I media turchi hanno un nome: Aydin Dogan

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Aydin Dogan è uno dei personaggi più noti e controversi del panorama imprenditoriale turco. Nelle sue mani si concentra un buona fetta dei media e dell’intrattenimento del Paese. E,sebbene non faccia politica attivamente, la sua figura è balzata al centro della discussione politica in Turchia. 

Nella parabola privata e pubblica di Aydin Dogan si possono ritrovare i tratti salienti della storia della Turchia degli ultimi trent’anni. Dal periodo della liberalizzazione – prima economica e poi politica – degli anni ’80 e ‘90, allo scontro tra l’AKP (Adalet ve Kalkinma Partisi, Partito di Giustizia e Sviluppo) di Erdogan e le forme di opposizione alle sue politiche. Classe 1936, Dogan, può a ragione essere definito il classico esempio di “self-made man” che, partendo da zero, ha costruito un vero e proprio impero economico-finanziario, conquistando la vetta di molti settori turchi.

La sua prima società venne registrata nel ’59, solo due anni prima del suo ingresso nell’industria automobilistica. I primi passi da imprenditore sono stati mossi ai margini di Istanbul durante i turbolenti anni dei colpi di Stato militari – ben tre se ne succedettero tra gli anni ‘60 e i’80 – e della repressione interna contro le forze politiche di sinistra. La carriera professionale di Dogan, così come quella di molti altri imprenditori e uomini d’affari in Turchia, sarebbe però cambiata tra gli anni ‘80 ‘90, a seguito della rivoluzione liberalizzatrice inaugurata dall’allora primo ministro, poi presidente, Turgut Ozal. Quest’ultimo sarebbe stato l’uomo che avrebbe rimodellato la Turchia e ne avrebbe fatto un Paese aperto, sia politicamente che economicamente. L’epoca delle privatizzazioni e della fine della rigida regia statale sull’economia, avrebbe visto il nascere di nuove attività imprenditoriali, dentro le quali Dogan sarebbe stato uno degli uomini più scaltri ad inserirsi.

Secondo la classifica ad hoc redatta dal bisettimanale economico statunitense Forbes, Aydin Dogan è uno degli uomini più ricchi del mondo. Il suo impero si è costruito in gran parte proprio sul mondo dei media, nonostante la sua fortuna abbia anche altre solide basi, che partono dal mondo dell’energia e arrivano a quello del turismo. Sempre secondo la classifica di Forbes, grazie alla sua attività imprenditoriale nel mondo dei media, il Murdoch turco si sarebbe guadagnato il 22esimo posto come uomo più ricco della Turchia, mentre sarebbe al numero 1107 tra i miliardari a livello internazionale.

Il suo appellativo di tycoon del mondo mediatico turco, del resto, se lo è guadagnato sul campo, grazie agli investimenti fatti e al numero – oltre che alla capillarità – dei canali che controlla. A dire il vero, dal gennaio del 2010 non è più lui in persona a gestire gli affari del Gruppo Dogan: al momento il fondatore ricopre il ruolo di presidente onorario, mentre gli affari sono gestiti in gran parte dalle sue due figlie Arzuhan Yalcindag e Vuslat Sabanci. Ciò non impedisce ad Aydin Dogan di essere, a livello personale, ancora il secondo azionista individuale (10,08 percento del totale del gruppo), dopo la Adilbey Holding (52,68 percento), controllata dallo stesso gruppo, e davanti alla famiglia Dogan, che ufficialmente detiene il 4,4 percento delle azioni.

Il tesoro mediatico controllato da Dogan – o dalla sua famiglia – é qualcosa di impressionante: quotidiani, settimanali, mensili, case editrici, radio, televisioni, pubblicità su internet, tv digitale. Tutto quello che riguarda la diffusione delle notizie e dell’intrattenimento, è in parte nelle mani di questo personaggio. E la cosa ha creato dei mal di pancia non indifferenti nel mondo politico, soprattutto nel momento in cui la linea dei suoi quotidiani non andava esattamente in tendenza con quella del governo guidato da una persona che, a dire di molti turchi, è poco incline ad accettare di buon grado le critiche che gli vengono mosse.

Dal suo canto, Aydin Dogan è un personaggio controverso e molto discusso che, dopo essere stato protagonista della Turchia in via di espansione economica si è opposta al dominio quasi incontrastato che ha conquistato il partito di Erdogan. Ecco perché si può dire che, dopo la fase della liberalizzazione targata Ozal – la stessa fase da cui tutto il processo di democratizzazione turca dagli anni ‘80 ad oggi ha avuto inizio – Dogan ha incarnato appieno anche la fase del post-guerra fredda e della polarizzazione tra AKP da un lato e i suo detrattori dall’altro.

