Se Al-Jazeera English eclissa Al-Jazeera

02/09/2013
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Sono passati ormai diciassette anni dalla nascita dell’emittente satellitare panaraba Al-Jazeera (AJ), un progetto rivelatosi in grado di rivoluzionare una regione abituata alla rigida censura governativa. Nel 2006, una volta conseguita l’affermazione del canale quale fonte giornalistica più autorevole del mondo arabo, l’emirato del Golfo ha deciso di imporre il suo marchio nel club degli imperi mediatici anglofoni attraverso il lancio di Al-Jazeera English (AJE), originariamente nota con il nome di Al-Jazeera International.

Fin dall’inizio, l’emittente è stata oggetto di accese polemiche sia nel mondo arabo, preoccupato che l’obiettivo fosse uno smorzamento occidentalizzato delle posizioni anti-imperialiste, sia in Occidente, data la demonizzazione islamofoba attuata per anni dalle aree politiche conservatrici nei confronti del canale. Simili pregiudizi e l’ostracismo della concorrenza hanno finora relegato la popolarità di AJE tanto in Asia che in Africa e mettono ora a dura prova il successo di Al-Jazeera America appena sbarcata negli States.

La chiave del successo delle due emittenti anglofone del network del Qatar sui mercati europei e americani sarà la mobilitazione dell’opinione pubblica in favore della libertà d’espressione e del pluralismo mediatico, senza aspettarsi che l’orientamento trascenda il contesto mediorientale d’origine e venga meno alla missione di megafono del ‘sud globale’ [1].

L’altro lato della medaglia è il parallelo declino della credibilità di AJ, divenuta strumento della politica estera della famiglia reale al-Thani, in netto contrasto con la professionalità di AJE: il rischio è che il canale anglofono diventi un biglietto da visita dell’emirato al di fuori della regione, riducendo AJ a innocuo strumento di propaganda.

Perché Al-Jazeera English non ha mai inteso emulare la BBC o la CNN

Alla nascita di AJE, molti giornalisti di AJ avevano espresso il loro timore che il modello di resistenza mediatica, reso celebre dallo smascheramento dei crimini di guerra commessi dalle truppe statunitensi in Afghanistan e in Iraq, venisse filtrato dal team di giornalisti ‘importati’ da canali come la Bbc. Stando alla testimonianza di William Stebbins, caporedattore di AJE a Washington dal 2005 al 2010, il Ministero degli Esteri statunitense aveva promesso maggiore accessibilità alle fonti governative in cambio di pressioni sullo staff arabo ostile alla Casa Bianca.

Doha aveva subito resistito a un simile snaturamento dell’identità del marchio Al-Jazeera, promuovendo l’artefice del successo del canale arabo, il palestinese Wadah Khanfar, alla direzione generale del network televisivo; Khanfar aveva quindi provveduto a mutare il nome dell’emittente anglofona da Al-Jazeera International ad Al-Jazeera English, in un chiaro ridimensionamento delle aspirazioni dei ‘nuovi arrivati’. A dispetto dell’indipendenza da Doha sbandierata dall’ex-direttore amministrativo di AJE, Nigel Parsons, Khanfar ha cercato di mantenere l’emittente anglofona fedele alla missione di Al-Jazeera di essere una voce degli emarginati del “sud globale”.

Diversi analisti hanno però bocciato la professionalità di AJE, dando per scontato fosse stata concepita per ‘redimere’ i presunti eccessi anti-americani della ‘sorella’ araba. In questo senso, erano state emblematiche le dimissioni del 2008 di David Marash, celebre presentatore americano assunto da AJE, il quale aveva dichiarato di non identificarsi nella visione “araba e post-colonialista” del canale. Marash aveva dimostrato di non tenere così in alcuna considerazione l’orientamento del pubblico di AJE. Come messo in luce dagli studiosi di media Mohammad al-Nawawy e Shawn Powers, chi preferisce AJE alla Cnn o alla Bbc si distingue infatti per una posizione critica nei confronti della politica estera americana.

La chiave di lettura dell’orientamento di AJE risiede nelle teorie formulate da Kai Hafez [2], che considera gli spettatori un ‘elettorato’ piuttosto che un pubblico universale privo di idee pregresse. Nel contesto contemporaneo saturo d’informazione, i telespettatori cercano delle conferme delle loro convinzioni, quelli di AJE tanto quanto quelli della BBC.

