Dagli antichissimi zoroastriani ai più recenti fedeli bahá’í. A completare il mosaico sono tasselli armeni, ebrei, evangelici, sunniti e sufi. Questi i pezzi del puzzle “eretico” iraniano. Così almeno lo si può chiamare, leggendo l’etichetta che ci ha appiccicato sopra la Repubblica islamica.
Anche se da secoli abitano la terra che dalla rivoluzione del ’79 è in mano al clero sciita, questi “fedeli stonati” sono vittime di una discriminazione istituzionalizzata che gioca di sponda con un fertile contesto legislativo. Ci sono “eretici” di serie A e di serie B. La Costituzione garantisce un certo riguardo ai fedeli delle religioni del Libro (Ebraismo, Cristianesimo, Islam), ma coloro che abbandonano l’Islam per seguire altri credo sono considerati apostati da punire severamente. Il codice civile vieta ai non musulmani di ricevere l’eredità dei fedeli di Maometto. Quello penale infligge loro punizioni molto più severe, soprattutto quando questi commettono reati sessuali.
“Eretici, ma non vittime” dice James Marcahnt, un ricercatore di Small Media che ha messo nero su bianco le attività virtuali di queste minoranze religiose. Combattendo a colpi di proxy contro gli hacker di stato, gli “eretici” iraniani rispondono alle discriminazioni che subiscono quotidianamente.
Baha’i
A passarsela peggio sono i bahá’í, fedeli di una delle più giovani religioni al mondo che affonda le sue radici nella città iraniana di Shiraz. I sopravvissuti al rastrellamento del ’79 sono banditi dalle università e non possono compiere attività di proselitismo. È anche per questo che hanno creato un network (bahai-projects.org bloccato in Iran) per fare conoscere la loro religione. All’impegno virtuale si somma quello satellitare di Noveen Tv (bloccato in Iran), un canale fondato nel 2009 dopo l’ennesima ondata di vandalismo che ha colpito una decina di cimiteri bahá’í. Più antica invece l’attività dell’Istituto bahá’í che dall’ ’87 provvede all’istruzione superiore negata dallo stato. Lezioni via Skype e piattaforme Moodle sono i principali strumenti di questa università E-learning.
Zoroastriani
Molto meno innovativi e interattivi i progetti online degli zoroastriani. Questa agorà virtuale è una proiezione dell’attività svolta dalle loro istituzioni nelle piazze reali. I seguaci di Zaraustra, nati nel nord est dell’attuale Iran 3500 anni fa, sono infatti riconosciuti dallo stato. Tra i siti più attivi – in questo caso accessibili dall’Iran – si trova quello dell’organizzazione delle donne zoroastriane di Teheran (zananzartoshti.ir), una piattaforma che come quella dell’associazione dei preti della capitale (anjomanemobedan.com) cerca di facilitare lo sviluppo della comunità. Nonostante il silenzio dei suoi leader, questa è spesso ostile all’establishment sciita.
Evangelici
Anche se l’Iran ha ospitato piccole comunità cristiane ancora prima dell’avvento dell’Islam, i semi dell’evangelismo protestante sono stati piantati dalla missione del 1870. Pur essendo considerati anomali fedeli di una religione del Libro, gli evangelici non hanno vita facile. Basta pensare a quanto successo a Mehsi Dibaj, condannato a morte nell’ ’83 per l’attività di evangelizzazione svolta dopo la sua conversione dall’Islam. Salvatosi grazie a una campagna internazionale, Dibaj ha sfruttato il sostegno proveniente dagli Stati Uniti per continuare la sua attività, chiaramente visibile a quanti visitano il sito del Network di notizie sul mondo cristiano in farsi (bloccato in Iran). Basta cliccare sul pulsante Amen per scaricare l’intera Bibbia e “diventare familiari con le verità divine, quindi nuovi cristiani.” Chi preferisce una catechesi più passiva può accendere Sama Tv. Le donne ci vanno per non perdersi l’ultima puntata del Credente silenzioso, una soap che narra le vicissitudini di un marito che tenta di vendicare la moglie, una cristiana violentata. I più giovani preferiscono guardare Pearl of Persia, una trasmissione che promuove una terapia di conversione per gli omosessuali.
Ebrei
Anche se durante la Rivoluzione, la Repubblica islamica ha garantito protezione agli ebrei, la retorica anti-sionista è spesso sfociata in anti-semitismo. A poco sono servite le parole con le quali ne ’79 l’Ayatollah Khomeini ha ribadito la separazione di questi due concetti. Dal ‘48 al ‘53 almeno un terzo di ebrei iraniani è partito verso Israele. Grazie anche al sostegno statunitense, i successori di quanti sono rimasti si sono attivati con siti e pagine Facebook in farsi, ebraico e inglese per denunciare le discriminazioni subite dentro e fuori i confini di casa. Chi visita 7Dorim, un sito che ha un ufficio a Teheran e l’altro a Los Angeles, trova estese gallerie multimediali sui quartieri ebraici e le sinagoghe in Iran.
Sunniti e Sufi
Nel quadro degli “eretici” rientrano anche sunniti e sufi, due comunità musulmane che in questa terra si sentivano di casa almeno fino all’arrivo, nel XVI secolo, dei Safavidi, la dinastia musulmana che dichiarò lo sciismo duodecimano religione ufficiale. Tra quanti non rientrano nell’89% della popolazione musulmana sciita, vi sono sia gruppi minoritari militanti che portano avanti una campagna di resistenza violenta contro la Repubblica islamica, sia cyber attivisti che vengono arrestati per aver criticato le autorità sciite. Lo spiega Farhad Noori, giornalista di Majzooban, (bloccato in Iran), un sito di informazione che racconta le violenze subite dalla comunità sufi iraniana. “Siamo vittime di una tremenda repressione che non viene trattata dai media main stream.” Per i giovani sunniti è Facebook il vero forum di discussione. Si parla di tutto, anche dei sovrani sauditi che alcuni descrivono portavoce del vero Islam. Ismail non è d’accordo. Per questo sufi, gli Al-Saud sono la rovina dei fedeli di Maometto.