Il Kuwait torna alle urne tra autoritarismo e social network

16/08/2013
Kuwait votes for new parliament

Per la seconda volta alle urne nel giro di sette mesi. Il 27 luglio il Kuwait è tornato a votare in seguito alla decisione della Corte Costituzionale che ha ordinato all’emiro shaykh Sabah Ahmad Al Sabah la dissoluzione del Parlamento nazionale. Il provvedimento è giunto dopo che l’Emiro aveva emanato in dicembre un decreto per modificare il sistema elettorale. Con la vecchia legge, ogni cittadino esprimeva quattro preferenze. Ora invece si può votare per un solo candidato.

Il composito fronte dell’opposizione ha registrato la flessione dei rappresentanti della minoranza sciita. Questi ultimi, il 30% della popolazione totale, hanno ottenuto 8 seggi a dispetto dei 17 che possedevano in precedenza. I liberali, esclusi del tutto dalle ultime elezioni, hanno incassato 3 seggi. I salafiti sunniti sono passati da 5 a 7 seggi, mentre i gruppi tribali hanno totalizzato 24 poltrone. Sono loro i veri vincitori della competizione.

La partecipazione elettorale si è attestata al 52,5% dei cittadini contro i pronostici che davano per favorito, ancora una volta, l’astensionismo. All’ultimo appuntamento elettorale aveva preso parte meno del 40% dei cittadini.

La campagna elettorale è quindi riuscita a mobilitare gli elettori, anche se è stata costretta a fare a meno dei comizi, proibiti per legge. Leciti sono invece la distribuzione di volantini e l’affissione di cartelli nei luoghi pubblici.

Tweet politics: parole come “chiavi per i cuori e le menti”

Per raccogliere consensi i candidati hanno arruolato squadre di blogger e di esperti Facebook, pagandoli talvolta anche 10 mila dinari (30 mila dollari circa). In un’intervista per l’agenzia di Stato Kuna, ‘Abd Allah al-Hajraf, esperto di comunicazione politica, ha sottolineato l’importanza nei paesi del Golfo dell’oratoria, una pratica politica che conserva un ruolo persuasivo dominante. Con i social network, gli slogan corrono rapidamente e sono più efficaci dei comizi elettorali quando raggiungono gli elettori che fanno uso dei social networks.

Non tutti però lodano la campagna elettorale 2.0 che rischia annientare le ideologie, trasformando la competizione in una gara tra “migliori offerte”. Muhammad al-Balushi, docente di Comunicazione alla Kuwait University, ha criticato questa strategia, sottolineando che a volte neppure i candidati credono negli slogan che diffondono ma confidano solo sulle ‘asabiyyat (sodalizi tribali).

La vittoria degli slogan “moderati”

La campagna elettorale per le elezioni di luglio è stata breve, iniziando solo il 17 luglio, ma intesa. Quella condotta da Yusuf al-Zalzala, deputato eletto ed ex ministro del commercio, può essere presa a modello delle nuove strategie comunicative. Su Twitter il deputato ha segnalato costantemente la sua presenza nei talk show delle reti nazionali (come il programma al-Tariq ilà al-Umma) o i suoi articoli nei quotidiani privati. In uno slogan prometteva di inquisire il ministro responsabile per “l’interruzione dell’elettricità durante il ramadan”. In un altro invocava il rispetto della costituzione, l’applicazione della legge e l’unità nazionale. Alla vigilia del voto, al-Zalzala invitava i cittadini a partecipare, esercitando un diritto civico. Infine il 28 luglio, il deputato ringraziava Dio per la clemenza e i suoi votanti per la fiducia accordatagli.

Diversa invece la campagna condotta da Safa’ ‘Abd al-Rahman al-Hashim, detta su Twitter “la figlia del Kuwait”. Non indossa il velo e, a differenza del deputato precedente, ha frequentato di rado i salotti televisivi, affidandosi totalmente a immagini e a slogan d’effetto come “ti vedo per come sei, oh patria mia”. In riferimento ad una polemica sorta dopo che il governo kuwaitiano aveva promesso un ingente prestito all’Egitto, la deputata scriveva che “l’Egitto merita il nostro aiuto” e che “finalmente si è sbarazzato dei Fratelli Musulmani”.

Questi due esempi di campagne elettorali vincenti dimostrano l’importanza dei social network ma, al tempo stesso, sono prova del carattere elitario della politica del Kuwait. Nonostante l’uso di internet abbia facilitato l’accesso all’informazione, il conseguimento di una vittoria elettorale necessita dei voti, serbatoio dei quali rimane l’affiliazione clanica. I giovani, ad esempio, i primi fruitori dei social network (secondo un sondaggio l’87% dei giovani usa internet per accedere ai social network), rimangono dominanti nelle piazze, ma sono esclusi dai luoghi del potere.

Anche i candidati dell’opposizione, specie quanti hanno contestato la riforma elettorale, contribuiscono a mantenere la politica nelle mani di pochi e, soprattutto, a favorirne la personalizzazione. In assenza di un’ampia riforma strutturale, volta a introdurre i partiti o, almeno, a ripristinare le coalizioni, l’uso di mezzi di comunicazione di ultima generazione non può riuscire a produrre quella democratizzazione della politica che si potrebbe invece auspicare.

I social network rivestono un ruolo di primo piano nella comunicazione del piccolo emirato. Tuttavia questi strumenti restano soltanto un valore aggiunto e non riescono a prevalere sulle linee di identificazione, ben sedimentate e marcate, che sono dettate dall’appartenenza alla tribù ed al riconoscimento all’interno di un clan.