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Senza un pensiero mediterraneo i media mediterranei sono un sogno lontano

10/01/2013
Medi

L’eterogeneità socioculturale, economica e politica che contraddistingue il bacino del Mediterraneo (Med) non sembra essere stata colta dai media. La visibilità dello spazio del Med è offuscata dalle tradizionali considerazioni che ancora non lo concepiscono come uno spazio comune. Una cultura mediterranea comune è ancora oggi invisibile all’orizzonte mentale, malgrado la sua visibilità dal punto di vista territoriale sia evidente. Né i media della costa settentrionale né quelli della costa meridionale del bacino le hanno attribuito lo spazio che le sarebbe stato dovuto.

Le preoccupazioni condivise dai Paesi e dalle società del Med non sembrano aver catturato l’attenzione mediatica, malgrado il bacino possa essere tranquillamente definito “il centro del mondo”, come lo scrittore britannico David Herbert Lawrence lo ha chiamato in una delle sue poesie. I media ancora non pensano mediterraneo. Il Mediterraneo non è ancora ritenuto un’entità geografica e politica omogenea tale da essere presa in considerazione come oggetto di copertura o programmi speciali. La mancanza di media mediterranei (MedMedia) equivale a una mancanza di pensiero mediterraneo (MedThinking), e viceversa. Il Med ha bisogno di nuova riflessione, nuove politiche, nuove economie e nuovi media che raccontino tali cambiamenti.

Il bacino ha caratteristiche uniche dal punto di vista fisico-geografico, che nel corso della storia hanno contribuito a raccogliergli intorno alcune delle culture, religioni, etnie, economie e politiche più significative nella storia del mondo. Lo storico francese Fernand Braudel ha effettuato circa quarant’anni di ricerche sulla storia del Mediterraneo, nei suoi diversi aspetti, e il suo lavoro è culminato in una trilogia di volumi che oggi rappresenta un classico nel settore degli Studi sul Mediterraneo [1]. Braudel ritiene le civiltà greca, romana e islamica le più rilevanti all’interno del bacino.

L’opera di Braudel è descrittiva come ci si deve aspettare da uno storico, e nel rappresentare la sfera del Mediterraneo si concentra sullo spazio geografico e in particolar modo sul mare. Al di là di una così statica prospettiva geografica, malgrado l’influenza socioeconomica e culturale che essa alimenta, questo punto di vista dev’essere sviluppato ulteriormente, tenendo conto dei repentini cambiamenti subentrati nella tecnologia e nella politica internazionale soprattutto a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta.

Influenzato dalla ricerca storiografica della scuola degli Annales capeggiata da Braudel, Mohamed Arkoun era interessato a sviluppare una cornice di pensiero che rendesse ragione ai tratti comuni condivisi dalle realtà del Med, al di là degli antagonismi e delle rivalità che nella storia hanno sempre caratterizzato la sponda settentrionale – cristiana e successivamente dell’Europa moderna – e quella meridionale – corrispondente perlopiù al mondo musulmano – del bacino [2]. Anche Miriam Cooke prova a ripensare il Med tramite il concetto di “pensiero mediterraneo”. Secondo il suo punto di vista, tale pensiero potrebbe partire da un approccio “acquacentrico” per formulare un’epistemologia in grado di risolvere l’immaginario Med, iniziando con il considerare il bacino come spazio acqueo-geografico per poi arrivare a una cornice astratta di produzione di conoscenza (una sorta di episteme mediterraneo).

Il pensiero mediterraneo può quindi gradualmente scoprire il concetto di “medizen” (medcittadino), definizione che la Cooke attribuisce al Cittadino Mediterraneo per indicare una figura aperta a tre continenti – Africa, Asia ed Europa – al di là del vasto spazio atlantico che gli Stati Uniti hanno contratto con il loro imperialismo (contrazione dello spazio alla quale peraltro hanno contribuito anche le tecnologie della comunicazione) [3]. Il medizen è dal punto di vista sia storico che culturale un cittadino ricco, navigante di un vasto spazio in costante movimento, come sono appunto le acque del bacino del Mediterraneo, circondate da geografie statiche ma comunque capaci di conservare il proprio incessante fluire.

