Onda instabile per il petrolio libico

10/09/2013
Libia

I media e l’industria petrolifera in Libia vivono momenti difficili. Il paese si mantiene principalmente grazie agli introiti della produzione ed esportazione di petrolio e gas. Chi controlla il settore, controlla l’economia del paese.

L’instabilità politica nata dal vuoto di potere avvenuto dopo la caduta dell’ex dittatore e la mancata ricostruzione di esercito e forze di sicurezza hanno creato tanti piccoli Gheddafi in erba, ma altrettanto feroci e spietati. I rivoluzionari dell’ultimo quarto d’ora hanno prevalso sul terreno militare e, malgrado la loro sconfitta politica nelle elezioni del 7 luglio, sono riusciti a condizionare il Congresso Generale Nazionale (Parlamento) e il governo.

Il controllo della televisione di stato è nelle mani di esponenti della Fratellanza Musulmana, che fin dallo scoppio della rivolta libica hanno flirtato con Seif Islam Gheddafi e il suo progetto di ereditare il potere del padre.

Le televisioni e i giornali indipendenti hanno subito intimidazioni e attacchi, con irruzioni di agenti armati nelle redazioni, sparizione di giornalisti e infine bombe devastanti contro gli studi televisivi.

Dallo scorso luglio è in corso uno sciopero dei lavoratori del petrolio. In un primo momento rivendicavano un contratto nazionale e maggiore sicurezza. In seguito sono prevalse motivazioni pretestuose, telecomandate politicamente per mettere in difficoltà il governo. La questione centrale era la corruzione dilagante nella gestione delle esportazioni. Dai tempi del primo governo, guidato dall’ingegnere Abdurrahim El Keeb, molti funzionari onesti hanno denunciato le esportazioni clandestine di petrolio libico.

Il meccanismo è molto semplice: le petroliere venivano caricate senza registrare i quantitativi nei documenti ufficiali e il carico veniva venduto, a prezzi ribassati, al mercato nero, con la compiacenza di intermediari e società petrolifere internazionali, che regolarizzavano la merce nei porti di arrivo. Per due anni, i governi hanno tentato di mettere fine a questa pratica, ma è stato tutto inutile. Le centrali del contrabbando avevano i cervelli troppo in alto nell’Ente nazionale petrolifero libico e tutti i funzionari onesti che hanno denunciato il malaffare sono stati destituiti o trasferiti.

Il governo di Ali Zeidan ha deciso di tagliare la testa al toro. A metà agosto, ha ordinato alla Marina libica di sparare, senza preavviso, a tutte le navi petroliere che entravano nelle acque territoriali libiche senza un contratto già firmato con le autorità governative di Tripoli. Una decisione drastica, ma l’unica utile per inchiodare i funzionari corrotti alle loro responsabilità.

Si è creato così un clima incandescente che ha dato il via alle lotte tra bande attorno agli impianti di produzione, di trasporto e nei porti di esportazione. La produzione giornaliera di greggio è scesa da 1,6 milioni a circa 100 mila barili, con gravi ripercussioni sull’economia del paese e della stessa stabilità del governo.

Ma come si sono comportati i media libici, in particolare televisioni, di fronte a questa emergenza? Il clima generale di insicurezza e le intimidazioni hanno condizionato il loro operato.

La carta stampata, a dir il vero, non si è risparmiata. Lo storico quotidiano indipendente di Bengasi, Al-Haqiqa, La verità, è stato il primo a pubblicare le denunce di quei funzionari onesti che hanno tolto il coperchio ad un sistema affaristico di giganti proporzioni ai danni del paese. L’attenzione della carta stampata è rimasta alta, ma a causa della sua esigua diffusione territoriale e per il basso numero di lettori, l’influenza sull’opinione pubblica è limitata.

Le televisioni hanno assunto una posizione pilatesca. Hanno seguito la vicenda, ma principalmente dal punto di vista della cronaca e delle ricadute degli scioperi e degli scontri sulla sicurezza nazionale. Un approccio dettato da un’agenda politica per l’emittente nazionale, che ha scoperto la corruzione soltanto dopo la conferenza stampa del premier Zeidan.

Anche a causa anche delle intimidazioni subite, nella prima fase della crisi, le private Libia Al-Ahrar e Al-Asima hanno realizzato coperture soltanto da studio, con notizie lette da speaker e con immagini di repertorio, dibattiti tra esperti e responsabili politici e militari. Nessun’inchiesta seria è stata compiuta per andare a scoprire le radici del fenomeno della violenza, cioè la corruzione e il contrabbando internazionale che hanno predominato nella gestione di un settore strategico per il futuro del paese. Nessun approfondimento, per esempio, sulla contraddizione di un paese che galleggia su un mare di petrolio, ma è costretto ad importare benzina, nafta e olio per garantire il fabbisogno interno di carburante necessarie per le centrali elettriche e per il trasporto.

Soltanto dopo l’esternazione del premier Zeidan, le emittenti televisive hanno guardato alla questione con occhi aperti e il tema è diventato la notizia di apertura dei telegiornali. Sono state trasmesse le prime immagini sulle navi con bandiera liberiana, bloccate in alto mare, mentre tentavano la colossale frode petrolifera. Video ripresi, però, dalle unità della Marina libica e non da reporter indipendenti.

Un aspetto positivo, dal punto di vista mediatico, è stato il cortocircuito che è stato innestato dalla presa di posizione decisa del governo. I lavoratori del settore petrolifero, compresa l’entità del pericolo che incombeva sul paese, hanno manifestato a Tripoli contro gli scontri tra le formazioni di miliziani che hanno bloccato le esportazioni. Tutte le emittenti, sia pubbliche che private, hanno dato una buona risonanza a queste lotte, con collegamenti in diretta dalla piazza e con interviste ai lavoratori.

Probabilmente, questa svolta è avvenuta anche a causa del fatto che l’instabilità è arrivata nella capitale, con la chiusura del traffico aereo nell’aeroporto internazionale di Tripoli. Una prova difficile per la nascente libertà di stampa in Libia, un cammino che prometteva tanto ma che è stato rallentato dalle rivalità politiche e dall’avidità di chi, in nome dell’Islam, vuole fagocitare tutto il potere.