Siria: prove di giornalismo

05/09/2013
Shamjournal

La redazione è al terzo piano di un anonimo palazzo alla periferia asiatica di Istanbul. Ma che i tre giovani redattori di uno dei primi quotidiani cartacei della Siria in rivolta lavorino nella metropoli turca non significa che siano prezzolati agenti di Ankara in funzione anti-Damasco. Lavorano all’estero – in esilio forzato – semplicemente perché nel loro Paese non possono (ancora) esercitare liberamente l’agognata professione giornalistica. “Per tre mesi abbiamo trovato un editore siriano, anch’egli in esilio, che ha sostenuto le spese per la pubblicazione e diffusione del cartaceo. Ma i tre mesi sono finiti e ora ci limitiamo ai testi elettronici”.

Badr è di Hama, città della Siria centrale. Ha 28 anni ed è cofondatore della versione stampata di Sham. Il gruppo Sham (in arabo “Siria” ma anche “Damasco”) è uno dei più attivi nell’emergente panorama editoriale siriano in esilio e guidato da una cordata di imprenditori dissidenti che fa capo all’imprenditore Bilal Abu Abdo, da anni residente all’estero. “Non facciamo parte integrante del gruppo Sham – precisa Badr parlando con Arab Media Report – ma abbiamo ottenuto da loro la licenza di usare il loro logo, parte della loro struttura, la loro rete di corrispondenti e creare ex novo il primo giornale cartaceo. Che ora viene distribuito solo online e in formato Pdf”.

L’esperienza, seppur ancora embrionale del quotidiano Sham, è esemplare delle potenzialità, ma anche delle difficoltà insite nel fenomeno, del tutto inedito, della nascita e dello sviluppo del giornalismo professionista in Siria. Come già si è ricordato in precedenza, dopo mezzo secolo di potere baatista per lo più identificato con quello della famiglia Asad e dei suoi alleati, nel Paese è stata di fatto sradicata la cultura di una stampa che tenti di essere “libera e al servizio dei cittadini”. Questa premessa storica va affiancata all’analisi di un’attualità dominata da crescente radicalizzazione della violenza. Non c’è dunque da stupirsi se i tentativi da parte di numerosi siriani di dar vita a piattaforme mediatiche “libere” siano ancora – dopo appena due anni e mezzo dallo scoppio delle prime manifestazioni popolari anti-regime – imperfetti e mostrino evidenti limiti in termini di professionalità e trasparenza.

Ciò nonostante, dalla primavera 2011 a oggi sono nati – ma alcuni sono già morti – più di 80 periodici online, una trentina di radio locali che trasmettono in streaming, altrettante piattaforme che si definiscono “agenzie di stampa”, decine di documentari del cosiddetto cinema alternativo siriano, alcuni portali di traduzione dall’arabo in lingue occidentali di documenti scritti e video relativi all’attivismo anti-regime, oltre a diversi tentativi – alcuni estemporanei, altri più duraturi – di citizen journalism, il giornalismo amatoriale.

Questa conta è stata possibile grazie all’instancabile lavoro di un gruppo di attivisti del movimento non violento, che nei mesi scorsi ha elaborato una mappa interattiva della società civile siriana. Il lavoro di questi siriani – per lo più dimenticati dai grandi media e presi in mezzo alla feroce contesa tra Asad e gruppi di criminali jihadisti – è stato presentato graficamente in modo che l’utente possa navigare attraverso le diverse categorie concettuali dell’attivismo pacifico. Il ramo media non è il più folto, ma contiene comunque circa duecento titoli di iniziative legate al giornalismo della Siria post-2011.

Nella hall di un albergo nel sud della Turchia, Badr e un attivista della regione di Raqqa mettono in dubbio la credibilità di alcune notizie diffuse al sito di notizie Sham. “Non esiste la credibilità assoluta – risponde Badr – ma Sham conta sulla presenza sul territorio siriano di circa 260 corrispondenti e arriva a coprire l’80 percento del territorio nazionale”. L’attivista di Homs, che preferisce esser citato in forma anonima, scuote la testa: “No, a volte hanno scritto delle cose che non erano accadute. Oppure hanno riferito di voci come fossero notizie confermate”. L’attivista di Homs ammette che “ancora, fuori e dentro la Siria, non ci sono media alternativi al regime che siano totalmente credibili”. Per Salim, curdo della regione di Qamishli e redattore di Aranews – sito d’informazione in arabo, inglese e curdo – “i giornalisti siriani devono certamente imparare e crescere molto sul piano della professionalità ma questo può avvenire solo con l’esercizio”. Aranews è un progetto di alcuni giovani curdi: “Siamo una ventina e crediamo in una Siria plurale, in cui le diversità non siano negate ma siano rispettate in un quadro nazionale unitario e di pari opportunità”. Salim mostra con orgoglio il suo ultimo reportage dalla regione confinante con la Turchia, nel nord-est siriano. “Ho lavorato per giorni per documentare le difficoltà dei commercianti locali di importare e distribuire il latte in polvere per i bambini”.

La maggior parte dei media venuti alla luce negli ultimi due anni dentro ma, soprattutto, fuori dalla Siria trovano diffusione sui social network. Solo alcune testate hanno un sito autonomo, mentre la maggior parte si presentano solo come pagine di Facebook. Nella sezione “Media visivi” della citata mappa concettuale della società civile è invece Youtube a ospitare i vari canali. La maggior parte sono nati tra la fine del 2011 e la primavera del 2012. Più rare le esperienze di giornalismo audiovisivo avviate nel 2013, l’anno che sarà ricordato per l’inasprimento della guerra. Nel corso del tempo moltissimi attivisti sono stati uccisi o arrestati. Altri sono stati spinti all’esilio. Non tutti hanno potuto continuare il lavoro da volontari e hanno abbandonato la pioneristica missione per assicurarsi la certezza di mangiare a fine giornata.

“Per quanto mi riguarda farò del tutto per continuare a lavorare come giornalista. La Siria, la mia Siria, ne ha bisogno”, afferma Badr del giornale Sham. Annuisce Salim che ha appena finito di caricare su Aranews un filmato di un evento svoltosi a Qamishli. “ È stato un festival di musica e arte organizzato dalla comunità curda in onore degli sfollati di varie regioni siriane. È bene che in Siria si conoscano queste iniziative. Non è solo tutto guerra e caos. E noi giornalisti abbiamo una grande responsabilità in tal senso”.