La possibile via del successo per Al-Jazeera English in Occidente

Se finora i pregiudizi sul mondo arabo e alcuni calcoli di natura commerciale della concorrenza hanno limitato la popolarità di AJE negli States e in Europa, una piccola esperienza locale di successo può indicare le carte da giocare per assicurarsi il pubblico occidentale. Il dottorando William Youmans ha seguito in dettaglio il caso di un provider via cavo del Vermont (Usa), la Burlington TV, una delle pochissime piattaforme ad aver accettato di trasmettere AJE nel 2007, in un Paese dove l’emittente qatarense è riuscita ad assicurarsi un canale solamente quest’anno con l’acquisto di Current TV, l’emittente posseduta da Al Gore.

Si tratta di un caso particolare, in considerazione della natura semi-pubblica della Burlington TV, che è solita consultare i suoi telespettatori in quanto fruitori di un servizio, e dell’orientamento politico a favore del partito democratico prevalente nello stato del Vermont. Nel 2008, il fatto che alcuni residenti si fossero opposti alla trasmissione di Al-Jazeera ha spinto le autorità locali a indire una serie di dibattiti, a cui hanno partecipato cittadini e membri dello staff di AJE: in merito alle obiezioni avanzate dal fronte del ‘no’, è stato concluso che non vi fossero prove sufficienti né del contenuto anti-israeliano né dell’influenza della natura anti-democratica dell’emirato sul palinsesto. In nome della libertà d’espressione e del dialogo interculturale, il comune di Burlington ha deciso di non interrompere le trasmissioni di AJE.

Alcuni dei partecipanti al dibattito hanno confermato la validità delle teorie di Hafez sul pubblico inteso come ‘elettorato’ dalle posizioni predefinite, sminuendo l’eventualità che i telespettatori sviluppino tendenze anti-americane a causa di Al-Jazeera English. L’esperienza di Burlington potrebbe suggerire alla direzione di AJE e AJA la strategia migliore per guadagnare popolarità in Occidente, promuovendo dei dibattiti tra fasce di pubblico politicizzato e già incline alla ‘contro-informazione’.

Al-Jazeera English guadagna credibilità a spese di Al-Jazeera 

Pur condividendo una visione contro-egemonica nei confronti dei media occidentali, il divario creatosi tra AJE e AJ in termini di credibilità è invece evidente in determinati contesti, Egitto e Bahrain in primis, dove la mano pesante dell’emirato ha condizionato la copertura degli eventi. A differenza della questione palestinese, dove l’insistenza di Doha nel mantenere dei buoni rapporti con Tel Aviv sin dal 1996 non ha condizionato la copertura del conflitto in senso filo-israeliano, la tutela dei legami con i Fratelli Musulmani e l’Arabia Saudita ha limitato la professionalità di AJ nell’occuparsi di Egitto e Bahrain.

Nel primo caso, i segnali della faziosità di Al-Jazeera Mubashir Misr (Al-Jazeera in diretta dall’Egitto- il canale creato ad hoc per seguire gli eventi egiziani) sono innumerevoli: basti constatare il dominio assoluto delle interviste a opinionisti a sostegno del deposto presidente islamista Mohammed Mursi sulla pagina YouTube del canale o la scelta di concedere oltre venti minuti al dotto islamico Yusef al-Qaradawi, da sempre vicino ai Fratelli Musulmani, per rivolgersi “al popolo egiziano” alla stregua di un presidente.

In merito invece al Bahrain, nonostante lo spazio concesso all’opposizione bahrainita anche su programmi di punta come Al-Ittijah Al-Mu’akis (La Direzione Opposta), la presa di posizione del canale al fianco della monarchia è palese in servizi come quello di Fawzi Bushra del 16 marzo 2011, dove l’insurrezione bahrainita viene definita “confusa” rispetto ai moti popolari egiziani e tunisini, in quanto divisa tra sciiti e sunniti.

Il Qatar, in qualità di membro del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg), ha acconsentito all’invio delle truppe del Dir’ al-Jazirah (Scudo della Penisola) in Bahrain il 14 marzo 2011 in supporto del regime. Come rivelato da un documento dell’ambasciata statunitense di Doha pubblicato da Wikileaks, al-Jazeera è riuscita a mediare la riconciliazione con l’Arabia Saudita nel 2010 attraverso una copertura favorevole della famiglia reale; Riyadh si è del resto collocata in prima linea nel supportare l’intervento in Bahrain, temendo pericolose ripercussioni nelle regioni sciite saudite.

