Tra Ramallah e Gaza: i giovani palestinesi sono sui social network

17/10/2013
moi_palestine

I social media occupano da tempo una posizione significativa nella realtà dello scenario mediatico palestinese e il loro utilizzo ha profonde ripercussioni sul conflitto israeliano-palestinese oltre che un fortissimo impatto sul livello delle divisioni interne che contrappongono la Striscia di Gaza controllata da Hamas alla Cisgiordania guidata da Fatah.

L’interesse per i social media dimostrato dalla popolazione palestinese è recentemente aumentato e al contempo si è registrato un incremento nel numero di utenti Twitter e Facebook, frutto nello specifico delle rivolte all’insegna della Primavera Araba. Dallo scoppio di quelle proteste in poi, la gioventù palestinese si è come risvegliata ed è diventata più consapevole dell’importanza dei social media come utile strumento non soggetto al controllo del governo locale palestinese.

L’aumento nel numero di utenti di social media in Palestina e i significativi risultati da essi ottenuti sul campo tramite le loro attività – specialmente per quanto ha riguardato in più di un’occasione l’organizzazione e gestione di proteste e manifestazioni –   hanno obbligato i funzionari del governo palestinese ma anche le contrapposte fazioni di Cisgiordania e Striscia di Gaza a usare anche loro i social media come mezzo per parlare alle masse palestinesi nella speranza di influenzare il corso degli eventi sul piano della sicurezza e dello scenario politico.

Taher Al-Nounou, portavoce del governo targato Hamas nella Striscia di Gaza, è un utente di social media. Li usa per parlare al popolo palestinese e chiarire la posizione del movimento di Hamas su svariate questioni di carattere locale, regionale e internazionale.

Al-Nounou sfrutta le funzionalità dei social media nello stesso identico modo di tutti gli altri: posta il proprio punto di vista riguardo alle più diverse tematiche e pubblica foto e immagini di vari eventi, lasciando commenti al riguardo che puntano a incentivare la comunicazione con i suoi follower.

“Mi sono convinto della ricaduta che i social media hanno sugli individui subito dopo aver visto come le proteste della Primavera Araba siano riuscite a rovesciare i regimi in alcuni paesi dove nessun movimento politico era stato capace di raggiungere tale obiettivo”, spiega Al-Nounou.

E aggiunge: “Ho sempre pensato che i social media fossero un mezzo di intrattenimento più che uno strumento in grado di incentivare, influenzare e comunicare, ma poi mi sono dovuto rendere conto del loro utilissimo impatto. Così ho iniziato a sfruttarli per veicolare messaggi alla comunità palestinese, postando sulla mia bacheca tutti i punti di vista miei e del nostro governo, così come mie personali analisi e commenti a proposito di diversi materiali di informazione, e a usarli anche per confutare la visione dei nostri oppositori politici.”

Al-Nounou non rinnega quindi l’importanza rivestita dai social media nell’epoca attuale, in quanto a suo avviso “i social media garantiscono all’individuo ‘Al-Nounou’ un feedback continuo sugli orientamenti e le posizioni che i giovani hanno rispetto alle più svariate tematiche politiche e sociali, a prescindere che i giovani in questione siano a favore o contro l’attività di governo di Hamas. Inoltre, tali strumenti agevolano il lavoro di raccolta e monitoraggio delle reazioni e posizioni popolari senza necessità di ricorrere ad analisi retroattive e senza restare ad aspettare i risultati di studi, ricerche e sondaggi, come si era soliti fare con i media tradizionali.”

L’ex Primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese,Anp, Salam Fayyad, era uno tra gli utenti Facebook più attivi: pubblicava abitualmente notizie sulle proprie attività di governo oltre a punti di vista e prese di posizione rispetto agli eventi politici, finanziari e sociali in corso. Approfittava di Facebook per condividere e scambiarsi informazioni con i giovani palestinesi.

Le statistiche pubblicate dall’ufficio centrale di statistica palestinese (Ucsp) indicano come circa il 55% dei giovani palestinesi tra Cisgiordania e Striscia di Gaza – vale a dire oltre la metà della gioventù palestinese – possieda computer connessi a internet. In un rapporto sullo stato dei social media nel mondo arabo pubblicato dalla Dubai School of Government a luglio del 2012 si legge come il 21,2% dei palestinesi sia titolare di un account Facebook, mentre secondo quanto sostenuto dai media locali tale percentuale salirebbe addirittura del 40%.