A parte però la seria ricerca accademica, i dati reali sul campo sono ben lungi dall’indicare l’esistenza di un qualche “pensiero mediterraneo”. Prima e dopo il Processo di Barcellona del 1995, rilanciato nel 2008 come Unione per il Mediterraneo, sono stati siglati numerosi accordi bilaterali, regionali e transnazionali in materia di sicurezza, economia e questioni politiche. Tali accordi di cooperazione sono rimasti legati a una concezione unilaterale-bilaterale in cui le acque del bacino sono viste come mezzo di passaggio di beni, servizi, persone e mezzi militari. Le acque del Med non vengono lette né prese in considerazione al di là della funzione fisica che svolgono per gli Stati. E se certo non si presume che gli Stati debbano essere neutrali, ma anzi che debbano difendere le aspirazioni della propria società, anche i media, il presunto neutrale quarto potere, non sembrano essere riusciti a superare la percezione classica del Med in cui società e Paesi vengono presi in considerazione indipendentemente l’uno dall’altro. Rifacendomi a esempi propri del mondo accademico – che non sempre si dimostra innocente o neutrale – e della politica – che è per sua stessa natura soggettiva – e cercando di stabilire dove i media in generale si collochino per visione del Med, posso tranquillamente affermare che ancora arrancano nell’attenzione riservata a questo spazio vitale, situato al “centro del mondo”, per riprendere la definizione dello scrittore britannico D. H. Lawrence.

I media del Med, al pari della politica, vedono nel bacino solo le sue acque. Nell’eventualità che prenda in considerazione le sue storie condivise e interrelate, lo fa generalmente male e attraverso uno spazio mediatico o un canale televisivo specifico affiliato a un’emittente perlopiù del Paese di trasmissione. Si potrebbe fornire un’ampia casistica. Prima di tutto, non c’è quasi mai stato un tentativo multilingua di produrre e rappresentare le più ampie dinamiche socioculturali, storiche, economiche e politiche del Med. Programmi e documentari dedicati ad argomenti relativi al bacino vengono prodotti prevalentemente in lingua locale per la fruizione in ambito nazionale. I canali che producono anche in altre lingue lo fanno solo per i notiziari quotidiani, perlopiù di ambito internazionale, che vengono trasmessi per poche ore, a volte anche minuti, come parte integrante dell’unico canale linguistico nazionale nei casi in cui l’emittente non abbia a disposizione materiale di altri canali internazionali in altre lingue. Non c’è stato nessun progetto che puntasse a condividere “costi e benefici” della produzione di materiale sul Med tra diverse emittenti in modo che il lavoro finale potesse essere trasmesso al medizen nelle diverse lingue in cui parla. Non c’è nessun canale televisivo, nessun progetto che copra quotidianamente le faccende del Med con le lingue del Med. Il pensiero Med è assente nei media del Med.

In una regione cruciale del pianeta in cui tutto avviene su base quotidiana, non esiste copertura da un punto di vista mediterraneo. In un mondo in rapida evoluzione in cui un’agenda politica o una riforma economica o anche solo una semplice trasmissione televisiva in un Paese sono in grado di avere ricadute sui Paesi vicini, e forse anche sull’intera regione, i media devono imparare a pensare a priori e a tenere il passo del lento, a volte invisibile, spirito di cambiamento che si respira. I MedMedia devono crescere con il crescere delle aspirazioni della gente del Med perché il bacino ha bisogno di nuova riflessione, nuove politiche, nuove economie e nuovi media che raccontino tali cambiamenti.

Traduzione di Chiara Rizzo

Note

[1] Fernand Braudel, The Mediterranean and the Mediterranean World in the Age of Philip II: Volumi da I a III, traduzione di Sian Reynolds, introduzione di Eugen Weber (The Folio Society, Londra 2000). Il primo volume è stato pubblicato nel 1949  con il titolo La Méditerranée et le monde Meditarrenean à L’Epoque de Phillippe II.

[2] Mohammed Arkoun, Rethinking Islam: Common Questions, Uncommon Answers, traduzione e curatela di Robert D. Lee (Boulder, Colorado: Westview Press, 1994), e “Thinking the Mediterranean Arena Today,” Diogenes 52 (2), (2005), pp 99-121.

[3] Miriam Cooke, “Mediterranean Thinking: From Netizen to Medizen,” Geographical Review, Vol. 89, No. 2, Oceans Connect (Apr., 1999), pp. 290-3

L’immagine di copertina è di Manuel M. Ramos (creative commons)