Mada Masr, l’orizzonte del giornalismo egiziano. Incontro con Lina Attalah.

15/06/2016
Lina Attalah nella redazione di Mada Masr (credit: theguardian.com)

Lina Attalah è una figura di rilievo nel panorama del giornalismo egiziano, impegnata in prima linea nella difesa della libertà di stampa e di espressione nel paese.

È stata redattrice del giornale Egypt Independent. Dal 2013 è caporedattore di Mada Masr, giornale bilingue indipendente fondato al Cairo due anni dopo la Rivoluzione che ha deposto l’ex presidente Hosni Mubarak.

Cos’è Mada Masr?

Mada Masr è nato nel 2013 al Cairo. È stato fondato da un gruppo di giornalisti residenti in città, per la maggior parte egiziani, a cui era capitato di lavorare precedentemente per altri organi di stampa costretti a chiudere perché in disaccordo con le posizioni politiche del Governo. Era un periodo molto difficile in Egitto, a causa dell’aumento delle restrizioni alla libertà di espressione e per il fatto che la maggior parte degli organi di stampa avevano perduto la propria indipendenza e avevano deciso di allinearsi con il regime militare appena formatosi nella seconda metà del 2013. In questo contesto maturammo l’idea che l’unica possibilità che avevamo di praticare un giornalismo indipendente fosse quella di creare un nostro proprio organo di informazione.

Questo è il motivo per cui è nato Mada Masr. Il giornale funziona come una cooperativa di proprietà dei suoi cofondatori e successivi collaboratori, possiede dei meccanismi di fondi che gli assicurano indipendenza e autonomia e oggi è considerato una delle poche voci critiche presenti in Egitto, in quanto quello che portiamo avanti è, a tutti gli effetti, giornalismo professionale.

Che significa esattamente Mada Masr, il nome del giornale?

“Masr” significa “Egitto” e “mada” significa “orizzonte (nel senso di vasta gamma o largo spettro ndr)”. L’idea dietro questo nome indica il fatto che non sosteniamo alcuna delle parti che sono in lotta per il potere in Egitto, al contrario noi raccontiamo le storie nella loro complessità, analizzandole strato per strato. Abbiamo deciso di non aderire al sistema di polarizzazioni o spartizioni binarie e, al contrario, sosteniamo la verità nella totalità delle sue forme complesse e tentiamo di mediare tali complessità nel nostro lavoro.

Quali sono le aree di maggior interesse di Mada Masr?

Non solo trattiamo le notizie quotidiane, ma ci occupiamo anche di servizi più lunghi che spaziano dalla politica, all’economia, alla società e alla cultura.

Avete collaborazioni con esperienze di giornalismo simili alla vostra al di fuori dell’Egitto, nei paesi del Nord Africa o del Medioriente?

Siamo per lo più incentrati sull’Egitto, ma recentemente abbiamo iniziato a creare collaborazioni con esperienze simili alla nostra: giovani media indipendenti e progressisti, provenienti da ogni angolo della regione, che trattano di Siria, Libano, Palestina, Marocco, Bahrain o di altri paesi, con i quali siamo interessati a costituire un fronte mediatico comune.

Siamo convinti della necessità di creare tali collaborazioni, perché per capire il senso di quello che sta succedendo in Egitto, dobbiamo tenere gli occhi aperti anche su quello che sta avvenendo su più ampia scala in tutta l’area. Di conseguenza, si verrà a creare anche una nuova maniera di fare giornalismo nella regione, che per raccontare quanto avviene all’interno dei nostri paesi non si basi più esclusivamente sulle testate straniere, ma piuttosto su professionisti autoctoni che collaborano per creare insieme una loro narrativa specifica.

I collaboratori di Mada Masr sono tutti giornalisti professionisti?

Si, le persone che lavorano per Mada sono giornalisti professionisti: il loro è un giornalismo professionale perché guidato dalla sola voglia di raccontare la verità, senza corromperla con alcuna ideologia.

Al tempo stesso, però, molta della gente che lavora per noi non ha fatto praticantato da giornalista, in buona parte perché in Egitto ciò non si traduce in un buon insegnamento della professione. Quindi a Mada Masr abbiamo persone dal background eterogeneo: dentisti, ingegneri, artisti…e credo che sia anche questa diversità ad aggiungere profondità al nostro lavoro.

Com’è cambiata la situazione della libertà di stampa e il lavoro dei giornalisti dalla fondazione di Mada Masr a oggi? Avete dovuto cambiare il modo di raccogliere informazioni e di raccontare le notizie?

Dò alcuni dati generali, ma esplicativi: nel 2015 il Committee to Protect Journalists (CPJ) ha dichiarato che, dopo la Cina, l’Egitto è il secondo paese in cui vengono incarcerati più giornalisti al mondo. Penso che questo già la dica lunga sullo stato del paese riguardo non solo la libertà di stampa, ma anche di espressione in generale, in quanto le violazioni non si limitano solo al campo del giornalismo, ma colpiscono anche l’arte, la cultura, l’attivismo, e la libera associazione.

Possiamo dire che in questo momento in Egitto sono in pericolo tutte le libertà, in una maniera che non ha precedenti e che non abbiamo mai visto prima, neanche negli anni precedenti la Rivoluzione (del 2011 ndr).