Il governo di Hamas a Gaza mostra un forte interesse nei confronti dei mezzi social. Molti esponenti del governo, funzionari, rappresentanti del movimento di Hamas nonché le loro stesse istituzioni di riferimento   possiedono degli account Facebook e Twitter allo scopo di agevolare la comunicazione con gli utenti, ma anche di facilitare l’interscambio di punti di vista e posizioni rispetto a diverse questioni di carattere sociale, economico e politico.

Dall’altra parte, Fatah e il suo governo in Cisgiordania non condividono lo stesso interesse nei confronti dei social media mostrato da Hamas e dal governo di Gaza. Molti dei loro esponenti non hanno account né su Facebook né su Twitter.

L’attivista dei social media Malak Hasan, in un articolo pubblicato sulla rivista This week in Palestine, ha focalizzato la propria attenzione sul raro uso dei social media fatto dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Olp, in particolare durante la campagna per ottenere l’ammissione alle Nazioni Unite due anni fa. “Ho aperto le pagine e i gruppi che erano stati creati per sostenere la candidatura della Palestina a 194esimo Stato delle Nazioni Unite e ho scoperto che il numero di sostenitori di tale causa non superava le ventimila persone”, precisa Hasan.

Alla luce di tutto ciò, si è chiesta se il motivo alla base di un così ridotto numero di sostenitori stesse nel fatto che la popolazione palestinese non era convinta del passo fatto dai propri leader rivolgendosi alle Nazioni Unite per chiedere l’ammissione dello Stato di Palestina o piuttosto nel fatto che essa non accettasse in toto l’Anp e la sua politica nella gestione di diverse questioni, con specifico riferimento a quelle collegate alla causa dei palestinesi.

Si è addirittura chiesta se per caso i palestinesi non fossero abbastanza consapevoli dell’importanza degli strumenti social media nel guadagnare pubblico supporto in ambito internazionale alla causa palestinese.

È ormai diventata prassi comune per i media palestinesi citare dichiarazioni per la stampa dei funzionari governativi e dei leader di Hamas pubblicate sulle loro pagine Facebook o postate su Twitter, un fenomeno che prima della Primavera Araba non era mai stato così ampiamente diffuso.

Dal canto suo, commentando le affermazioni di Hasan, lo stesso Al-Nounou ha precisato: “Non avrei mai immaginato che le dichiarazioni che pubblicavo sulla mia pagina Facebook sarebbero state rapidamente diffuse in lungo e in largo sul web. Ciò mi ha spinto a riservarmi ogni giorno un certo lasso di tempo per postare le mie posizioni e seguire i commenti lasciati dai miei follower con l’obiettivo di rilevare lo stato d’animo dell’opinione pubblica locale e i suoi orientamenti rispetto alle più svariate tematiche.”

Per Ola Anan, una blogger di Gaza, le ragioni che stanno dietro all’utilizzo dei social media da parte dei leader palestinesi sono rappresentate dall’ampia e profonda influenza che tali mezzi esercitano sulla gioventù e al contempo anche dal fatto che tali strumenti consentono loro di comunicare agevolmente e tempestivamente con i propri sostenitori sia nei territori palestinesi che negli stati arabi senza bisogno di ricorrere ai media tradizionali che il più delle volte stanno dalla parte dei regimi.

“Il dilemma- spiega- non sta tanto nella presenza dei leader e funzionari palestinesi sui siti di social media, quanto piuttosto nel fatto che solo di rado rispondano attraverso tali mezzi alle espressioni di punti di vista opposti e ai commenti che vengono lasciati ai loro post e tweet, fatta eccezione per alcuni casi in cui loro stessi, leader ed esponenti di Hamas, vogliono spiegare e chiarire meglio le proprie posizioni.”

Anan ribadisce come la presenza dei rappresentanti istituzionali sui siti social abbia in sé dei tratti positivi: contribuisce per esempio a diffondere velocemente le dichiarazioni che essi rilasciano ed evita le prevedibili interpretazioni erronee e distorsioni frequentemente prodotte dai giornalisti. Permette poi alla popolazione di far sentire la propria voce a questi leader e funzionari in maniera diretta attraverso la pubblicazione di commenti, senza complicazioni e senza bisogno che i mezzi mediatici tentino di veicolare implicitamente il messaggio che essa intende trasmettere.

La gioventù palestinese ha beneficiato dell’esperienza dei popoli di altri stati che hanno vissuto la Primavera Araba. Ha così appreso la lezione di come incitare la comunità a scendere in piazza e a manifestare e protestare contro un governo per rovesciarlo.

