» del sistema legale egiziano.

Il condizionale è però d’obbligo. Appena la notizia – pubblicata più sulle pagine di cronaca rosa che su quelle estere – ha iniziato a circolare, il Ministero degli Interni egiziano ha infatti negato di aver minacciato di arrestare la penalista già celebre, ancora prima del suo matrimonio, per i suoi precedenti clienti: Julian Assange, Yulia Timoshenko e l’ex gheddafiano Abdullah Senussi.

L’avventura di Alamuddin in Egitto è inizia prima che lei diventasse protagonista della cronaca rosa quando è stata scelta come avvocato difensore da uno dei tre giornalisti di Al-Jazeera in cella dal 2013 con l’accusa di aver fiancheggiato gli ormai banditi Fratelli Musulmani. La settimana scorsa, un tribunale del Cairo ha annullato le vecchie condanne (dai 7 ai 10 anni di detenzione), ordinando un nuovo processo nei confronti dei reporter della satellitare qatarense diventati il simbolo del ritorno della censura in Egitto.

Da mesi le “nuove” autorità del Cairo che hanno preso il potere dopo la deposizione, nel luglio 2013, del presidente islamista Mohammed Mursi puntano l’indice contro il presunto complotto internazionale a sostegno della Fratellanza alla cui testa ci sarebbe proprio l’emittente qatarense. Divenuta celebre per aver rivoluzionato l’ambiente mediatico mediorientale, nel corso delle primavere arabe Al-Jazeera ha rovinato la sua reputazione. In Egitto è diventata il megafono della screditata Fratellanza Musulmana, perdendo ogni briciolo di credibilità. Ecco perché una delle prime cose che hanno fatto i militari quando sono tornati al potere è stata quella di staccarle la spina.

Quella andata in onda lungo il Nilo nell’estate 2013 è stata una vera e propria repressione dei media islamisti che ha coinvolto altre frequenze oltre quelle di Al-Jazeera. Nel mirino delle forze di sicurezza egiziane sono entrati non solo i singoli reporter islamisti, ma l’intero panorama mediatico sorto durante la presidenza di Mursi. Solo nella notte della sua deposizione, 14 reti televisive sono state oscurate, in particolare Misr 25, fondata dopo la rivoluzione del 2011, e le due emittenti salafite all’epoca molto popolari: Al-Nas (La Gente) e Al-Hafez (Il Guardiano). Sono stati poi chiusi gli uffici cairoti della televisione satellitare Al-Rahma, della giordana Yarmouk e del quotidiano Al-Quds al-Arabi.

Censurati in casa, gli islamisti hanno cercato di trasferire le loro redazioni in paesi più accoglienti, in primis Turchia. Ankara si è mostrata da subito la capitale più accogliente nei confronti delle frequenze islamiste della diaspora. Racep Tayyp Erdogan ha applaudito il progetto islamista di fare di Istanbul la sede degli studi della nuova televisione satellitare della Confraternita. Lanciato il 19 dicembre 2013, il canale Rabaa (dal nome della piazza dove la Fratellanza si era arroccata per rivendicare la sovranità di Mursi) è stato solo il primo megafono di cui si è servita quel che resta della Fratellanza. Mentre le autorità egiziane hanno continuato a pronunciare sentenze di arresto e condanna a morte nei confronti della leadership islamista residente lungo il Nilo, i Fratelli della diaspora hanno annunciato l’apertura di altre diverse emittenti. In meno di 18 mesi, solo in Turchia sono nati circa una dozzina di questi canali come Al-Shar’iyh (La Legittimità), Misr Alan (Egitto Ora). Mikammilin (Continuiamo), Al-Sharq (L’Est).

Oltre alle diverse antenne ricevute in prestito dalla Turchia e tenute in vita dall’emiro del Qatar, la Confraternita ha cercato di tornare a essere presente anche sul web. Secondo un report pubblicato dal sito emiratino 24.ae, anche i Fratelli londinesi si sono attivati lanciando, ad aprile, il sito Al-Arab al-Jadid (Il nuovo arabo), diretto da Wael Qandil, uomo già al vertice del quotidiano egiziano Al-Shuruq al-Jadid e apparso più volte sugli schermi di Al-Jazeera nelle vesti di difensore della Fratellanza. In Germania sono invece nati Hurriyyati (La mia libertà) e New Khalej.

Oltre a essere strenue sostenitrici della Confraternita, tutte queste testate hanno dichiarato guerra ai media privati e statali ancora presenti in Egitto che fanno della lode al nuovo presidente – la cosiddetta Sisi-mania – il nocciolo del loro palinsesto.

Giornalisticamente parlando però non solo l’idea di media anti-regime che trasmettono fuori dai confini non è originale, ma non risulta neanche vincente. Nessuna di queste testate riesce infatti a bucare lo schermo. Oltre a essere roccaforti simboliche di una Fratellanza nuovamente clandestina e in crisi, queste emittenti non offrono prodotti in grado di catturare pubblico. Più che ampliare la base della Confraternita mirano a chiamare a raccolta lo zoccolo duro dei sostenitori dell’Islam politico egiziano che non trovano frequenze nazionali sulle quali sintonizzarsi e rischiano di disperdersi.

Difficile quindi che riescano a rivitalizzare la Fratellanza, soprattutto ora che Al-Jazeera Mubashir Misr (il canale di Al-Jazeera che trasmette in diretta dall’Egitto) ha accettato il diktat saudita, annunciando la fine delle sue trasmissioni come aveva chiesto il “nuovo” regime egiziano intollerante nei confronti delle emittenti che etichettano il suo ritorno al potere come un golpe militare. Secondo alcune indiscrezioni, la chiusura di Al-Jazeera Mubashir Misr sarebbe però una mossa provvisoria, visto che il network starebbe pensando al lancio di un nuovo canale che, sostituendosi alla discreditata satellitare, continui ad aggiustare il tono in base all’evoluzione della narrativa regionale.

La guerra fredda padellata non è quindi destinata a finire. Nei prossimi mesi andranno in onda battaglie di soft power che potrebbero diventare ancora più dure, ottenendo un’eco sempre maggiore… con o senza Mrs. Clooney.