Stand up comedy e sketch: risate palestinesi per svincolarsi dalla censura

21/10/2013
Watan ala Watar

A determinare la natura del giornalismo palestinese è, come accade per tanti aspetti della vita quotidiana nei Territori occupati palestinesi, l’occupazione militare israeliana. Il 90% delle notizie che appaiono sui mezzi di comunicazione palestinesi raccontano gli effetti del conflitto e la lotta quotidiana per l’indipendenza.

Spesso a rimanere in un angolo sono le questioni di politica interna, economia, società. E se, come spiega il giornalista Mohammed Daraghmeh, ciò è dovuto al “costante flusso di notizie di demolizioni, uccisioni di civili e violazioni dei diritti umani nei Territori, dall’altra parte la copertura di questioni interne è spesso sottoposta a dura censura. Non è un segreto che esistono diversi tipi di censura nei media palestinesi. Si tratta non solo di una censura politica e sociale, ma anche professionale e personale.” [1]

La gran parte dei media tradizionali – agenzie di stampa, quotidiani, televisioni – sono alle dipendenze di una delle due principali fazioni politiche palestinesi, Hamas e Fatah [2]. I restanti riescono a sopravvivere grazie al fondamentale sostegno finanziario di donatori internazionali, spesso governi occidentali. L’agenda è presto dettata: l’auto-censura interna impedisce di trattare temi considerati caldi o in grado di indebolire le leadership politiche.

Questo contesto ha stimolato la nascita di mezzi di informazione alternativi, spesso frutto del lavoro di giovani palestinesi che si appoggiano alla rete per diffondere informazioni e analisi introvabili sui media tradizionali. A determinare il successo di questi new media è stata la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese, Anp, a seguito del processo di pace nel ‘93 con la stretta di mano tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat alla Casa Bianca.

Negli anni ’70 e ’80 l’informazione era garantita dai bollettini di partito e dai giornali indipendenti, spesso stampati a Beirut e Damasco e poi distribuiti in Palestina in segreto. Ogni copia passava di mano in mano e veniva letta da decine di persone. Un movimento popolare radicato e pervasivo: la stragrande maggioranza del popolo palestinese era attiva nelle diverse forme di partecipazione popolare. Non esistevano organizzazioni non governative o finanziatori esterni e ognuno lavorava da volontario, pagando di tasca propria, anche per la stampa di quotidiani o la programmazione radio.

Dopo gli accordi di Oslo e la creazione dell’Anp, dal 1993 il ruolo dei media si è profondamente indebolito. La portata della scarsa fiducia che l’opinione pubblica palestinese riconosce ai media tradizionali è ben espressa dalla preferenza accordata alle televisioni e alle agenzie stampa arabe: il quotidiano libanese Al-Ahkbar, il giornale egiziano Al-Ahram, l’emittente qatarense Al-Jazeera e quella saudita Al-Arabiya fagocitano il pubblico palestinese. Questo ha solo un’alternativa: i canali satirici e le emittenti YouTube, frutto del lavoro di attori, giornalisti e attivisti giovanissimi.

 

Far ridere per porre delle domande, far scoppiare una risata per muovere dei dubbi e fornire i mezzi di analisi della realtà.

In Cisgiordania, a farlo sono stand up comedy, sketch e telegiornali satirici disponibili su YouTube e Facebook. A guadagnarsi la palma d’oro è Watan ala Watar (La patria appesa a un filo). Nato nel 2009 dalla mente dell’attore comico Imad Farajin, questo programma dalla storia travagliata è ben presto diventato lo show più popolare della rete: i video postati su Facebook raggiungono gli otto milioni di visualizzazioni. Il click arrivano non solo dai Territori occupati palestinesi, ma da tutto il mondo arabo.

Dopo il successo del primo spettacolo – nel quale Imad tagliava a pezzetti un cocomero, simbolo della Palestina storica “mangiata” dall’occupazione israeliana e dalle fazioni palestinesi – l’emittente di stato Palestinian TV si è accaparrata lo show. Che ha avuto vita breve: nel 2011 l’Anp ne ha ordinato la sospensione dietro le forti pressioni di Fatah, perché giudicato troppo critico verso la leadership.

Farajin ha proseguito senza produzione: i video degli show di Watan ala Watar sono stati pubblicati su YouTube, garantendosi un successo senza precedenti. Corti di 15 minuti nei quali Imad e la sua compagna di palcoscenico Manal raccontano la vita quotidiana del popolo palestinese: il taglio dei salari, la dipendenza dai prestiti delle banche, la crisi del carburante, un’educazione scolastica di basso livello, gli effetti della religione e della tradizione nei rapporti interpersonali, l’inflazione e l’aumento delle tasse. Fino alla presa in giro dei personaggi più in vista della politica palestinese, dai leader di Hamas e Fatah ai uomini impegnati nello sfruttamento economico del paese. Lo scorso anno un’emittente privata palestinese si è fatta avanti e ha acquistato il programma. Oggi Watan ala Watar è tornato in televisione e i tentativi di censura del passato sembrano essersi attenuati [3].

Simile la storia di Fenjan al Balad (La tazza della patria), televisione online disponibile su YouTube e Facebook, con all’attivo centinaia di migliaia di visualizzazioni. L’obiettivo dichiarato dell’emittente è “influenzare la gioventù palestinese”, a volte priva delle solide basi politiche delle vecchie generazioni. La soluzione è la satira: una risata, amara, per conoscere meglio la propria società e criticarla con coscienza.

Il video è un estratto di uno spettacolo di Watan ala Watar: Imad e Manal sono alle prese con due dei principali problemi che oggi la società palestinese è costretta ad affrontare: il taglio dei salari da parte dell’Anp e la dipendenza dai prestiti della banche. In pochi anni, molte famiglie palestinesi hanno dovuto ricorrere agli istituti bancari per coprire le spese, un altro elemento che ha incrementato a dismisura il livello di dipendenza dall’economia israeliana e dal suo mercato del lavoro.

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[1] Mohammed Daraghmeh, “Effects of the Conflict on the Palestinian Media”, Palestine-Israel Journal, vol. 10 n. 2/2012

[2] Tra i principali outlet: Al Ayyam e Al Hayat vicini a Fatah, Al Aqsa Tv e Al Aqsa Radio vicini ad Hamas, Ma’an News legata all’Autorità Palestinese.

[3] Intervista personale a Imad Farajin, 27 settembre 2013