Parte della gioventù palestinese sfrutta Facebook per incitare la popolazione della Striscia di Gaza a ribellarsi al governo di Hamas e rovesciarlo, oltre che per chiamare a raccolta la gente affinché scenda in piazza a protestare contro le pratiche del governo. L’attività più recente è stata quella dell’incitamento diffuso a una ribellione in stile Tamarrod contro il governo di Hamas e lo stato di divisione che lo contrappone, ma si è anche invitato alla protesta contro il voto con cui il Knesset israeliano ha dato il via libera al “Piano Prawer”, un progetto israeliano volto a demolire le case appartenenti ai beduini in Negev e a sradicare dalle loro terre e abitazioni 40 mila beduini.

Dal canto loro, gli attivisti di Gaza hanno usato i social network per mobilitare le masse che hanno invaso le strade della città il 15 marzo 2011 per chiedere la fine dello stato di divisione tra Fatah e Hamas.

A tale proposito Mohamed Matar, attivista Facebook residente a Gaza tra i protagonisti delle proteste organizzate a marzo del 2011, commenta: “Facebook era il solo mezzo che avevamo per raggiungere il popolo palestinese e diffondere informazioni e video, chiedendo alla popolazione di scendere in piazza a manifestare contro la divisione e a chiedere sia al governo di Gaza che a quello della Cisgiordania di mettere fine alle proprie dispute e fare fronte comune. E aggiunge: “Siamo così riusciti a raggiungere il nostro obiettivo di portare in piazza le masse palestinesi sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza per obbligare Fatah e Hamas a porre fine allo stato di contrapposizione tra loro. Questa condizione ha costretto i leader di entrambi i movimenti a prendere l’iniziativa proponendo delle soluzioni per neutralizzare le faziosità e rassicurare l’opinione pubblica sulla reale possibilità di una fine dei contrasti”.

I governi palestinesi sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza utilizzano i social media per tenersi informati sulle attività dei gruppi giovanili e monitorarle, così da poter mettere tempestivamente al bando qualsiasi loro iniziativa che contravvenga all’orientamento politico del governo oltre che per capire come gestire eventuali marce e manifestazioni di protesta contro le istituzioni.

Nel frattempo, un discreto numero di attivisti di social media ha sporto reclamo al centro palestinese per i diritti umani per le misure adottate contro di loro dalle forze di sicurezza di Hamas che li hanno interrogati e indagati in merito ad alcuni post pubblicati attraverso i loro account Facebook. Nel corso del procedimento è stata mostrato loro la versione stampata degli status inseriti sul social network.

“Sono stato convocato parecchie volte dalle forze di sicurezza di Hamas – racconta Matar- e interrogato a proposito delle mie attività sui social media. Mi hanno anche chiesto la password di tutti i miei account Facebook, Twitter e Hotmail per poter leggere i miei messaggi privati.”

Un funzionario dell’agenzia per la sicurezza interna di Hamas che preferisce mantenere l’anonimato spiega come “i social network stile Facebook siano tra le principali fonti di informazione in materia di sicurezza per tale agenzia, perché forniscono aggiornamenti sulle attività già sul campo e i progetti futuri degli attivisti, e in questo modo danno alle forze di sicurezza la possibilità di pianificare adeguate strategie di gestione dei movimenti attivisti e delle loro iniziative”. E aggiunge: “Abbiamo diversi modi per mantenere stabile il livello di sicurezza nella Striscia di Gaza malgrado alcuni tentino di violarlo”, rivelando come i funzionari dell’agenzia “possano agevolmente penetrare negli account social network degli attivisti nell’eventualità che essi abbiano guidato o preso parte ad attività che rischiano di compromettere la tranquillità di Gaza.”

La giornalista e attivista residente a Gaza Samia al-Zubaidi racconta di aver ricevuto parecchie minacce di carattere fisico per aver pubblicato critiche alle pratiche di governo di Hamas a Gaza. Gli avvertimenti provenivano da account Facebook fasulli. Zubaidi ricorda di aver avuto conferma del fatto che le agenzie di sicurezza monitorassero gli account degli attivisti sui social network quando ha preso parte al sit-in di Gaza a favore dei beduini del deserto del Negev. Un agente di sicurezza incaricato di disperdere i manifestanti le aveva infatti chiesto in quell’occasione: “Cara Samia, il responsabile della tua pagina Facebook non ti ha detto che la manifestazione era stata annullata?”

La sorveglianza in materia di sicurezza non si limita solo al monitoraggio delle pagine Facebook dei giovani attivisti, ma arriva anche al controllo di ciò che i giornalisti pubblicano contro le istituzioni. Parecchi reporter hanno ricevuto anonime minacce telefoniche di morte.

Il giornalista Emad Drimly, direttore della redazione di Gaza dell’agenzia di informazione cinese Xinhua, racconta a tal proposito di aver ricevuto una minaccia di morte via telefono dopo aver pubblicato sul suo account Facebook un post che era stato interpretato come una presa di posizione a favore della deposizione da parte dell’esercito egiziano dell’allora presidente Mohammed Mursi.