Al contrario, AJE ha riservato maggiore spazio alla rivoluzione bahrainita, approfondita tramite un documentario intitolato ‘Shouting in the Dark’. In questo caso, il canale anglofono ha seguito una politica redazionale indipendente da Doha, evitando per esempio di applicare due pesi e due misure in Bahrain e in Siria, contesto quest’ultimo in cui AJ si è schierata apertamente con i rivoluzionari, omaggiandoli di una copertura continua degli eventi. L’intensità del conflitto esploso in Siria non legittima completamente la scala di priorità, considerata l’attenzione maggiore dedicata ai rivoluzionari pacifisti egiziani in confronto ai loro omologhi bahrainiti.

Le dimissioni di Wadah Khanfar del 2011 e la nomina alla direzione del network di un membro della famiglia reale senza alcuna esperienza giornalistica, Ahmad Bin Jassem al-Thani, avevano già suggerito un giro di vite delle élite qatariote. Un ulteriore passo indietro è stato il ripristino del Ministero dell’Informazione nel rimpasto ministeriale guidato dal nuovo emiro Shaykh Tamim Bin Hamad al-Thani, asceso al trono il 26 giugno scorso: tale ministero, da sempre utilizzato come strumento di controllo nel mondo arabo, era stato abolito dal padre Shaykh Hamad Bin Khalifa al-Thani in un gesto di apertura coinciso con il lancio di Al-Jazeera nel ’96. Lo stesso Khanfar aveva del resto motivato il suo abbandono sostenendo di aver portato a termine la sua “missione”, trasformando Al-Jazeera in un network internazionale d’informazione.

Ora che il Qatar è riuscito ad affermarsi come potenza, si trova immerso in un contesto costellato da realtà mediatiche intraprendenti quanto Al-Jazeera, emerse dalla caduta dei vari regimi (si pensi al ricco panorama satellitare iracheno): non trattandosi più di un’eccezione regionale, AJ potrebbe iniziare a essere percepita come realtà nazionale, chiamata a monitorare l’operato della classe dirigente. Secondo l’analisi dell’ex-caporedattore di AJE William Stebbins, l’emirato ha preferito limitare i danni e ripiegare su una missione molto meno ambiziosa di quella di Khanfar.

Nonostante dipenda finanziariamente dalle stesse casse e sia già stata oggetto delle pressioni di Doha, AJE sembra mantenere livelli superiori di professionalità. L’abdicazione volontaria di Shaykh Hamad, per esempio, è stata sì erta a “passo senza precedenti” [3] nella regione, ma senza scadere negli elogi sperticati dell’emittente araba, la quale non ha esitato a dedicargli una sezione speciale sul sito. AJE si è invece distinta mandando in onda una puntata di Inside Story (26 giugno 2013), in cui il corrispondente del The Guardian britannico, Ian Black, ha ricordato come il Qatar abbia prorogato di recente il mandato del Consiglio Consultivo, procrastinando ulteriormente le elezioni parlamentari. Sempre Inside Story (14 giugno 2013), ha dedicato un’altra puntata ai timori connessi allo sfruttamento dei lavoratori stranieri nei preparativi per la Coppa del Mondo di calcio, in programma a Doha nel 2020.

D’altro canto, come suggerito dall’ex-caporedattore Stebbins, le maggiori libertà concesse ad AJE potrebbero essere parte di una strategia volta a presentare un’immagine più liberale al pubblico anglofono esterno alla regione, mantenendo invece un controllo più rigido sul contenuto di AJ. Paradossalmente, considerando l’originale funzione di resistenza svolta nei confronti dei media occidentali, Al-Jazeera finirebbe per rassomigliare alla Cnn, di cui ai tempi della guerra in Iraq veniva criticata la disparità dei contenuti a seconda del pubblico: propaganda militarista per i telespettatori americani e commenti più sobri su Cnn International. Un’ Al-Jazeera lontana dagli albori da paladino della libertà d’informazione, rifondata sul consenso interno e le immagini edulcorate all’estero.

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Note

[1] Nelle parole di Ibrahim Helal, vice direttore delle notizie e dei programmi di AJE. Si veda: Mohammed el-Nawawy e Shawn Powers, Mediating Conflict. Al-Jazeera English and the Possibility of a Conciliatory Media [2008].

[2] Hafez, K. (2000) The West and Islam in the Mass Media: Cornerstones for a New International Culture of Communication in the 21st Century. Center for European Integration Studies Discussion Paper, 61, 3.

[3] In realtà esiste un precedente: il sultano dell’Oman Taimur bin Faisal bin Turki (1913 – 1932) abdicò infatti volontariamente in favore del primogenito.