Tra processi giudiziari, minacce di interventi militari – neanche troppo velate – e polemiche che impazzavano in tutto il Paese, lo scontro che ha visto contrapporsi Erdogan e gli ambienti più nazionalisti e secolari è passato proprio attraverso il mondo dei media. E, per un certo periodo della storia, lo stesso Dogan è stato al centro del dibattito politico, seppure suo malgrado.

Nel 2009 il suo gruppo è stato multato dal Ministero delle Finanze turco per una supposta evasione fiscale. Di per sé, potrebbe non esservi niente di straordinario nel provvedimento, se non fosse per la cifra, da molti ritenuta spropositata, che Dogan è stato chiamato a versare alle casse statali. Quasi due miliardi di euro, tantissimo, se si pensa che, nonostante le immense fortune della holding, questa abbia un capitale di un miliardo e mezzo di euro e che l’utile netto fosse in media di circa un miliardo annuo. Il fatto era che i suoi organi di stampa, il quotidiano Hurriyet in primo luogo, fossero quelli più critici con l’operato di Erdogan. E, secondo alcune ricostruzioni della vicenda, quest’ultimo si sarebbe vendicato delle critiche tentando di spazzare via il colosso mediatico di Dogan per vie giudiziarie, tentando di metterne in ginocchio le finanze. Un avvertimento in piena regola, insomma, come del resto denunciato da molte organizzazioni che si battono per la libertà di stampa e che hanno riportato la causa intentata contro Dogan, quale simbolo della indiretta censura del dissenso in Turchia e della mancanza di libertà d’opinione.

Solo l’anno prima, nel 2008, alcuni articoli apparsi su Hurriyet erano stati usati nel processo in cui la Corte Costituzionale avrebbe dovuto pronunciarsi sulla messa al bando dell’AKP. Quel processo si chiuse con un nulla di fatto e un’assoluzione per l’AKP, ma Erdogan sembrò non aver dimenticato il ruolo – voluto o meno – giocato da Dogan e dai suoi media. Secondo le interpretazioni più maligne, alla base della multa comminata a Dogan vi era proprio la sua linea editoriale troppo contraria all’AKP. La questione divenne un vero e proprio caso nazionale e il gruppo Dogan fu in effetti messo in ginocchio per via dei pagamenti da dover effettuare, a tal punto che, per due anni, il gruppo non avrebbe incassato utili, ma solo perdite. Soltanto nel 2012, con un accordo raggiunto con il Ministero delle Finanze, la vicenda si è risolta, non senza il cospicuo pagamento di centinaia di milioni di euro da parte del gruppo.

Dopo essere stata esemplificativa del processo di liberalizzazione dei decenni precedenti, la storia di Dogan, è quindi diventata un esempio dello scontro tra AKP e forze secolari.

E pensare che Aydin Dogan in persona, negli stessi anni, risultava essere il contribuente che versava più tasse di tutta Istanbul presso la Camera di Commercio locale. Ironia della sorte. Una sorte che, a parte le controversie con il governo, ha riservato a Dogan un’attività rosea. Hurriyet, la cui proprietà è stata acquisita da Dogan nel ’94, è solo uno dei giornali posseduti dal magnate turco ed è noto al pubblico europeo per la sua versione in lingua inglese che, insieme a Today’s Zaman – la cui proprietà, per una sorte di legge di bilanciamento, è in mano alla galassia di Fethullah Gulen, l’eminenza grigia dell’islamismo turco, molto vicino all’AKP – rappresenta l’informazione sulla Turchia fruibile da parte dei non turcofoni.

Accanto ad Hurriyet, il colosso di Dogan comprende ben altri tesori: il tabloid Posta, da molti additato come il Daily Mirror del Bosforo, è uno di questi. Ha una tiratura di più di mezzo milione di copie e risulta essere il secondo quotidiano venduto in tutta la Turchia, dietro Zaman e davanti proprio a Hurriyet. A mancare non è neanche lo sport: se in Italia la Gazzetta dello Sport ha fama di essere uno dei quotidiani più venduti in assoluto, la passione per le imprese sportive – soprattutto il calcio – contagia anche il popolo turco. Fanatik è il quotidiano sportivo più diffuso in tutta la Turchia, con una tiratura di almeno 200 mila copie. Anche questa nicchia è coperta dalla Dogan Holding, che dimostra ancora una volta di essere molto attenta ai costumi turchi e alle logiche di mercato.