Le organizzazioni per la tutela dei diritti umani hanno monitorato gli arresti di diversi blogger e giornalisti da parte delle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese in conseguenza di post pubblicati su Facebook o della creazione di pagine anti-corruzione, attività per le quali erano stati accusati di aizzare l’opinione pubblica contro le istituzioni palestinesi.

Gli atti delle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese ai danni di giornalisti e blogger in Cisgiordania hanno provocato l’indignazione dei rappresentanti della società civile palestinese spingendoli a manifestare la propria diffusa critica a iniziative del genere intraprese contro le attività mediatiche.

Secondo Fathi Sabbah, presidente dell’Istituto palestinese per la comunicazione e lo sviluppo, le agenzie di sicurezza della Striscia di Gaza e della Cisgiordania soffrono della mania di raccogliere informazioni sulle attività dei gruppi giovanili, specialmente dopo che gruppi del genere in altri stati arabi sono riusciti a rovesciare i leader di regime in occasione della Primavera Araba. “I social media – spiega Sabbah- ultimamente sono diventati motivo di preoccupazione per la sicurezza sia per il governo di Hamas a Gaza che per quello di Fatah in Cisgiordania. Stando così le cose, entrambi i governi hanno iniziato a sfruttare quegli stessi mezzi per avere accesso alle informazioni di cui avevano bisogno rispetto ad attività che secondo loro rischiavano di destabilizzare il livello di sicurezza a Gaza o in Cisgiordania. Allo stesso modo, essi usano i social media come prove per accusare e indagare blogger e attivisti sospettati di attività politiche antigovernative”.

“I social media”, continua, “rappresentano una fonte di aggiornamenti fondamentale per gli apparati di sicurezza di Hamas e Fatah, in quanto garantiscono loro libero accesso a informazioni sensibili e importanti, ben più facili da reperire tramite i social media che utilizzando i canali tradizionali. Senza contare l’uso libero e generalizzato che gli attivisti fanno dei social network dove possono agevolmente, liberamente e apertamente esprimere le proprie opinioni e posizioni sulle più svariate tematiche, mentre al contrario se le dichiarassero direttamente e a voce alla stampa finirebbero per venire arbitrariamente affiliati a Fatah o al movimento Hamas.”

Allo stesso tempo, i palestinesi sfruttano i social media – in particolare Facebook Twitter e YouTube – per combattere l’occupazione israeliana delle terre palestinesi diffondendo sempre più fatti, informazioni e notizie, sia in arabo che in inglese, sulle sofferenze e le lotte che dilaniano la Palestina e affliggono la sua gente.

A novembre del 2012, durante l’operazione militare “Colonna di difesa” condotta dagli israeliani contro la Striscia di Gaza, i palestinesi hanno usato Facebook come campo di battaglia a tutto raggio parallelo a quello reale in cui i militanti si contrapponevano al massiccio contingente militare di Israele.

“La guerra elettronica tra Israele e la gioventù palestinese –   ricorda a tale proposito l’autore palestinese Adnan Abu Amer – è scoppiata la prima volta in occasione dell’operazione militare israeliana “Colonna di difesa” che ha costretto i giovani di entrambe le fazioni a dare vita a unità speciali per portare avanti la propria lotta virtuale non solo contro l’esercito ma anche contro il governo israeliano”.

“La guerra elettronica contro Israele – continua Abu Amer- non è stata meno importante di quella combattuta sul campo dai militanti palestinesi contro i soldati israeliani, dal momento che ha avuto profonde ricadute sulla solidarietà mostrata dalla comunità internazionale alla causa del popolo palestinese, quotidianamente soggetto agli incessanti attacchi di Israele.”

Gli attivisti dei social media hanno tratto vantaggio da siti come Facebook e Twitter in numerose e svariate occasioni, una per tutte il 31 maggio 2010, quando la Freedom Flotilla turca ha tentato di raggiungere le coste della Striscia di Gaza. In quell’occasione gli attivisti hanno diffuso in lungo e in largo notizie sull’operazione militare israeliana contro le sei navi della “Flotta per la Libertà di Gaza” nelle acque internazionali del Mediterraneo.

Da allora i social media si sono sviluppati e ampiamente diffusi, divenendo parte integrante della vita quotidiana di tutti i palestinesi che oggi li usano sia per esprimersi che per criticare l’operato e le attività dei governi della Cisgiordania e di Gaza, oltre che per combattere le attività perpetrate degli occupanti   israeliani ai danni del popolo palestinese.

 

Traduzione di Chiara Rizzo