La nostra reazione a questa repressione dilagante è, però, quella di resistere e lottare per l’esistenza del nostro giornale, senza tirarci indietro nel trattare le storie che sappiamo potrebbero metterci nei guai. A volte abbiamo la tentazione di rinunciare, ma cerchiamo costantemente di resistere a questo facile richiamo, e lo facciamo concentrandoci sulla verità dei fatti, per quanto possiamo, piuttosto che sulle nostre opinioni personali. Crediamo che questa scelta ci conferisca più credibilità, in quanto il nostro codice di comportamento ci induce a seguire solo le nostre ragioni investigative: agiamo come ricercatori e qualche volta anche come accademici, rifuggendo i nostri preconcetti nel trattare certe storie. Per fare questo ci controlliamo a vicenda, perché viene più facile scrivere secondo le proprie convinzioni, piuttosto che seguendo esclusivamente le proprie curiosità intellettuali.

Avete avuto problemi o controlli da parte della polizia o dell’esercito nella vostra sede al Cairo?

Per ora no. Solo uno dei nostri reporter ha subito delle accuse e un arresto per via di un articolo che ha scritto a proposito delle istituzioni militari. Tuttavia, è stato rilasciato dopo poco tempo grazie ad una grande pressione mediatica.

Fortunatamente fino ad ora non abbiamo riscontrato grandi problemi.

Avete contatti o collaborazioni con altri giornali che operano in Egitto?

Abbiamo collaborato con media locali egiziani di orientamento simile al nostro, che condividono i nostri valori e che sono stati fondati e interamente promossi da giornalisti  con i quali siamo convinti di voler lavorare sempre più a stretto contatto. È importante stare gli uni al fianco degli altri, soprattutto per non isolarci nel nostro lavoro.

Recentemente, ad esempio, quando lo scrittore e autore di romanzi, Ahmed Naji, è stato condannato a due anni di carcere a causa di un’opera ritenuta offensiva per la morale pubblica, quello che abbiamo fatto noi organi di stampa, è stato riunirci tutti insieme e creare una campagna mediatica per informare sul caso, sulle questioni legali del processo, e sul peso della questione in termini di libertà di stampa e di espressione in Egitto.

Agire insieme come fronte compatto dei media e degli editori indipendenti è stata un’esperienza molto importante perché questa particolare vicenda non è un caso isolato, bensì automaticamente ci colpisce tutti: oggi è toccato ad Ahmed Naji, ma domani potrebbe succedere a noi.

Avete una percezione della risposta del pubblico al vostro lavoro?

Sappiamo che la maggior parte dei nostri lettori sono giovani, a giudicare dai dati che riceviamo dalle visualizzazioni su internet, e che forse la maggior parte delle persone che ci leggono sono almeno politicamente allineate con noi. Quindi, ritengo che la vera sfida ora sia quella di cercare di oltrepassare questo limite e raggiungere diversi tipi di persone, provenienti da sfere diverse di appartenenza politica. Alcune volte siamo riusciti in questo, perché stiamo molto attenti a diversificare i contenuti che pubblichiamo, per orientarli verso un pubblico più vasto e non restringerli al gruppo di lettori più simili a noi.

Ovviamente la nostra è una battaglia difficile perché tutti i grandi media principali competono con noi…non possiamo neanche dire che siamo noi a competere con loro, perché non siamo all’altezza di poterlo fare. C’è una così vasta quantità di contenuti on line e sui media in generale, che è difficile riuscire ad accaparrarsi l’attenzione delle persone.

Com’è stato trattato dal punto di vista narrativo e giornalistico il caso di Giulio Regeni?

Il caso di Giulio Regeni ha generato molta confusione. Le informazioni alle quali i giornalisti possono accedere in Egitto sono davvero poche per poter tracciare una linea narrativa che si avvicini ad avere senso. Penso che l’unico articolo veramente esauriente sia stato un pezzo scritto da due giornalisti egiziani, pubblicato dal giornale privato Al-Masry Al-Youm e tradotto in inglese su Jadaliyya (http://syria.jadaliyya.com/pages/index/24019/giulio-regeni_scattered-facts) perché ha provato a raccontare in maniera esaustiva il soggiorno di Giulio al Cairo fino alla sua tragica morte. Sebbene si tratti del tipo di articolo in cui, piuttosto che fornire risposte, si pongono domande, ritengo sia stato il pezzo più veritiero: al momento non possediamo niente di più che il dovere di porre una serie di domande pertinenti.

A volte la narrativa imperante, specialmente quella architettata dallo Stato, cerca di mascherare queste domande riempiendo la notizia di informazioni irrilevanti. Abbiamo assistito a diversi tentativi di questo tipo.

Tuttavia, penso che in termini di ricezione, tutti gli egiziani oggi si stiano chiedendo che cosa sia potuto succedere a Giulio. Non c’è nessuna fiducia nelle narrative ufficiali: tutte appaiono opinabili e dubbie, nonostante i continui tentativi dei media allineati con il regime di suggerire che Regeni sia stato ucciso a seguito di una qualche azione criminale, in una vicenda del tutto estranea alla Polizia o allo Stato.

 

Traduzione dell’intervista a cura di Silia Galli