E se un uomo di affari si riconosce dal fiuto e della capacità di saper cogliere le opportunità, al leader della comunicazione non poteva sfuggire la copertura della Champions League, soprattutto negli ultimi anni in cui le squadre di calcio turche sono approdate nei campi che contano e il calcio turco attrae ormai calciatori di fama internazionale del calibro di Didier Drogba e Wesley Sneijder.  La Dogan Holding si è infatti aggiudicata, per gli anni 2012-2015 – come aveva già fatto dal 2009-, l’esclusiva per la trasmissione delle partite di Champions, con guadagni che si preannunciano più che cospicui.

E, ancora, non è tutto. Nel 21° secolo il mondo dei media è sempre più contaminato dalla rivoluzione digitale e il magnate mediatico turco si è subito aggiornato, diventando proprietario della piattaforma. Operante sul mercato dal 2007, è uno dei principali servizi televisivi digitali in Turchia, dove vengono trasmesse le partite di Champions. Tra gli altri servizi, D-Smart offre 28 canali in HD e, dal 2010, grazie alla parziale fusione con la società di distribuzione dei servizi internet Smile, offre un servizio congiunto di connessione internet e televisione digitale.

Anche a livello di internazionalizzazione, il gruppo Dogan non è stato certo a guardare e, nel ‘99, ha deciso di portare in Turchia uno dei più popolari brand della telecomunicazione a livello mondiale: la CNN. Con il suo quartier generale a Istanbul, la versione turca della CNN trasmette in turco, in tutto il Paese, 24 ore su 24. Non solo popolarità, ma anche innovazione dal punto di vista imprenditoriale. Il canale, infatti, rappresenta il primo caso nella storia turca di emittente televisiva nazionale a partecipazione straniera – il gruppo Dogan non ne è proprietario assoluto, ma è in joint venture con il colosso statunitense delle telecomunicazioni Time Warner – e, allo stesso tempo, rappresenta una novità per la stessa CNN. La versione turca, infatti, è la prima del brand ad essere gestita interamente e direttamente fuori dalla sede storica di Atlanta. L’espansione del gruppo Dogan oltrepassa addirittura i confini turchi e arriva fino ai Balcani e all’Europa dell’Est – quasi a ricalcare le antiche glorie dell’espansionismo turco durante l’epoca ottomana. Il gruppo è infatti presente sia con la carta stampata, che con la televisione satellitare, in Russia, Bielorussia, Kazakhstan, Ucraina, Ungheria e Croazia. 

Se poi si guardano altri settori della filiera dei quotidiani e delle riviste, ci si accorge che il gruppo gestisce di fatto non solo la pubblicazione, ma anche la distribuzione stessa. La Dogan Dagitim è la più grande società di distribuzione in tutta la Turchia: 23 quotidiani nazionali, 14 regionali, piú di 16 settimanali, ben 119 mensili, 200 bimestrali e oltre 466 riviste straniere. Senza il gruppo Dogan, allo stato attuale, i turchi non avrebbero la possibilità di leggere quotidiani come il Wall Street Journal, il Financial Times e due dei più popolari quotidiani arabi, Al-Sharq al-Awsat e Al-Ahram, di cui la Dogan Media International si occupa dei costi e dei macchinari di stampa.

Complessivamente, il controverso Dogan dà lavoro, direttamente o indirettamente, a quasi 250mila persone, distribuite in 17 paesi diversi.

Rivoluzionando il mondo dei media turchi, questo tycoon si è però creato nemici. Ai tempi del suo aspro confronto con Erdogan, anche se la figlia Arzuhan Yalcindag era di fatto l’imprenditrice più potente del Paese in quanto a capo della Confindustria turca, Dogan aveva contro di sé gran parte del mondo imprenditoriale. Pochissimi lo hanno difeso, preferendo non entrare in competizione con il partito al governo. Questo testimonia non solo quanto sia influente l’AKP nel sistema economico e mediatico turco, ma anche quanto Dogan si sia potuto rendere relativamente indipendente grazie alla sua attività. Attività che gli permette anche di occuparsi di filantropia. Basta chiedere agli amanti dei fumetti. Ogni anno si tiene infatti la Aydin Dogan International Cartoon Competition, una sorta di Oscar del fumetto. Si tratta del più importante riconoscimento a livello internazionale per la fumettistica. Giunta al suo ventisettesimo anno ha coinvolto più di 6500 artisti provenienti da 128 paesi del mondo. Anche questa è diplomazia parallela.