“Napolislam”, storie di nuove conversioni nell’era digitale

NAPOLISLAM - COVER PIATTO ALTA

“Un bel giorno Napoli si sveglia e si converte all’Islam”, queste sono le parole che accompagnano il trailer del documentario di Ernesto Pagano, “NapolIslam”, uscito a giugno 2015. Un film che ha fatto parlare di sé non solo per i riconoscimenti ricevuti, come la vittoria al Biografilm Festival, ma anche per lo stupore suscitato dall’aver svelato un mondo seminascosto ai più: un microcosmo musulmano all’interno della cattolica e italianissima Napoli. A maggior ragione che nel documentario non si parla di comunità immigrate, bensì di un nutrito numero di convertiti italiani, che per diversi motivi, a un certo punto della loro vita hanno deciso di abbracciare l’Islam. “Cercavo Maradona e invece ho trovato Allah”, per dirla come uno dei protagonisti di NapolIslam: Ciro, il pizzaiolo, che entrato in una libreria per comprare un libro su Maradona ne è uscito con in mano una copia del Corano.

Di certo il tema trattato dal documentario è uno dei più scottanti in questo momento in cui i recenti attacchi terroristici in Europa hanno causato crescente tensione e ampi rigurgiti islamofobi sia mediatici che politici. Tanto che il circuito UCI Cinemas, all’indomani degli attentati di Parigi del 13 novembre scorso, aveva in un primo momento preso la decisione, poi revocata, di rimandare la proiezione di NapolIslam, prevista per quel periodo, a tempi più sereni per non suscitare tensioni e incidenti.

Eppure il regista è riuscito a trattare il fenomeno delle conversioni “nostrane” con estrema delicatezza, mettendo in evidenza proprio il percorso umano dei singoli individui che compongono il mosaico di NapolIslam.

Le storie delle donne e degli uomini che si incontrano nel documentario affiorano dalla superficie di questo microcosmo musulmano partenopeo e si raccontano nel breve tempo di un film. Da qui, la volontà dell’autore di compiere un discorso più ampio e più completo sull’argomento, che lo ha portato alla pubblicazione di un volume, sempre dal titolo “Napolislam”, che è uscito il 12 maggio 2016 per edizioni Centauria (collana Quattro D).

Nel libro si parte da molto prima e si arriva molto dopo, come ci ha raccontato lo stesso Ernesto Pagano, in una chiacchierata al telefono fatta tra Roma e il Cairo, dove vive: “Il libro spiega la genesi del progetto e lo colloca in un percorso storico che parte dal valore che ha l’università italiana nell’insegnare e divulgare l’Islam, per poi passare attraverso il Cairo, mischiandosi quindi anche con la mia geografia e la mia storia”. Infatti, nel volume l’autore ha deciso di usare se stesso come filo conduttore, raccontando il suo personale approccio con il “fenomeno Islam” e con i convertiti che ha conosciuto: “il criterio narrativo che ho utilizzato è quello della cronaca e del reportage, naturalmente lascio spazio anche ad alcune riflessioni che però restituisco al lettore per farne ciò che vuole”.

Nel libro viene dato anche spazio all’approfondimento delle reti associative che sostengono la comunità musulmana italiana, della quale fanno parte sia le seconde generazioni di musulmani nati e cresciuti in Italia, sia gli italiani convertiti. Una delle più importanti è l’associazione di promozione giovanile “Giovani Musulmani Italiani”, nata nel 2001 allo scopo di promuovere l’inserimento e l’impegno civile dei giovani musulmani all’interno del tessuto sociale italiano, nonché il dialogo interculturale e interreligioso. Racconta Pagano: “ho passato una giornata insieme ai Giovani Musulmani Italiani (GMI, ndr) della sezione campana, in una casa gestita dal Movimento dei Focolari, che aveva concesso loro la struttura per un raduno di tre giorni, e lì ho potuto vedere come i Giovani Musulmani siano capaci di dare ai propri membri un’identità islamica trasversale. In un ambiente che è spesso ostile nei confronti dei musulmani i ragazzi trovano nel GMI un luogo in cui dire ‘noi’”.

Un’altra realtà associativa di rilevanza sul piano nazionale è il Coordinamento delle Associazioni Islamiche di Milano e Monza e Brianza (CAIM). Nato nel 2011 dalle 13 più importanti realtà islamiche di Milano, oggi conta oltre 30 organizzazioni aderenti. Le attività che svolge sono improntate a favorire il dialogo, la cooperazione e le relazioni interne alla stessa comunità islamica; offrire servizi di consulenza tecnica, giuridica e politica alle associazioni aderenti; operare per migliorare l’immagine e la conoscenza della comunità islamica milanese e per costruire ponti con la città, le sue istituzioni, la sua società civile e le altre comunità religiose. È diretto da Davide Piccardo, figlio di Hamza Roberto Piccardo, il quale è stato tra i fondatori del Consiglio Islamico d’Italia e autore di un’importante traduzione italiana del Corano.

