Il jihad 2.0 del Califfato

12/09/2014
isis-sotloff

Lo “Stato islamico”, Is, denominato fino alla scorsa estate Isis, pratica un jihad online 2.0. Tutte le produzioni dell’Isis rientrano sotto l’ombrello principale di Al-Furqan Media che invia regolarmente video e registrazioni audio, producendo una serie di documentari con il titolo Nawafidh men ard Al-malamih, Messaggi dalla terra delle battaglie epiche. L’Isis usa abilmente centinaia di account Twitter per diffondere i propri video e i propri comunicati, poi rilanciati da migliaia di simpatizzanti con effetto virale. I video horror-hollywoodiani, ripresi anche dal Dipartimento di stato Usa, mix di videogiochi di combattimento, stralci di notiziari, fiction televisive e altro ancora, vengono enormemente amplificati sui social media. Quando vengono disabilitati gli account, immediatamente ne compaiono di nuovi. Is utilizza anche servizi come Just Paste per pubblicare riassunti di battaglia, Sound Cloud per rilasciare report audio, Instagram per condividere immagini e WhatsApp per diffondere la grafica e video.

Questo uso sapiente delle tecnologie, già documentato da Arab Media Report, fa sembrare preistoria la vecchia Al-Qa’eda di Osama Bin Laden e Aiman Al-Zawahiri. Se il taglio tecnico dei video dell’Is è incomparabilmente superiore, vi sono anche dei contenuti molto diversi che lasciano emergere le differenze di visione tra i due gruppi: il discorso di Al-Qa’eda era principalmente rivolto contro Stati Uniti e Israele, ovvero contro “il nemico lontano”[1]; quello dell’Is è invece rivolto ai governanti dei paesi arabi, “il nemico vicino”. I due giornalisti americani decapitati, discostano da quasi tutta la variegata produzione dell’Is che promuove il suo obiettivo fondamentale: stabilire, costruire e ampliare lo “Stato Islamico”, concretamente, sul territorio. Inoltre l’uccisione dei due giornalisti viene presentata nella produzione mediatica dell’Is come risposta ai bombardamenti Usa, quindi come un atto di difesa e non di attacco diretto agli Stati Uniti.

I video dell’Is sono “dinamici”, pieni di azioni di combattimento, conquiste di città, eliminazione dei prigionieri e l’immensa ferocia che esprimono sembra funzionare, attirando giovani musulmani di tutto il mondo. Il messaggio che accomuna tutta la produzione dell’Is è infatti quello di una forza enorme e invincibile in movimento che conquista territori, crea realmente uno “Stato Islamico”, mediante l’instaurazione di un Califfato che implementa strettamente la shariah, la legge islamica.

La brutalità della stragrande maggioranza dei video dell’Is è voluta, esibita, tesa a creare paura, e ha una molteplice valenza. Da una parte, nella cornice della campagna di violenta aggressione condotta dall’Is, i suoi video hanno la stessa valenza dei volantini gettati sulla popolazione durante la II Guerra Mondiale: infondere il panico tra le fila degli avversari, spingendoli ad arrendersi senza sparare un colpo. D’altra parte i video dell’Is servono da proiezione di quella immagine di potenza irresistibile che vuole darsi ed è utile ad attrarre maggiori e nuovi sostenitori in una campagna mediatica di reclutamento, cui buona parte è dedicata a un target particolare: giovani, non solo arabi ma anche occidentali convertiti e quelle seconde, terze, quarte generazioni di migranti di origine musulmana residenti in Occidente.

Proprio in funzione propagandista, l’Is ha pubblicato alcuni interventi importanti in sette lingue e si è persino dotato di una rivista in formato cartaceo e in lingua inglese chiamata Dabiq, il nome della battaglia che diede vita all’Impero ottomano. Numerosi anche i video in lingua inglese, in cui spesso giovani occidentali si rivolgono ai loro connazionali invitandoli a raggiungerli nello “Stato Islamico” e in cui si esibisce la multi-etnicità dei combattenti. I primi gruppi dell’islam politico teorizzarono non il rifiuto della modernità, ma la sua modernizzazione: sembra che i jihadisti dell’Is abbiano imparato la lezione e a distanza di anni siano riusciti a metterla in pratica. 

Immagine rivista ISIS n.3 di DABIQ




[1] Le differenze di priorità nella strategia, tra la lotta a quello che viene definito “il nemico lontano”, Usa, Occidente, Israele, e “il nemico vicino” ossia i governanti arabi “corrotti e miscredenti” sono presenti da sempre nel dibattito jihadista, sin dagli anni ’80. L’uomo che è considerato il fondatore di Al Qa’eda assieme a Bin Laden e ad Al Zawahiri, l’ex-Fratello Musulmano egiziano Abdallah ‘Azzam, era un propugnatore della linea del “nemico vicino” al contrario di Ayman Al Zawahiri, e la tuttora misteriosa morte di ‘Azzam verso la fine anni ’80, secondo molti analisti non fu per opera dei “nemici”, ma ordita da Al Zawahiri che riuscì così a imporre la propria visione a Bin Laden, ammaliato da quest’ultimo.