Una caratteristica del CAIM è l’uso nuovo e innovativo che fa dei media per sostenere le proprie attività. Come ad esempio il video creato per la campagna a favore della costruzione della moschea di Milano in cui si vedono varie tipologie di musulmani – ad esempio, c’è anche una ragazza senza velo, con i tacchi alti – che al momento della preghiera, non potendo usufruire di un vero e proprio luogo di culto, si vedono costretti a pregare lì dove si trovano. Il video ha avuto molto successo soprattutto per il diverso tipo di comunicazione usata: non più un linguaggio impostato sulla difesa dei musulmani dalle possibili accuse di terrorismo. Il punto di partenza usato dal CAIM è stato diverso: “siamo cittadini italiani, e dato che la costituzione italiana persegue e difende la libertà di culto e il diritto di professare la propria religione in privato e in pubblico, pretendiamo di poter avere un luogo di culto adeguato e dignitoso”.

Afferma Ernesto Pagano: “i ragazzi del CAIM sono stati in grado di portare il dibattito sull’Islam in questo paese a un livello superiore, anche utilizzando il mezzo audiovisivo in maniera intelligente”. Questo rientra in una logica totalmente diversa rispetto al tipo di comunicazione a cui siamo abituati ad assistere nei dibattiti mediatici in Italia sull’argomento, nei quali viene riproposto sempre lo stesso schema dicotomico basato da una parte sul “noi siamo italiani, voi siete musulmani e quindi potenziali terroristi” e dall’altra sul “noi musulmani siamo brava gente, voi siete solo degli ignoranti”.

Infine, una parte dell’ultimo capitolo del libro “Napolislam” è dedicata al mondo di internet e a ciò a cui può andare incontro una persona che, desiderosa di avvicinarsi spiritualmente all’Islam, cerchi informazioni in rete, senza possedere alcuno strumento critico. L’autore ha voluto togliersi di dosso l’armamentario intellettuale del ricercatore e giornalista che conosce l’Islam e ha provato a fare quello che farebbe una persona in preda a una crisi spirituale che si vuole avvicinare all’Islam e vuole saperne qualcosa in più. “Quello che ho fatto è stato provare a immedesimarmi in una persona che non sa nulla di Islam ma che si sente attratto da questa religione e che si mette a cercare su internet degli appigli.  Lì è stato divertente scoprire pagine web legate ai più svariati personaggi” racconta Pagano, “io in rete più che una comunità organica ho trovato tante isole, staccate le une dalle altre, tanti predicatori solitari con le loro pagine Facebook che dicono di professare il vero Islam”.

Effettivamente scrivendo sulla barra di Google frasi come “voglio convertirmi all’Islam”, i primi due, tre risultati sono di Yahoo Answers, che è un collettore di qualunque cosa giri sul web, in cui a chi chiede come fare per avvicinarsi all’Islam viene postato, da persone prive di qualsiasi autorità religiosa, un lungo decalogo delle cose halal e haram, cioè “lecite” e “illecite” che ogni buon musulmano dovrebbe rispettare. Per non parlare dell’admin della pagina Facebook “Le perle del Corano” che invita a non entrare in moschea con indosso la maglia del Barça, perché lo stemma della squadra di calcio reca al suo interno una croce, ritenendo che questo sia un simbolo proibito dal Corano.  A questo proposito spiega Pagano: “ho trovato un grande bisogno da parte delle persone convertite, ma anche da parte delle seconde generazioni di musulmani, di incasellare tutta la loro esistenza nello schema halal e haram. Ma la rete non è un posto sicuro, non tanto per il rischio di incappare in reclutatori dell’ISIS, che rappresenta un pericolo molto marginale, ma quanto per la difficoltà di trovare dei referenti attendibili”.

Se una persona si avvicina senza strumenti e in maniera inconsapevole all’Islam in rete, il panorama può apparire abbastanza desolante. “È veramente un grande problema, secondo me, anche per l’Islam stesso, per la maniera in cui l’Islam si rappresenta” prosegue Ernesto Pagano, “su Facebook esistono molte pagine che parlano di ‘vero Islam’, con un approccio molto massimalista da parte dei loro amministratori, i quali cercano followers solamente per una questione di ego, non perché sono sinceramente convinti di essere i depositari della verità”.

Certo è che in questo marasma di precetti islamici proclamati in rete da fonti di dubbia provenienza, chi ha la peggio sono i nuovi convertiti, i quali molto spesso non possiedono gli strumenti culturali per interpretare ciò che vien detto loro, mentre l’approccio delle seconde generazioni di musulmani è diverso, poiché mitigano il loro background culturale, quello che è stato trasmesso loro dalla famiglia, con un approccio all’Islam globalizzato, che si è spogliato in qualche modo dell’appartenenza ad un territorio, ad una cultura. “Ovviamente, una cosa sono le persone che conoscono l’Islam all’università, lo studiano, e poi decidono di convertirsi, e un’altra i ragazzi che hanno una scarsa istruzione, anche scolastica: a loro basta agganciarsi a delle figure che esercitino un certo carisma e tutto quello che dicono queste figure di colpo diventa oro colato”, conclude l’autore “sentono la necessità di incasellare l’esistenza in uno schema molto semplificato di halal e haram, cioè di lecito e illecito, bianco o nero, in cui non ci siano sfumature. Molti convertiti che ho conosciuto, ad esempio, usano dire: ‘l’Islam è come la matematica, non è un’opinione’”. Un’affermazione che probabilmente non tutti i musulmani si sentirebbero di condividere.